Il 23 febbraio di quest’anno è accaduto qualcosa di unico: complici le vacanze di Pasqua e il lockdown necessario a tamponare il dilagarsi del Covid-19, mi sono trovato i figli a casa a tempo indeterminato. Nel giro di quarantotto ore si è ripresentata l’amica che tiene compagnia ai genitori videogiocatori che attendono le tenebre per sfogare la propria frustrazione. Non sto parlando di Federica, ché quella è amica di tutti, ma dell’odiata insonnia. Sveglia puntata alle sette del mattino anche quando sono le tre di notte. Ormai son più di due mesi che va avanti così… Invece che disperarmi ho sfruttato le lunghe veglie per approfondire un genere che avevo un po’ trascurato ma che, da sempre, ha suscitato in me grande ingordigia: il city-building.
Quali sono i giochi imprescindibili – oggi – quando si parla di costruire città?
Dal 23 febbraio a oggi, 10 maggio 2020, ho dedicato una decina di ore a ciascuno dei principali esponenti del genere, per un totale di quattordici IP e una spesa complessiva davvero risibile. Oggi, infatti, ci si può impegnare con qualcosa di serio (e tripla A) senza mettere sul piatto tanti quattrini o profittevoli promesse di matrimonio. Con l’obiettivo dichiarato di aiutarvi a uscire serenamente dalla Fase 2 senza rovinare le vostre finanze, ho quindi pensato di realizzare un piccolo speciale per stilare una classifica dei cinque titoli imprescindibili – oggi – quando si parla di costruire “città” in un regime di risorse economiche scarse. Al netto della premessa, non vi consiglierò Cities: Skylines, il city-builder più gettonato di tutti e a cui ho dedicato un monte ore vertiginoso. Per giocarlo come si deve, quindi avendo a disposizione tutti i DLC principali, avreste bisogno di tanto denaro quanto ne servirebbe per acquistare quelli di cui vi scriverò. Ca va san dire: starà poi a voi scegliere tra la quantità e la monotonia, ché io non ho dubbio alcuno (dannata monogamia!).
Prima di partire con la classifica (dal migliore in giù, sempre secondo me) ci tengo a una piccola anteprima: sto preparando la mia classica “recensione for dummies” per ciascuno dei titoli in elenco, quindi appena pronte provvederò a inserire i link così da agevolarne la lettura anche partendo da questo articolo. Buon viaggio!
Tropico 6 è stato pubblicato poco più di un anno fa, andandosi a inserire in un mercato ben diverso da quello a cui si era affacciato, nel 2014, il quinto capitolo della serie. Nell’ultimo lustro, infatti, il genere dei city-builder è letteralmente esploso, con titoli dai valori produttivi molto differenti e alcune chicche in Accesso Anticipato che lèvati (come Endzone – A World Apart). La creatura di Limbic Entertainment, però, spicca per la qualità del suo comparto tecnico, per un gameplay robusto e variegato, per una rigiocabilità garantita dalle diverse politiche adottabili per “sottomettere” la popolazione, i tanti processi industriali attivabili o la pianificazione urbana volta all’economia del turismo. Vi basterebbe pensare ai primi contenuti aggiuntivi usciti: The LLama of Wall Street e Spitter, che inseriscono elementi di gioco quali la fluttuazione del prezzo delle merci e un social network per manipolare l’influenza sulla politica interna ed estera senza però stravolgere le meccaniche (quindi non obbligandovi ad acquistarli per godere pienamente della versione vanilla). Poi: sarà che io sono un po’ in là con gli anni ma il setting tropicale fatto di spiagge, acque cristalline, foreste vergini e quel ritmo da “Sud America che stai lì davanti, con le tante tue virtù sulfamidiche” (Pieragnelo Bertoli, 1984) mi prende proprio per la gola. Credo di aver passato un paio d’ore solo a studiare la mappa (una delle) per decidermi sul dove collocare fattorie e piantagioni, perdendomi tra un comparto grafico a mio avviso eccezionale.
Tropico 6 spicca per la sua qualità generale
In termini di gameplay Tropico non è solo un city-builder ma un vero e proprio gestionale, che mescola quindi le carte in tavola un po’ come fosse un capitolo della serie Anno (di cui parlerò tra poco) privilegiando i dettagli dell’urbanizzazione all’estensione della stessa rendendo però indispensabile gestire il consenso della popolazione, la relazione con le altre potenze e l’export. Di carne al fuoco ce n’è davvero tanta e ne riparleremo in sede di recensione, anche perché Tropico 6, al pari dei suoi predecessori, è un titolo divertente a prescindere dal risultato che si vuole raggiungere: tra il covo dei pirati da mandare in missione per rubare le pietre di Stonehenge e il nosocomio in cui rinchiudere i tropicani dissidenti, passando per lo sfruttamento del lavoro e quel costante senso di essere prossimi all’impeachment, di cose da fare ce ne sono davvero in abbondanza. Se siete digiuni o quanto scritto vi ha incuriosito, Tropico 6 è un must buy che, quando in sconto, non arriva ai venti euro (e lo scrivo senza tema di smentita).
Di Endzone – A World Apart ho già scritto qui e non c’è sede migliore per ribadire quanto detto: il lavoro fatto da Gentlymad Studios per restituire concretezza alla micro gestione di un insediamento è di una qualità fuori scala, forse anche migliore di quel gran pezzo di software che è – ancora – Banished. Per offrirvi una veloce panoramica del gameplay posso partire dall’incipit: la terra è stata devastata dalla furia dell’atomo ed è tornata abitabile solo centocinquant’anni dopo. Le generazioni sopravvissute alla catastrofe, cresciute in bunker sotterranei come fossero protagoniste di Fallout, escono dai loro rifugi per colonizzare nuovamente il pianeta. Si parte con un piccolo numero di braccianti a cui bisognerà dare da bere, da mangiare, un tetto, un lavoro e un sacco di dispositivi di protezione individuale antiradiazioni. Questi si sposeranno, avranno figli e nel giro di un amen ci troveremo a dover governare una piccola città realizzata con grande cura dei dettagli. La terra si può nuovamente coltivare – in quelle aree in cui l’umidità relativa lo permette – e le acque dolci sono tornate “potabili”, ma edifici e attrezzi si dovranno costruire con le macerie della civiltà precedente. A scompigliare i piani ci si metteranno tempeste radioattive e siccità, rendendo il gameplay di Endzone qualcosa di davvero unico ed eccezionale.
Avete già letto la nostra anteprima di Endzone?
Non ha senso dilungarmi oltre, vista l’anteprima già pubblicata, ma il nuovo aggiornamento (Expeditions Update) introduce la possibilità di mandare in avanscoperta alcuni scout. La mappa è disseminata di reliquie e architetture industriali in cui si possono trovare beni esclusivi. Questa nuova opzione mi ha ricordato, giusto per introdurre il prossimo titolo, le scorribande tra i ghiacci dei ricognitori di Frostpunk. La sensazione è la stessa: là fuori c’è un ignoto che attende di essere riportato alla luce ed è difficile contenere il desiderio di scoprirlo nella sua interezza. Endzone – A World Apart, ancora in Accesso Anticipato ma quasi pronto, è acquistabile anche nella Save the World Edition: costa leggermente di più ma offre la colonna sonora e un albero vero, che verrà piantato grazie alla collaborazione tra Assemble Entertainment e Ontetree Planted per contrastare il cambiamento climatico. Siam mica qui a pettinare le bambole, eh?!
Ricordo di averne sentito parlare, per la prima volta, a giugno del 2017. Un amico lo aveva provato a Los Angeles in occasione dell’E3; al suo rientro ne chiacchierammo per un’ora buona e me ne innamorai per interposta persona. Frostpunk si è conquistato una posizione al vertice nel genere dei city-builder per tanti motivi. In primis è un gioco “completo”, ossia permette di gestire l’urbanizzazione, la produzione, la popolazione, le linee di governo, l’espansione, i cambiamenti climatici e l’evoluzione dell’insediamento. In secondo luogo è un prodotto rifinito quasi maniacalmente in ogni sua sfaccettatura: interfaccia, localizzazione, artwork, ottimizzazione, accessibilità, immediatezza. Frostpunk è anche bellissimo da vedere, con quella sua atmosfera da Ottocento post apocalittico fatto di vapori, ghiacci e architetture industriali di metallo. Infine è un city-builder complesso, con dinamiche di micro gestione molto chiare all’interno di un meccanismo di azione/reazione capace di restituire concretezza palpabile alle decisioni prese.
Frostpunk è nell’Olimpo dei city-builder (e ci resterà)
A conti fatti, Frostpunk sarebbe il mio city-builder preferito del momento se non fosse per quella sensazione di precarietà che tiene il giocatore sempre sul “chi va là?”. Il contesto narrativo, infatti, è quello di una diaspora coatta della popolazione londinese verso alcuni generatori di calore posizionati in enclavi naturali in cui il gelo, che ha decimato la popolazione mondiale, può essere calmierato. La partita inizia con qualche decina di sopravvissuti tra i quali donne, anziani e bambini. Non hanno portato risorse utili, o cibo, e stanno per morire: tutti (proprio tutti) devono immediatamente iniziare a lavorare per estrarre materie prime utili all’edificazione dei primi ripari. Con il trascorrere dei giorni cresceranno i bisogni – vuoi di un ambulatorio medico, vuoi di una serra per coltivare qualche misero ortaggio – e gli oneri: uno dei selling point della creatura di 11 bit studio (già autori di This War of Mine) è proprio quello dell’emanazione di leggi drastiche, necessarie per governare una popolazione sull’orlo della sconfitta. Voglio fare giusto due esempi per rendervi l’idea: i bambini possono essere considerati forza lavoro quando non ci sono abbastanza braccianti per raccogliere il carbone nelle miniere e sta per arrivare una tormenta? O ancora: una persona gravemente malata, che non può guarire, dev’essere tenuta in vita in una struttura apposita, sottraendo cibo e risorse scarse agli altri, oppure per il bene della comunità è meglio “lasciarla andare”? Frostpunk è quindi la quintessenza dei survival, però declinata in salsa city-builder. Considerato il prezzo a cui è possibile acquistarlo (meno di dieci euro), credo fermamente sia da mettere in libreria anche solo per saggiarne la qualità.
Non avevo mai giocato un esponente della serie Anno finché il Covid-19 non m’ha costretto a casa a fare i conti con la mia tracotante autostima da statista. Fatto sta che nel mio infruttuoso peregrinare in cerca di una Complete Edition di Anno 1800 a prezzo abbordabile (ultimo e più recente capitolo della serie) sono incappato in un’offerta che non potevo rifiutare: 3.75 euro IVA inclusa, sullo store di Uplay, per la Gold di Anno 1404. Beh: non ho fatto tempo a terminare il download e a lanciare l’eseguibile, appena finito di cenare, che ho guardato l’orologio ed erano le tre del mattino (e qui si mangia presto).
Anno 1404 lo si trova anche a meno di quattro euro su Uplay
Se il periodo storico di riferimento è quello del Rinascimento, con tanto di potenze straniere che “credevano a un altro diverso da te e non mi hanno fatto del male” (Il testamento di Tito – De André, 1970) disseminate per le tante isole delle mappe giocabili (e ce ne sono diverse, a seconda degli scenari offerti compresi quelli dell’espansione Venice), Anno 1404 non tenta la strada della ricostruzione storica. Questa è una caratteristica tipica degli Anno, quindi teniamo buono il riferimento al quindicesimo secolo per avere il giusto incipit nella modalità campagna: abbiamo una colonia che deve crescere, una barca per raggiungere le isole limitrofe e un esemplare tutorial che permette di apprendere le basi del gameplay. Tutto ruota attorno al commercio di beni e materie prime, con il mercato cittadino come fulcro attorno al quale far sviluppare l’insediamento. La catena produttiva, analogamente a quanto proposto dal Tropico 6 consigliato poco fa, prevede l’estrazione o la raccolta di una risorsa che può essere esportata così com’è – i.e. per alimentare una tratta di scambio con uno degli avversari gestiti dalla CPU – oppure raffinata in un laboratorio per ottenere un semilavorato. A questo punto sarà compito di un terzo attore della filiera – la bottega – sfruttare i semilavorati e confezionare abiti o attrezzi da lavoro (giusto per citarne due) da utilizzare per le future produzioni o da vendere al miglior offerente. La catena appena descritta è la caratteristica di Anno 1404 che mi ha fatto partire l’embolo causandomi una sorta di “dipendenza”, perché le materie prime sono tantissime (legno, sassi, pietre preziose, cacciagione, pesce, frutta, verdura, canapa…) e le possibilità di personalizzare la colonia facendola diventare la patria del sidro è stato il fil rouge che mi ha guidato nelle sere successive a quella “delle tre del mattino”.
Anno 1404 è un titolo completo sotto ogni punto di vista
In verità Anno 1404 è un titolo completo sotto ogni punto di vista. La cittadina sembra vivere una vita propria, con tanto di innumerevoli varianti di coloni in varie faccende affaccendati. Le architetture europee sono una delizia per gli occhi mentre quelle orientali, adatte alle isole calde del sud, sono finanche sbalorditive. Sul mio Ryzen 5 1600, sposato a una misera Nvidia 1050ti, il gioco viaggia a 1080p con dettaglio massimo senza tentennamenti, eppure il comparto grafico messo in piedi da Related Design nel 2009 non sembra invecchiato di un giorno. L’invito che vi faccio è quello di comprarlo come fosse una colazione al bar e provarlo, anche solo per tre ore. Poi tornate qui che parliamo di come trasformare un contadino in un patrizio, di come funzionano i patti diplomatici tra le potenze avversarie e del perché le recensioni degli Anno lette fino a oggi non sono state in grado di farmi capire quali meraviglie aveva in serbo per me questa serie.
La quinta posizione doveva inizialmente essere occupata dall’ultima iterazione della leggendaria creatura di Maxis, ossia quel SimCity (5?) che nel 2013 lasciò di stucco tutti i fan della serie per la sua “rivoluzione”. Una mappa di gioco molto piccola, regioni con diverse specializzazioni e collegate dal commercio e dalla diplomazia, la richiesta di una connessione persistente alla rete che… beh, oggi non è più necessaria ma a quei tempi fece infuriare tutti. Non ci sono validi motivi per non tornare a vestire i panni del sindaco della più famosa città dei videogiochi e nella mia mini-run di sette ore mi sono divertito molto, forse troppo, specie nel tentativo di capire quali fossero le differenze rispetto al capitolo precedente. Qualche giorno dopo, però, Strategy Labs ha pubblicato una grande demo gratuita del suo prossimo titolo: Builder of Egypt, un city-builder a tema Antico Egitto in cui l’urbanizzazione procede forse troppo rigidamente ma con quel retrogusto da “dove posiziono il mattonificio?” che ha un suo evidente fascino. Complice una mappa davvero fantastica, quei colori da “terra di Siena anche se siamo sul Nilo”, le palme mosse dal vento, la mia Nvidia 1050ti che finalmente non regge il colpo con la contemporaneità, la qualità generale del lungo tutorial e la sua gratuità mi avevano convinto a suggerirlo in sede di SimCity 5 (ok, soprattutto per il fatto che era gratis, ma non perdiamoci in quisquiglie). Giusto qualche giorno dopo, però, nella raccolta dell’Humble Choice di maggio viene inclusa quella perla di Rise of Industries e finisce che qualcuno si ritrova con una chiave doppia di cui non sa cosa farsene… e quindi il Cinese, mettendo sul piatto pochi spiccioli, si vede costretto a imparare nuovi modi per sviluppare catene produttive senza generare traffico o inquinare (troppo).
se avete amato SimFarm per Farm Manager 2018 diventerete ciechi
“In verità, in verità io vi dico” (Giovanni 13:21-33.36-38) avrei voluto fare un secondo speciale in cui consigliarvi anche The Settlers 7: Paths to a Kingdom – che ho recuperato sempre in questi due mesi di emergenza sanitaria – e Farm Manager 2018 – con la sua espansione per diventare viticoltori provetti. Perché non l’ho fatto? Nel primo caso la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’assenza dell’italiano quando ricordo perfettamente della sua presenza nella versione retail; nel secondo il fatto che l’ho iniziato giusto ieri notte e sono ancora troppo acerbo per suggerivene l’acquisto (invece no: compratelo adesso perché se avete amato SimFarm per Farm Manager 2018 diventerete ciechi).
Insomma, tentiamo un recap veloce: dal 23 febbraio a oggi, 10 maggio 2020, ho giocato quattordici (14) city-builder spettacolari. Con questo articolo ho voluto parlarvi di quelli che, a mio avviso, meritano i vostri soldi e il vostro tempo. L’ho già scritto all’inizio: arriveranno anche tutte le recensioni. Se comunque avete domande o siete curiosi di sapere se ascolto Lo Scassapixel per la voce di Tommaso Stio o per quella di Giuseppe Pirozzi, ma soprattutto perché proprio “per quella di Pirozzi” (no, non è vero… voglio bene a entrambi) vi aspetto nei commenti al grido di #distantimauniti.
PS
L’immagine in evidenza ritrare il Will Wright di oggi. Non credo siano necessarie troppe spiegazioni su di lui quindi vi segnalo solo che qui potete trovare una sua splendida intervista.
Questo speciale sui city-builder contribuisce a sostenere la ricerca scientifica sulla sindrome di Rett. Trovate i dettagli dell’iniziativa a questo link.
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Uè nino, #distantimauniti... vai vai da Pirozzi
asd
Persino nel mondo apocalittico di Frostpunk una roba come Lo Scassapixel non esiste, prova che questa è la timeline più oscura #distantimauniti
Facciamoci anche due domande sul "dove protemmo andare a finire".
Frostpunk è stato amore al primo ghiaccio e a breve dovrebbero esserci notizie sull'ultima espansione.
E Dio sia lodato per quel season pass a meno di 10 euro! XD