Prima ancora che nella narrativa, la supremazia Naughty Dog si è compiuta in ambito tecnologico. Grazie anche ad una tradizione di co-presidenti programmatori, la blasonata casa di sviluppo californiana ha saputo sfruttare con grande tempismo le potenzialità delle console Sony, in particolare Playstation e Playstation 3, conquistando così una posizione privilegiata nel microcosmo di studi first-party del colosso giapponese. Da molti anni, infatti, Naughty Dog gode della libertà creativa di uno studio indipendente e delle risorse di un produttore di AAA e le origini di questo privilegio risalgono fino alla metà degli anni ’90.
All’epoca, Naughty Dog era uno studio minuscolo, formato solamente dai due fondatori Andy Gavin e Jason Rubin, che aveva appena siglato un accordo di publishing con Sony e, con le cui risorse, aveva arruolato una manciata di persone per lavorare a quello che sarebbe diventato il platform tridimensionale per eccellenza targato Playstation, ovvero Crash Bandicoot (1996). Essendo l’hardware a disposizione ancora giovane e parzialmente ignaro delle sue stesse potenzialità, il lavoro sul gioco richiese due sforzi notevoli. Il primo fu sul fronte del game design: come era possibile non far sembrare vuoto una concezione ludica che funzionava a meraviglia nei corridoi bidimensionali ma che faticava a riempire i volumi? La quadra fu trovata limitando il movimento ad un corridoio allargato chiuso da barriere architettoniche (quasi sempre una foresta) ed introducendo la variazione tra movimento del personaggio da e verso la telecamera. Il secondo fu sul fronte tecnologico: era infatti poca la memoria a disposizione per mettere a schermo un numero di poligoni sufficiente da caratterizzare Crash nel dettaglio voluto e con fluidità soddisfacente. Come spiegato in un recente approfondimento di Ars Technica (che potete guardare qui), Andy Gavin, co-fondatore e capo programmatore (l’altro co-fondatore, Jason Rubin, si occupava maggiormente del lato artistico), inventò letteralmente un metodo poco ortodosso per aumentare la memoria a disposizione: fare a pezzetti le librerie Sony preinstallate nell’hardware, individuare le parti non strettamente essenziali e hackerare le corrispondenti parti di codice sostituendovi linee originali che andassero ad utilizzare le parti di memoria appena liberate. L’ottimizzazione tecnologica ha continuato a sostenere lo sviluppo di Naughty Dog in varie forme negli anni. Sempre su opera di Gavin, lo studio ha adottato linguaggi di programmazione interamente fatti in casa: prima GOOL (Game Oriented Object Lisp) per Crash Bandicoot, poi GOAL (Game Oriented Assembly Lisp) per Jak & Daxter.
Dopo l’acquisizione da parte di Sony, la necessità di condividere il know-how con una serie di studi first-party ha forzato il team con sede a Santa Monica a tornare ad utilizzare strumenti più convenzionali, ma non per questo l’attenzione sulla cura della tecnologia è venuta meno. A seguito dell’uscita dall’azienda dei due fondatori, avvenuta nel 2006 in piena era Playstation 2, l’avvicendamento al vertice ha portato al timone una nuova coppia di co-presidenti: Evan Wells (tutt’ora presidente) e Christophe Balestra. Quest’ultimo, ritiratosi nel 2017, è anch’esso un programmatore e, proprio come Gavin qualche anno prima, assume le redini del dipartimento programmazione in un momento complicato nel quale Naughty Dog si appresta ad approdare con una nuova IP su un hardware spinoso come Playstation 3. In una conferenza alla Game Developers Conference (GDC) del 2008, che potete ascoltare qui, Balestra presenta una visione d’insieme sulla tecnologia di Uncharted: Drake’s Fortune, raccontando le difficoltà incontrate nel produrre un gioco completamente diverso dai platform action/adventure che erano divenuti la specialità della casa di sviluppo californiana. Concepito per esemplificare il potenziale grafico e prestazione di PS3, il primo Uncharted ha gettato le basi tecnologiche che avrebbero sorretto opere molto più compiute dal punto di vista ludico, come Uncharted 2: Among thieves (Il covo dei Ladri, in italiano) e, soprattutto, The Last of Us. Quest’ultimo, uscito nel 2013, ha segnato il picco della generazione morente di console ed ha aperto la via per quella nascente: la sua edizione remaster ha permesso al team di Santa Monica di conoscere ed addomesticare la Playstation 4, permettendo cosi lo sviluppo relativamente più agevole di Uncharted 4: A thief’s end (La fine di un ladro, in italiano) e del suo DLC The Lost Legacy (L’eredità perduta). Tornando alla conferenza tenuta dal co-presidente Balestra, il cui contenuto è naturalmente di natura molto tecnica, ciò che colpisce è la volontà di mettere a punto un metodo di lavoro destinato a rimanere largamente immutato negli anni: un modus operandi basato sul perfezionismo ed innegabilmente facilitato dall’unicità dell’hardware di base. Infatti, nonostante i recenti annunci di porting su PC di alcune esclusive Playstation, i giochi Naughty Dog sono ancora oggi un’esclusiva Sony.
L’onore e l’onere di decidere l’altezza dell’asticella qualitativa dei videogiochi per console comporta una responsabilità impegnativa che, a volte, può causare problemi di sostenibilità. Recenti discussioni, innescate dal sempre informato ex reporter di Kotaku, Jason Schreier, hanno portato alla ribalta la presunta cultura del crunch di Naughty Dog. Sebbene l’assenza di dichiarazioni ufficiali renda quasi impossibile valutare le illazioni con cognizione di causa (a differenza di CD Projekt RED, Naughty Dog è sempre rimasta in silenzio sull’argomento), il nodo della questione appare chiaro. I videogiochi del livello di complessità di The Last of Us Part II sono estremamente difficili da sviluppare in un lasso di tempo e da un numero di persone prestabiliti: quando la produzione entra nelle sue fasi cruciali, spesso diviene inevitabile aumentare i ritmi di lavoro per mantenere le scadenze. Di conseguenza, le condizioni degli sviluppatori peggiorano con l’appropinquarsi della data di uscita del gioco. Molti veterani, tra cui gli stessi Christophe Balestra e Bruce Straley di Naughty Dog (quest’ultimo game director di Uncharted 2 e 4, e di The Last of Us), si ritirano in età relativamente giovane, citando come concausa l’enorme mole di lavoro sostenuta per anni. Sembra dunque inevitabile che l’industria videoludica sia presto chiamata a riorganizzarsi in termini strutturali ed il fiore all’occhiello dei first-party Sony non potrà esimersi dal trovare nuovi usi e costumi per ribadire la propria centralità nella strategia fortemente basata sulle esclusive della casa giapponese: senza dubbio, la tecnologia giocherà una parte decisiva in questo.
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