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La Storia dei Videogiochi, capitolo I

Do il benvenuto al lettore a quella che sin dalla propria altisonante intestazione colloca su sé stessa un’ambizione indubbiamente di grande valore come dalle forti connotazioni storiche, pur definitivamente necessarie ai fini di una migliore comprensione di un concetto tanto complesso quale il videogioco, tentando di intraprendere un sentiero certamente rischioso collocandolo all’interno di un contesto potenzialmente didascalico quale quello di una cronicizzazione periodica del suo arco evolutivo in costante divenire, proprio perciò invero intentando un sentiero quanto più coinvolto, in termini emotivi quanto espressamente espositivi, ai fini dell’istituzione di un racconto che possa avvicinarsi ad un viaggio epocale, certamente intensivo e campale ma, speranzosamente, gradito da chiunque sia coinvolto da ambo le parti di una serie di episodi di vitale importanza che hanno reso il videogioco l’immenso e cesellato universo di pixel (e non solo) all’attuale luce del popolo di stampo internazionale.

Per discutere le origini del videogioco è necessario accreditare quella che probabilmente risulterebbe alla gran parte delle persone come la genesi maggiormente associabile a ciò che è possibile collocarsi all’inizio di una rivoluzione tecnologica tanto avveniristica, ovvero una prima applicazione in ambito bellico risalente all’anno 1947, in cui al timone di Thomas T. Goldstein ed Estle Ray Mann venne concepita una simulazione di uno scudo artigliere su tubo catodico connesso ad un oscilloscopio e comandato da una serie di comandi manuali, che lo rendono per struttura, utilizzo e comunanze dinamiche e costruttive il primo, ed unico, antesignano del medium interattivo, seppur suggerendo alcuni estremi la cui evoluzione futura che ne conseguì è ormai ben nota a chiunque ed il cui fascino si percepisce sin da questa prima iterazione, in quanto il concetto di ineccepibile interattività ad essa intrinseca riporta immediatamente ad un immaginario preciso, inamovibilmente costante e proprio per tale motivazione capace di assolvere a qualunque epoca e divenire riconoscibile in ogni tempo da esso vissuto.

Non fu, per altro, tardiva la giunta dei primi videogiochi in senso stretto e di evoluzioni dei costrutti tecnologici in tempi praticamente immediati, da un altisonante Bertie the Brain, piccolo gioco elettronico ripropositivo del Tris che si riallacciava in chiave concettuale con il precedente Turochamp, elaborato invece da Alan Turing e David Champernowne e simulatore del gioco degli scacchi, giungendo poi alla creazione di Nimrod, una reale piattaforma di gioco che permise di focalizzare in termini principalmente elettronici l’interazione ludica e la sua fruizione nella definitiva dimensione digitale, un passaggio assolutamente trasversale per un metodo di gioco embrionale ma che trovò il proprio contesto in tempi brevissimi, un vero e proprio miracolo di traslitterazione, una chiave di volta impattante al punto tale da scaturire realmente un fenomeno intestino in crescendo, portando molteplici studi di ricerca alla creazione di giochi non visivi ma ora imprescindibilmente legati ad un archetipo ben definito, ormai letto ed assolto in totale governanza e sicurezza su cui le entità più luminari della società allora contemporanea intuirono un sostanziale progresso nei meriti dell’approccio alla materia tecnologica, rodante su diversi livelli a favore di un’unione collaborativa viscerale dell’uomo alla macchina (in un parallelismo quasi ravvicinabile alla filosofia cibernetica di Isaac Asimov, da cui è possibile sviscerare ed applicare prospetticamente diverse connessioni di stampo sociale ben più evidenziate nel corso dei propri decenni successivi di maggiore espansione mediatica e commerciale, in cui tale fenomenica ha acquisito gradualmente un’adesione tanto più vicina alla realtà).

L’atto successivo fu la costruzione di un fattore interattivo in trascendentale divenire all’evoluzione della palpabile tridimensionalità insita in questo, ovvero l’avvento, attorno alla metà degli anni ‘50, dell’originario prototipo di intelligenza artificiale capace di rispondere e fronteggiare semplici problemi di stampo calcolatorio ed aritmetico od impostare variabili di situazioni differenti in ambito simulativo applicate al bacino dello stadio iniziale discorso nei primi vagiti storici di appartenenza, dando una sostanza vitale, seppur fittizia, al gioco interattivo in proiezione ad un concetto di confronto e sfida dalla maggiore complessità, ciò che probabilmente potrebbe considerarsi l’esperimento capostipite nella concezione del videogioco dai suoi albori inteso come espansione esponenziale delle meccaniche competitive tra creazione e creatore.

Sovviene dunque la necessità di comporre un’identità non socio-antropologica essenzialmente donativa che dapprima colloca un’autonomia indotta della macchina, seppur attraverso algoritmi e circuiti, compiuta agli atti di un lavoro di mutuazione il quale, aderendo a questa definizione, era nuovamente utilizzato per uno studio cognitivo ancor più elevato che poneva le proprie fondamenta sul progresso raggiunto e raggiungibile, perorando l’escavazione delle capacità percorribili in un contesto strettamente scientifico basato sulla collaborazione percettiva e sinaptica dell’uomo e finalmente anche della macchina stessa, in senso lato, in un dialogo costituito dal tessuto comunicativo di un principio di paradigma, destinato a discorrere in ampliamento continuo sino all’attualità ora conosciuta, come vedremo successivamente nel percorso intrapreso.

Mantenendo questo inossidabile punto come maggiore istituzione nelle dinamiche interattive che decostruiscono sino all’azimut l’atto del gioco e la grezza componente ludica che andò componendosi nel corso di questo battesimale decennio, sovviene necessario anche delineare la forza visiva che compone il suffisso della parola “videogioco”, ed anche in questo quadrante la Storia da un ausilio fondamentale per comprendere l’eco dello scheletro completo e dell’anatomia articolata che avrebbe preso una propria concretezza costituendo la vera natura di questo enorme medium, portandoci nel medesimo periodo storico ma in un operato parallelo, in questo caso capitalizzando dal lavoro di Alexander S. Douglas, un professore di scienze informatiche che comprese la necessità di sostenere un rapporto e un ponte di collegamento reale e tangibile con l’organismo elettronico che non fosse esclusivamente attingente da un meccanismo di mera decodificazione tecnica, comprendendo in sé una fruibilità di migliore accessibilità ed adottando, in termini cronologicamente paralleli all’avvento del computer, l’utilizzo di uno schermo da gioco a cui affiancare un motore grafico la cui elaborazione vettoriale si aggiorna ad ogni mossa del giocatore, inserendo un sistema di controllo curioso ma corroborato dalla quotidianità, ovvero un telefono fisso a composizione rotatoria ove i tasti costituiscono, alla pressione, un comando ben preciso atto a compiere qualsivoglia tipologia di mossa a schermo; tutto questo comporrà realmente il primissimo concetto di controller in un gioco visivo, ritagliandone nella sua totalità la funzione di dispositivo di input.

Nel corso di pochissimi anni si è giunti, attraverso il trampolino dato da Douglas e dal Manchester Mark 1, computer la cui programmazione incentivava la sperimentazione dei mezzi di diramazione della grafica visiva sui rudimenti nozionistici del professore britannico, ad un’impostazione tecnica in tempo reale, avente ovvero una velocità di calcolo tale da definire modifiche contemporanee al cambio morfologico delle proprie mosse, la quale ebbe la propria nascita con lo sviluppo di due giochi che sarebbero a loro volta divenuti pietre miliari del genere proprio per la natura agonistica che li contraddistingue, ovvero una simulazione di biliardo e Tennis for Two, concepiti in tempi differenti ma acclusi in un importante tassello evolutivo dai caratteri innovativi e risonanti di cui quest’ultimo ebbe un fortunato contatto con il pubblico, invero unico e raro per il periodo storico considerando l’embrionalità ancor presente negli ambiti più didattici e scolastici del caso, oltre ad essere gli ultimi grandi capisaldi di questa tappa anteriore ed iniziativa, antecedenti ad un lungo periodo di dormienza e di sotteso studio delle colonne portanti erette sino a tal momento che coinvolsero gli ultimi anni del decennale narrato in questa sede, privi di reali scosse al metodo di approfondimento se non per l’aumento esponenziale di produzioni ludiche istanziate in molteplici centri di ricerca, proporzionale al numero di computer sperimentali allo scopo di ottimizzare le dinamiche di programmazione e molteplici protogeneri di funzione laboratoria.

È possibile individuare sin da subito il particolare iter di concepimento e instaurazione che l’idea abbia avuto, salvo un culmine dal quale sopraggiunse uno stallo inevitabile per causa di una florida e cospicua concatenazione di importanti fattori di carattere contestuale in quanto inseriti in un lasso temporale caratterizzato da enormi cambiamenti socio-politici che avrebbero dato vita alla nostra contemporaneità, luogo temporale fortemente affiancato ad un analogo investimento morale ed economico foraggiato da un supporto ideale imponente in prospettiva di possibili crescite, libertà e un supporto coattivo, fattori che, come vedremo, avranno il proprio risvolto positivo, ma con un processo graduale e che riguarda il capitolo successivo del nostro percorso. Si conclude qui, ordunque, il nostro primo appuntamento con la storia dei videogiochi, un’introduzione dalle molteplici vicissitudini e dai crismi sorprendenti, certamente un punto di partenza di spicco e dimostrativo di un grande futuro, da dover escavare con assoluta cura e perizia in ogni suo anfratto.

Anthony Gatto

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