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La visione transumanista di Dead Space

Questo articolo si concentra sulla trilogia di Dead Space – con focus particolare sul primo capitolo – considerata come una saga che, ispirandosi a un certo tipo di cinema horror fantascientifico cult, è riuscita a creare una nuova formula videoludica transmediale, la cui narrazione si focalizza su una visione e una tendenza evolutiva strettamente legata agli ideali del transumanesimo.

Sin dalle sue origini, la storia videoludica ha visto la forte presenza di videogiochi riconducibili o appartenenti al genere horror. Uno dei primi è Haunted House, titolo del 1981 riconosciuto come il primo videogioco survival horror in senso moderno: il giocatore, rappresentato da un paio di occhi, naviga nella dimora infestata del defunto Zachary Graves per recuperare tre pezzi di un’urna.

Da allora, all’interno del panorama videoludico horror, le cose sono molto cambiate: il genere si è evoluto, subendo declinazioni e contaminazioni con altri media, proponendo contenuti estremamente originali, sia per la forma (gameplay) che per i soggetti (narrazione), in grado di veicolare messaggi e riflessioni di interesse sociale e antropologico.

La struttura narrativa di Dead Space

Il primo capitolo della trilogia – Dead Space – è stato creato da Glen Schofield e Steve Papoutsis, game director della serie, sviluppato da Visceral Games e distribuito nel 2008 da Electronic Arts, originariamente su PlayStation 3, Xbox 360 e PC. Il successo di Dead Space è pressoché immediato. Lo stesso anno della pubblicazione del gioco viene realizzato un film d’animazione prequel che introduce elementi narrativi che saranno poi recuperati successivamente nel secondo capitolo della serie.

In questo modo, sin dalla sua uscita, Dead Space si afferma come franchise transmediale, per cui è possibile arricchire e approfondire la storia avviata dal primo videogioco su media differenti: nel videoludico, con i due spin-off Dead Space Ignition (2010) e Dead Space Extraction (2011); al cinema, attraverso i due film d’animazione Dead Space – La forza oscura (2008) e Dead Space: Aftermath (2010); in letteratura, grazie a due libri e tre graphic novel pubblicati tra il 2008 e il 2013 – rispettivamente Dead Space: Martyr, Dead Space: Catalyst e Dead Space Comic, Dead Space: Salvage, Dead Space: Liberation.

La narrazione transmediale del franchise di Visceral Games racconta storie differenti e lontane le une dalle altre, con protagonisti e personaggi diversi da quelli del gioco ma che comunque trova il suo punto di origine nel primo capitolo della serie.

Dead Space (2008) è ambientato in un futuro lontano del XXVI secolo e racconta la storia di Isaac Clarke e della sua esperienza a bordo della USG Ishimura. Isaac è un ingegnere minerario che lavora per la Concordance Extraction Corporation (C.E.C.), un’importante compagnia intergalattica il cui scopo è colonizzare ed estrarre minerali grezzi da pianeti localizzati ai limiti del sistema solare.

Nel breve prologo, Isaac e il giocatore, comprendono che la compagnia ha ricevuto un segnale di aiuto da parte della USG Ishimura, astronave di categoria “Planet Cracker”, il cui compito è ricavare enormi frammenti di minerale dai pianeti.

Di fatto, la Ishimura orbita attorno ad Aegis VII, piccolo pianeta remoto. Nei primi minuti di gioco, Isaac e altri quattro impiegati della C.E.C. approdano sull’enorme nave, apparentemente ferma a causa di un guasto. L’atterraggio sulla Ishimura non è dei migliori: dalla nave non arrivano risposte e in fase di ingresso, la piccola navetta su cui si trova il protagonista è danneggiata. Ne consegue che prima di andarsene sarà necessario ripararla.

Sin da subito, la Ishimura si presenta come una maestosa astronave vuota, silenziosa e buia. Il gioco non lascia respiro al giocatore, e dopo i primi passi sul ponte di volo, Isaac e compagnia realizzano che l’equipaggio della nave è andato perduto e sono immediatamente attaccati da strane creature antropomorfe. L’attacco, e il tentativo di fuga, causano una dispersione della piccola ciurma, ora alla ricerca individuale di un modo di ricongiungersi e fuggire dalla Ishimura.

Isaac inizia il suo viaggio a bordo della Ishimura, accompagnato dalla speranza di incontrare Nicole, la sua fidanzata, parte dell’equipaggio della Planet Cracker, di cui non ha più notizie – se non quelle originate da un video-messaggio inviato da lei pochi giorni prima del “malfunzionamento” della Ishimura. Inoltre, Isaac è “in compagnia” dei Necromorfi, le creature che hanno attaccato il gruppo di impiegati all’inizio, e che ora ne mettono a repentaglio la vita. Da una prima analisi, sembra che i Necromorfi abbiano invaso la nave, eliminando l’equipaggio o costringendolo alla fuga su Aegis VII.

Il compito di Isaac è quindi quello di assolvere a numerosi piccoli incarichi con lo scopo di ripristinare i sistemi di supporto vitale della Ishimura, unica via di salvezza dopo la distruzione, per mano dei Necromorfi, della navetta con cui è arrivato. Esplorando la nave, Issac scopre che cosa è effettivamente successo prima del suo arrivo: il capitano della nave, membro della “Chiesa di Unitology”, non era stato incaricato di estrarre minerali da Aegis VII, bensì di recuperare il “Marchio”, un misterioso manufatto alieno – una sorta di alto obelisco – estremamente importante per l’influente e diffuso culto religioso.

A seguito dell’estrazione e conseguente arrivo del “Marchio” sulla Ishimura, i membri dell’equipaggio hanno iniziato a soffrire di attacchi isterici ed allucinazioni, i quali hanno portato ad una lunga sequela di omicidi immotivati: di fatto, i Necromorfi altro non sono che il frutto di un organismo alieno che ha infestato i cadaveri e che li ha resuscitati. Isaac entra in contatto con uno dei sopravvissuti della nave, il Dr. Kyne, il quale propone al giovane ingegnere di riportare il Marchio su Aegis VII, in modo da calmare l’enorme creatura che controlla i Necromorfi – denominata “Unica Mente”.

Una serie di eventi fa emergere ulteriori verità circa l’essenza del Marchio: trattasi di una copia di un altro manufatto identico rinvenuto sulla Terra 200 anni prima e che era stato portato su Aegis VII per verificarne il funzionamento. Isaac riporta quindi il marchio presente sulla Ishimura sul pianeta, dove affronta e uccide l’Unica Mente, portando così alla conclusione del gioco.

A prescindere dalla presenza dell’Unica Mente, è il Marchio che crea i Necromorfi, operando sulla psiche umana, come reso noto dal primo film Dead Space – La Forza Oscura e dal secondo e dal terzo capitolo della serie videoludica.

“rendici uno Isaac”

Il finale e l’epilogo marcano una frase ripetuta continuamente in vari momenti del gioco da Nicole, fidanzata di Isaac e parte delle sue allucinazioni – nate in conseguenza al contatto con il Marchio. La frase recita “rendici uno” e fa riferimento a molteplici “unioni”: quella tra Nicole e il protagonista, quella tra il Marchio e l’Unica Mente e quella tra la dimensione umana e transumana dell’equipaggio, ora in forma di Necromorfi.

Le origini della storia: da Alien a Event Horizon

Il game director e il team di Visceral Games hanno creato Dead Space ispirandosi a film e videogiochi horror cult, parte della cultura popolare internazionale. Trattasi di testi noti a una certa categoria di fandom, legata a narrazioni fantascientifiche e horror. Se dal lato videoludico sono evidenti i richiami a i “classici” del genere – come le serie di Resident Evil e di Silent Hill – dal lato cinematografico, gli sviluppatori hanno affermato di essersi ispirati a tre film in particolare: Alien (1979), La Cosa (1982) e Event Horizon (1997).

Mentre due delle tre pellicole hanno un impatto più rilevante sulla narrazione del gioco, una di queste si limita impostarne l’atmosfera, aiutando il giocatore ad immergersi nella narrazione. Di fatto, questo compito è svolto dai riferimenti ad Alien: l’isolamento, la necessità di attraversare da soli un luogo freddo nello spazio, lontano anni luce dalla civiltà, il pericolo di incontrare e scontrarsi con un Altro diverso e minaccioso, sono tutti temi intrinsechi del film di Ridley Scott e che coadiuvano alla creazione dell’atmosfera di gioco di Dead Space. Non a caso, è possibile affermare che la lotta di Isaac è riconducibile a quella di Ellen Ripley.

Per quanto concerne gli altri due film, sono presenti richiami e rimandi più superficiali, ma entrambi condividono il tema del transumanesimo, applicandolo secondo modalità e scelte narrative differenti. A livello superficiale, guardando La Cosa, è inevitabile notare nei Necromorfi i riferimenti espliciti al character design del mostro iconico del film; mentre è possibile attribuire a Event Horizon le scelte di narrazione visiva vera e propria e di meccaniche tecniche del gioco, con riferimenti espliciti a scene del film ricostruite all’interno del gioco – il prologo del film e di Dead Space sono pressoché identici.

Come summenzionato, entrambi i film hanno ispirato quello che è il livello di lettura e interpretazione di Dead Space in questo articolo: l’applicazione del concetto di transumanesimo alla struttura narrativa del videogioco.

Il transumanesimo: ideali e temi

A differenza di quanto visto per il caso di Cyberpunk 2077, la narrazione e gli ideali che confluiscono in Dead Space non hanno a che fare con il postumanesimo, bensì con il transumanesimo.
Cercando di definire brevemente questa corrente di pensiero e filosofia, è possibile affermare che il transumanesimo esprime un’esigenza di salvezza (dal corpo, dalla malattia, dalla sofferenza, dalla morte) da realizzare tecno-scientificamente: stando alle parole dello studioso Giacomo Samek Lodovici (2018), l’obiettivo finale del transumanesimo è il raggiungimento di una condizione di immortalità e felicità.

Inoltre, secondo il transumanesimo, mediante il prolungamento artificiale della vita, tramite l’ingegneria genetica, l’intelligenza artificiale e/o il riversamento della memoria del soggetto in supporti biologici o informatici, presto o tardi riusciremo non solo a debellare qualsiasi difettosità cognitiva – la fragilità fisica, la malattia e l’invecchiamento – ma giungeremo inoltre a sconfiggere la morte conseguendo autarchicamente l’immortalità terrena.

Se quindi il transumanesimo vede nella scienza e nell’applicazione tecnologica – al fisico e alla mente umana – una forma di evoluzione e resa immortale del corpo, è necessario specificare che, spesso, si può leggere in controluce nel transumanesimo l’aspirazione ad una condizione integralmente simildivina. L’idea è quindi che l’essere umano sia in grado, per mezzo della tecno-scienza, di prendere in mano il proprio destino biologico e morale e volgerlo verso il meglio.

Dapprima c’è il potenziamento, poi il miglioramento e infine si aspira al perfezionamento.

Il transumanesimo come evoluzione tecno-scientifica e ultraterrena

Cercando di applicare le teorie del transumanesitmo ai film summenzionati, è possibile affermare che ciò che, in entrambi le pellicole, l’uomo evolve in un Altro nuovo e diverso, non la versione aggiornata di quello vecchio.

In La Cosa, le teorie del transumanesimo vedono un’applicazione decisamente di tipo biologico. A causa del contatto con l’entità aliena e a seguito della contaminazione da essa propagata, l’essere umano muta, scomparendo nella forma meramente fisica ed evolvendo in un essere quasi perfetto, resistente, aggressivo e in grado di mimetizzarsi e adattarsi all’ambiente circostante.

Diversamente, in Event Horizon, l’essere umano trascende la propria umanità, evolvendo in un essere paranormale, attraverso il contatto con un’entità ultraterrena fatta di caos e morte – ipoteticamente si tratta dell’Inferno cattolico. Come spiegato dal protagonista del film, l’umanità è limitata e condannata al declino, attraverso questo modello evolutivo e simildivino – del tutto in linea con il transumanesimo.

L’interpretazione dei due film qui proposta trova un’ulteriore applicazione nel caso di Dead Space. In particolare, un elemento essenziale, e brevemente annunciato nell’esposizione della sinossi, è quello della religione. Se la lettura in chiave transumanista è pressoché identica a quella biologico-scientifica de La Cosa, il concetto trova una nuova applicazione in Dead Space, pur partendo dalla premessa vista in Event Horizon.

Il Marchio, strumento e mezzo al quale l’essere umano è assoggettato, è l’elemento attorno a cui orbita la Chiesa di Unitology, un culto fondato sui concetti di miglioramento e perfezionamento del transumanesimo. Allontanandosi momentaneamente dagli “unitologisti” – questo il nome dei fedeli –, è necessario ricordare che le religioni sono ancora concepite, essenzialmente, come promesse di salvezza.

Come ricorda lo studioso Andrea Aguti (2018), chiunque si interroghi sullo scopo e il significato della vita nel cosmo e ne scorga uno che coinvolga anche l’uomo, non potrà infatti che riconoscere che il fine di una vita perfetta e senza termine è meglio di uno che non lo è, e a questo punto la religione tornerà ad essere quell’inesauribile riserva simbolica che è sempre stata nella storia dell’umanità.

Di fatto, la religione implica il riferimento a una dimensione che trascende l’essere umano e che promette salvezza a quest’ultimo. Su questa base è possibile attribuire al transumanesimo un carattere religioso.

La religione della Chiesa di Unitology è quella tipica delle sette, per cui un gruppo di fedeli che adorano il Marchio ritiene che esso sia un mezzo tramite cui Dio influenza biologicamente gli avvenimenti dell’universo. In questo modo, Dead Space sancisce la presenza di una nuova alleanza tra religione e scienza.

Oltre il transumanesimo

Attraverso un’interpretazione che segue i concetti del transumanesimo, l’analisi di Dead Space porta in evidenza come la condizione umana non sia una condizione di libertà, bensì di schiavitù: da schiavi di un potere ultraterreno, da schiavi di stimolazioni mentali ininterrotte; non si tratta quindi di quella esaltazione della libertà come autodeterminazione individuale, ma al contrario una modalità farmacologica e tecnologica che esercita una coercizione sulla volontà umana.

In questo modo, Dead Space, vede un’applicazione dei concetti del transumanesimo perfettamente in equilibrio tra i differenti ideali espressi dalla dottrina. Ma non solo. Fruendo di tutte le storie che arricchiscono il franchise, è possibile affermare che essa muova anche una critica al transumanesimo.

Di fatto, la narrazione di Dead Space – attraverso differenti media – dimostra che il potenziale distruttivo che è insito nella tecno-scienza è a tutti evidente, e che le preoccupazioni a questo riguardo sono condivise anche da chi non possiede alcuna concezione religiosa del mondo – come i coloni di Aegis VII, l’equipaggio della USG Ishimura e i personaggi secondari legati ad Isaac.

In quest’ottica le visioni transumaniste sono allettanti, ma anche inquietanti. Per utilizzare ancora una volta un’immagine religiosa, esse si presentano come visioni edeniche, che però alla fine potrebbero risultare in visioni infernali.

Riccardo Retez

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