Con Metal Gear Solid, nel lontano 1987, Hideo Kojima ha dato origine a una delle saghe più importanti della storia videoludica. Un nuovo genere stava infatti per approdare, insieme a un autore visionario che avrebbe sperimentato e realizzato le idee più folli, uniche e geniali che si potessero immaginare. La Metal Gear Saga ha mutato per sempre il mondo dell’entertainment digitale, riuscendo ad attraversare con eleganza i tempi che cambiano, sperimentando e soprattutto scombussolando le basi del medium videoludico, per elaborare e creare nuove fondamenta.
Questo è sempre stato uno dei suoi trucchi: rivoluzionarsi talmente tanto da distinguersi dal resto; l’inintelligibile mente di Hideo ha dato vita a una epopea moderna, estremamente complessa e stratificata, dove, tramite il suo Ulisse (Solid Snake) ha narrato storie di conquista e potere, vittoria e sconfitta ma anche di sangue e tradimenti, lasciando un segno indelebile nella memoria di tutti i videogiocatori.
Personaggi umani, identici a noi, raccontati in maniera raffinata, trascendono dalla parete invisibile che distanzia il giocatore dal mondo di Metal Gear e catturandolo in una dimensione intima e accogliente dove quest’ultimo può vivere pienamente le vicende concerni al destino dei personaggi.
Un risultato del genere si ottiene non solo con la scrittura e i lampi di genio, ma anche con una colonna sonora meravigliosa ed evocativa che danza sulle onde tracciate dai soavi, crudi e passionali movimenti di macchina, che donano a Metal Gear una regia impeccabile e unica. Ma il cammino percorso dai nostri eroi non sarebbe lo stesso senza la presenza dei villain che intaccano la “meta finale”. I cattivi sono estremamente complicati da scritturare e creare di solito, visto che devono offrire una sfida all’altezza e allo stesso tempo competere ad armi pari con gli eroi della storia.
Quali sono i vostri momenti preferiti della saga?
Questo Kojima riesce a farlo, portando Metal Gear Solid a un livello superiore grazie a indimenticabili boss fight. Scontri unici e memorabili, stampati nella memoria degli appassionati che ancora oggi rimembrano quei momenti, quelle gesta e quelle soluzioni e situazioni strane e singolari. Andiamo a vedere insieme quindi, quali sono state le migliori, stilando una classifica personale comprensiva di cinque posizioni più una bonus.
A fine lettura, fatemi sapere la vostra classifica personale, così da poterci confrontare tutti insieme appassionatamente!
“Sono cresciuta sul campo di battaglia. Conflitto e vittoria mi sono stati padre e madre.”
Il filmato introduttivo emana un pathos non indifferente, visto che fin da subito si percepisce che lo scontro sarà combattuto sotto la pioggia battente, regalando così una vena malinconica e drammatica al tutto.
La prima volta che approcciai questa boss fight lo feci con leggerezza, e come sempre rimasi fregato. Non avevo capito si trattasse di uno scontro nudo e crudo, pronto a punirti al minimo errore. La semplicità della boss fight si tramuta nella sua difficoltà più grande, visto che Olga è un soldato pericolosissimo abilissimo a giocarsi le sue carte.
La donna infatti sfrutta l’ambiente per nascondersi ed attaccare Snake che intanto (io come giocatore) analizza l’ambiente circostante, in attesa del colpo che avrebbe messo fine ai giochi. Quel colpo non lo trovai e impiegai ore per risolvere quello scontro. Alla fine della furia omicida, offuscata sempre e comunque dalla bellezza del tutto, decisi di assestare dei colpi di precisione, e tramite un headshot vecchia scuola, venni a conoscenza che Olga poteva morire anche con un solo colpo ben assestato alla testa.
Anche in questo caso la concezione di boss fight è ampiamente diversa rispetto alla maggior parte dei titoli dell’epoca, visto che di solito si richiede di consumare tutta la barra di energia per abbattere il nemico. Nel caso di Olga, come ho appena raccontato, il realismo la fa da padrone e puoi risolvere lo scontro se riesci ad essere analitico, preciso e celere nelle tue decisioni.
“Vedo che hai sofferto dello stesso mio trauma. Siamo davvero simili io e te…”
Qui abbiamo la conferma dell’unicità di Hideo Kojima. Il drammatico personaggio di Psycho Mantis è stato sfruttato per tirare fuori dal cilindro una delle trovate più ingegnose di sempre. Infatti oltre all’immenso talento registico, il game designer sfoggia anche un trionfo di virtuosismi volti a rompere la quarta parete tra pubblico e videogioco, che durante questa boss fight non esiste più.
Quando provai per la prima volta l’ebbrezza di un personaggio videoludico che leggeva i dati salvati sulla mia memory card, ne rimasi esterrefatto, ero come drogato (anche se a 12 anni bevevo solo succhi pieni di zuccheri, ndr). Come se non bastasse il dialogo continuava e intanto Mantis mi commentava anche i progressi effettuati in-game e i titoli specifici che avevo giocato, assurdo. Assurdo come l’improponibile doppiaggio in italiano.
Il talento sopraffino e la passione di Kojima di certo non finiscono qui: Psycho Mantis per dimostrare il suo potere faceva vibrare il controller del giocatore, successivamente avveniva il famigerato blackout con la scritta in verde sulla destra “Hideo”. La prima volta che mi successe ebbi una discreta paura, ma la forza di volontà mi costrinse a combattere, o meglio aspettare. Rimanendo con la vibrazione attiva per un buon lasso di tempo, arrivai alla conclusione di cambiare slot risolvendo così la soluzione. Dai ero un ragazzino, concedetemelo.
Una volta rigiocato però, come tutti i capolavori, ho sviscerato pienamente la struggente vicenda occultata nel personaggio di Mantis, che ancora oggi mi copre il viso di lacrime. Le sue ultime e devastanti parole coronano una vita di battaglie e guerre, concluse finalmente nella pace, in un ultimo desiderio: Snake copre il volto sfigurato dell’uomo con la sua speciale maschera antigas, realizzando l’ultimo gesto di pietà verso quello che in precedenza era il suo nemico, desideroso solamente di morire isolato nel proprio mondo, dove i pensieri delle persone non potevano penetrare. Una scrittura superba, profonda e raffinata fa da leitmotiv ad un gameplay all’avanguardia e sopra le righe che ancora oggi detta legge.
“La battaglia porta alla morte. La morte porta dispiacere. Forse i vivi non lo sentono. Le loro voci non penetrano orecchi sordi. Ma non sbagliare…i morti stanno zitti.”
Questa frase racchiude tutta l’essenza narrativa di questa boss fight, che ancora una volta regala pathos e stile come se piovesse. Partendo sempre dal lato tecnico, questa volta The Sorrow si combatte in un fiume, in una location suggestiva, dalle tinte horror, che si amalgama alla perfezione col racconto e il messaggio affrontato.
Una regia dinamica si proietta sui volti dei protagonisti della scena, intenti a scambiarsi battute memorabili. La pioggia batte intensamente sulla telecamera e appena concluso il discorso The Sorrow piange lacrime di sangue, vola in alto e libera il cammino sanguinoso che Snake dovrà compiere per uscire vivo dalla lotta. Momenti altissimi, specie se parliamo in ambito videoludico. Rispetto ad Olga e Psycho Mantis, questa terza posizione lascia spazio al simbolismo più che alla boss fight in sé, regalando uno struggente e singolare evento al giocatore, che ancora una volta rimane sorpreso dal talento di Kojima che gli spara davanti tutti i suoi demoni.
La narrazione, tingendosi di sofferenza scinde e si eleva al di sopra del classico medium videoludico, catapultando nuovamente il giocatore nella lettura della vicenda affrontata. Scommetto quello che volete che al tempo, mentre affrontavate il percorso scandito e creato da The Sorrow, ognuno di voi ha provato e vissuto sensazioni e emozioni diverse, visto che lo scontro si articola e si basa sul percorso del singolo, insieme alle vittime cadute per mano dei videogiocatori.
Quindi qui il colpo di genio inerente alla boss fight in questione, si basava sul modo soggettivo di approcciarsi al gioco, scatenando i sensi di colpa, e i peccati commessi durante il corso della partita. Infatti, nonostante fossi più grandicello – forse per questo la cosa mi toccò parecchio – percepii un po’ di malessere durante questo percorso, che ancora oggi, dopo anni e anni di distanza mi disturba allegramente come se fosse ieri.
I fantasmi del passato e quelli attuali venivano vomitati fuori di Snake, che di volta in volta è stato gestito da un videogiocatore diverso. Una sorta di meta-narrazione dove l’autore interviene indirettamente nella sua opera per scrivere milioni di storie diverse all’interno del suo gioco, tramite l’ausilio del suo pubblico.
“Spiriti della foresta… vi ringrazio. Io ho girovagato per più di un secolo e ora il mio viaggio giunge al termine. Un modo splendido… per scrivere la parola Fine… Non ho rimpianti. Finalmente posso tornare alla foresta.”
Nelle posizioni più prestigiose non può che esserci l’immenso cecchino: il dolce e sempreverde vecchietto, The End. Uno dei membri più pericolosi dell’Unità Cobra. L’abilissimo tiratore scelto, insieme al suo pappagallo doneranno una meravigliosa boss fight al nostro Snake, che questa volta deve spremere intensamente il cervello.
Un boss che può risultare complicato e semplice allo stesso tempo (visto che spegnendo la console per qualche giorno, il cecchino muore di vecchiaia), capace sempre e comunque di regalare tra gli scontri più belli di sempre nella storia dei videogiochi. Un tocco di classe, una sfida tattica, strategica, volta a testare la nostra pazienza nella vita, e davanti alla Playstation.
Uno scontro epico capace di condurre la mia psiche in uno stato catatonico, dove il mio obiettivo era eliminare quel maledetto cecchino (sì quando vai alle scuole medie, ricordiamo che è la vita che si intromette tra te e i videogiochi). Con in mano la mia guida cartacea recuperata da una delle tante riviste che si trovavano in edicola, cercai di capire il metodo rimanendo ancora una volta deluso.
L’estenuante, tortuosa e lunga battaglia si svolge in più luoghi e richiede mimetismo, pazienza, attenzione e vista da falco. Tutte skills utili anche se senza sapere come, mi ritrovai alle sue spalle, riuscendo finalmente a sparargli il colpo finale che avrebbe chiuso i giochi. Ancora oggi questa boss fight si presenta come una delle più articolate in tutta la storia videoludica. Proprio per questo il tocco magico di Hideo con The End è stato davvero unico e irripetibile.
“Snake, noi siamo stati creati dai Patriots. Non siamo uomini. Siamo ombre con la forma di uomini. Tutto è iniziato con Big Boss e Zero. Lo scopo della nostra vita è realizzare i nostri destini. Una volta che tutto sarà azzerato, il mondo potrà rinascere.”
L’epico scontro tra Solid Snake e Liquid Ocelot è il coronamento di un’epopea immensa, che si risolve in questo combattimento finale. Attraverso una regia memorabile, i due sfoggiano un estro indimenticabile, figlio della loro natura, padrone del loro destino. Nati per essere guerrieri, vissuti per sanguinare.
Hideo Kojima tramite sprazzi di flashback durante la lotta, impreziosita dalle soundtracks principali dei quattro capitoli della Metal Gear Saga, ripercorre la sua storia, che colpo dopo colpo rievoca ricordi inestimabili, crudi e diretti. Giocai il quarto capitolo qualche anno fa e ancora oggi, mi ritrovo davanti a una conclusione unica che come se non bastasse; non solo ti regala un gameplay frenetico e diretto ma ti dona anche il sentimento soggettivo che collega ognuno di noi alla storia, ai personaggi, in un sogno a occhi aperti che ha catapultato tutti, letteralmente in un altro mondo.
Un grido di rabbia, dolore e sofferenza dà inizio a una boss fight che ancora oggi rimane un caposaldo della storia videoludica. Sono davvero pochi i titoli che hanno chiuso la sua epopea come fatto da MGS 4 e proprio per questo l’ho scelto per ricordarvi l’importanza e la potenza visiva ed emozionale di questo scontro impresso a fuoco nel cuore di tutti gli appassionati.
“La fine della vita… non è bella? È quasi tragica… Quando la vita fiorisce, emana un ultimo odore duraturo…La luce non è che un dono d’addio delle tenebre a coloro che si avviano a morire.”
Ok è il momento del bonus e quindi non potevo non inserire la boss fight con The Boss, aka Voyevoda, nell’onirico campo di stelle di Betlemme bianche.
Rispetto alle location precedenti, questa è costiuita da una nebbia astratta; un posto fuori dal tempo. Proprio con il suddetto movente ho deciso di raccontare questa “posizione” in un modo serratamente specifico. Per quanto quella con The Sorrow introduca un ambiente distorto e fuori dalla concezione naturale delle cose, il campo fiorito dove si affronta The Boss è qualcosa di singolare, di unico, volto a coronare un’intera vita fatta di tradimenti, guerre e distruzione; dove il nostro nemico ne è il capro espiatorio, la vittima sacrificale. Il bianco rappresenta la purezza, e il rosso sangue che sporca tutto. Come sempre.
Un luogo sacro (non a caso i fiori sono stelle di Betlemme) dove l’uomo si cancella, si dissolve, per fare spazio alla leggenda. Una leggenda coronata dal sangue e dalla vendetta, che ancora una volta oscura la purezza dei fiori e del bianco, per sporcarli ancora una volta con il sangue, a boss fight conclusa. Il sangue è innocente in questo caso, e ancora una volta viene versato in onore di qualcosa di più grande.
Quando mi trovai di fronte all’ardua sentenza finale mi resi conto della forza poetica e dura di quelle sequenze, che prendono forma nei proiettili della mitragliatrice di The Boss, che in quel momento possono considerarsi la prosa sporca, violenta e beffarda di Hideo Kojima, visto che il colpo finale, che porrà fine alla vita della donna, dobbiamo spararlo noi. La prima volta pensavo che si potesse scegliere, magari aspettando qualche secondo prima di premere quel maledetto tasto… ma così non è stato. Fortunatamente ci fu mio fratello quel giorno a premerlo con me.
Con questo ultimo ricordo si conclude questa classifica: mi auguro vi sia piaciuta e vi aspetto per commentarla insieme anche sui social!
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