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Overwatch: passato, presente e futuro dei nostri eroi – Parte 1

Potrà piacervi o meno, ma Overwatch resterà uno dei titoli più importanti di questa generazione, forse del medium stesso, capace non solo di conquistare il cuore di milioni di giocatori, ma anche di imporsi nell’immaginario pop con una forza dirompente. Merchandise, Cosplay, e-sport… Tracer e soci hanno fatto capolino persino in quell’enciclopedico album del nerd che porta il nome di Ready Player One, confermando come l’universo creato da Blizzard abbia lasciato una traccia indelebile anche al di fuori del suo territorio d’origine.

In occasione del terzo anniversario, celebratosi il 24 maggio, abbiamo quindi deciso di ripercorrere le tappe di questo fenomeno videoludico, analizzandone le ragioni del successo e cercando di fare luce sul futuro del brand. Ci accompagnerete in questo lungo viaggio?

PASSATO (Aprile 2016 – Gennaio 2018)

Come forse tanti di voi, all’annuncio del titolo durante la BlizzCon 2014 rimasi piuttosto freddo. Nonostante il team di sviluppo avesse tutte le credenziali per fare bene, molto bene, la natura multigiocatore del progetto mi fece storcere il naso. D’altronde all’epoca vivevo ancora nel mito della supremazia del singleplayer, e come conseguenza di ciò mi disinteressai totalmente dello sviluppo del gioco negli anni successivi. Sia chiaro, abbraccio ancora quella convinzione, ma le 500+ ore passate a curare i miei compagni in ranked e le altrettante trascorse a guardare eventi e-sport hanno decisamente allargato i miei orizzonti in materia.

Fatto sta che in un batter d’occhio mi ritrovai in un giorno non meglio precisato di aprile 2016 quando il caporedattore del sito per cui scrivevo all’epoca mi invitò all’evento stampa di presentazione del gioco. “Overwatch, Overwatch… e cosa diavolo sarebbe?” – sono stati più o meno i primi pensieri a solcarmi gli emisferi dopo la chiamata. Piano piano però, qualcosa riaffiorava alla memoria “Okay, sì ce l’ho: solito FPS multiplayer, ma con grafica cartoon carina. Vabbè anche se mi frega zero, figurati se mi perdo un buffet. Milano, arrivo!”. E fu così che con ben poche speranze e aspettative inesistenti mi presentai alla Microsoft House. Inaspettatamente però, con un plot twist degno del migliore Shyamalan e una sonora pernacchia da parte degli sviluppatori, il gioco mi stregò fin dal primo istante. Narrativa ambientale, lore complessa e stratificata, promesse di espandere l’orizzonte narrativo dell’universo con la pubblicazione costante di corti animati e fumetti. Chi mai si sarebbe aspettato di sentire dichiarazioni del genere alla presentazione di un gioco (squisitamente, col senno di poi) multiplayer? Di certo non il sottoscritto.

Inutile dire che questa ottima cornice non sarebbe bastata a garantire la riuscita dell’opera. Ma Blizzard non si è fatta trovare impreparata e per l’occasione ha confezionato un gameplay divertente, profondo e appagante, consegnandoci di fatto una delle migliori declinazioni del genere FPS di sempre. La formula magica di questa pozione videoludica si basa essenzialmente sulla trasposizione di alcune caratteristiche tipiche del genere MOBA (pensate a League of Legends e ai ruoli dei vari personaggi) all’interno di uno sparatutto in prima persona. Scelta azzardata? Sì, lo è stata di certo, ma l’originalità del risultato finale ha largamente ricompensato l’audacia degli sviluppatori. Pad alla mano, il gioco funzionava (e funziona) alla grande!

Blizzard ha confezionato una delle migliori declinazioni di sempre del genere FPS

Nel giro di un mese o poco più dalla presentazione a porte chiuse, Overwatch si è abbattuto sul mercato con la forza di un uragano e, come si suol dire, il resto è storia. Vittoria del premio gioco dell’anno ai The Game Awards 2016, imposizione assoluta nel panorama e-sportivo e oltre 40 milioni di copie vendute tra PC e console: numeri capaci di provocare le vertigini a tanti titoli free-to-play attualmente sul mercato, con la differenza sostanziale che il capolavoro Blizzard veniva venduto a prezzo pieno! Insomma, un successo esagerato e meritatissimo, confermato dall’unanime accoglienza riservatagli sia dal pubblico che dalla critica. La casa di Irvine aveva dato vita a un vero fuoriclasse, uno che oltreoceano si potrebbe giustamente definire larger than life.

Ma quali sono state le ragioni che hanno consacrato Overwatch nell’olimpo dei videogiochi? Il look grafico accattivante e le meccaniche semplici da apprendere, ma difficili da padroneggiare hanno sicuramente spalancato le porte alla sua fama, ma fossero stati gli unici pregi, probabilmente in pochi mesi la bolla sarebbe esplosa e ad oggi nessuno si ricorderebbe dell’esistenza di Hanzo, Winston o Lucio. No, c’era decisamente qualcosa di più. Nella mia umile e personalissima visione, ritengo siano stati almeno altri quattro macro fattori a suggellarne il successo.

1. Character design

Lo dico senza paura di smentita: personaggi con una caratterizzazione così profonda e sfaccettata, oltre a non esistere letteralmente negli altri multiplayer, latitano anche in gran parte delle produzioni votate all’esperienza in singolo. Gli eroi di Overwatch esplodono di vita e bucano lo schermo grazie a una direzione artistica ispiratissima e a un background narrativo che dribbla la superficialità. Dei nostri alter-ego conosciamo tantissimo: ideologie, storie, amori, sofferenze. Dettagli questi che potrebbero sembrare di secondaria importanza nell’economia di gioco, ma che contribuiscono a creare un sincero legame tra l’utente e la sua estensione digitale. Un qualcosa di ben diverso da quello che si sviluppa con la massa indistinta di manichini da macello che generalmente si usa in questo genere di produzioni. L’attaccamento all’universo Blizzard ha dato origine a un ecosistema parallelo e autonomo rispetto al videogioco fatto di gadget, action figure, cosplay e merchandise vario che non trova rivali nemmeno in mostri sacri come League of Legends o Fortnite.

I personaggi di Overwatch bucano lo schermo grazie a una direzione artistica ispiratissima e a un background narrativo mai banale o superficiale

Inoltre, l’aver predisposto delle così solide fondamenta “storiche” ha fatto sì che ogni piccolo nuovo dettaglio diffuso sulla lore generasse scompiglio nella community, mantenendo sempre alto l’interesse per il gioco e la sua storia. E se si pensa che tutto il filone narrativo è stato sviluppato e approfondito con solo qualche riga di dialogo  e materiale extra-ludico, come fumetti o corti, il risultato appare ancora più incredibile, soprattutto in termini di successo riscosso tra gli utenti, confermando una volta di più la bontà e il fascino magnetico del mondo di Overwatch.

Merita infine una menzione d’onore anche l’occhio di riguardo con il quale gli sceneggiatori hanno affrontato la rappresentazione delle minorazione e della diversità all’interno del gioco. Un tema tanto in voga oggigiorno, ma che spesso viene (mal)trattato a colpi di stereotipi o implementato forzatamente in qualsiasi prodotto d’intrattenimento. Niente di tutto ciò accade in Overwatch, dove ogni scelta appare invece sensata, mai banale ed efficace nel veicolare il suo messaggio (inclusività, libertà dell’amore, tolleranza, riscatto…).

2. Supporto continuo gratuito

Blizzard è stata chiara fin da subito sull’intenzione di supportare per anni la sua creatura con la continua pubblicazione di contenuti gratuiti per non frammentare l’utenza. Un nuovo eroe e una nuova mappa a cadenza regolare di circa tre mesi e sei eventi all’anno durante i quali è una modalità specifica (cattura la bandiera, calcio, orde, ecc…) e sbloccare skin, emote e cosmetici vari tramite un sistema di loot box. Punto. Un piano tanto semplice quanto efficace nel fornire un pretesto valido ai giocatori per continuare a popolare i server per ben tre anni. Un tempo che in questo medium, come sanno bene gli sviluppatori di Apex Legends, corrisponde a un’eternità.

3. Community

Sotto questo aspetto, Blizzard è stata quanto mai astuta e lungimirante nell’operare alcune scelte favorevoli alla nascita di una schiera di affezionatissimi fan che continuasse a supportare il titolo. La prima vincente intuizione riguarda le meccaniche di gioco, fortemente basate su comunicazione e cooperazione. Alla luce di queste due caratteristiche fondamentali, appare chiaro come Overwatch dia il meglio di sé se giocato in compagnia. Se avete frequentato il titolo con un minimo di assiduità, sono infatti sicuro che avrete trovato anche voi quell’amico, o quel gruppetto di amici, con il quale mettere a ferro e fuoco le partite classificate, vantarvi di una Play of the Game o lamentarvi dell’ultima patch rilasciata. Il beneficio di questa dinamica è palese: se da soli potreste decidere di lasciare il gioco e passare ad altro, quando avete altre due, tre, cinque persone che vi chiamano a gran voce per tornare sul campo di battaglia, l’abbandono diventa molto più difficile e meno attraente.

Il mondo dell’e-sport ha un enorme potenziale aggregante per la community

La seconda scelta strategica consiste nei grossi investimenti fatti per sviluppare la scena e-sportiva, un mondo dall’enorme potenziale aggregante per la community, ma di cui parleremo dettagliatamente più avanti e nelle prossime puntate.

Il terzo ed ultimo punto, più che essere una vera e propria decisione presa a tavolino, presumo sia stato un effetto collaterale della combinazione di gameplay e personaggi. Di nuovo, se avete concesso al gioco un minimo di tempo, avrete cominciato anche voi a prediligere una ristretta cerchia di eroi, eleggendoli a quelli che in gergo vengono chiamati main, ovvero i personaggi che padroneggiate meglio e con i quali siete più incisivi in partita. Nel momento in cui questa scelta viene effettuata, tende a instaurarsi un rapporto di immedesimazione/sostituzione tra voi e il vostro avatar: ora quando giocate non siete più Mario Rossi, ma siete D.Va, siete Zenyatta, siete Genji. Ed è qui che scatta la trappola. Da questo momento in poi desidererete inconsciamente e ardentemente che il vostro personaggio vi rappresenti al meglio. In che modo? Bé, sicuramente diventando sempre più forti con quel determinato eroe, ma soprattutto sfoggiando la skin più rara o l’emoticon più divertente. “Voglio quel costume per far vedere a compagni e avversari quanto sono figo”.

Lo so, agli occhi di chi non ha mai provato un gioco di questo tipo può sembrare una colossale stupidaggine, lo capisco benissimo e lo credevo anche io. Ma la realtà è che una volta entrati in questo meccanismo, l’avere nuovi oggetti disponibili per un periodo di tempo limitato in concomitanza dell’evento x, genera una mania di collezionismo  irrefrenabile (e forse irrazionale) a cui è impossibile resistere. E tanto basta per fornire un pretesto valido per continuare a giocare ancora e ancora. E’ vero anche che questo circolo vizioso è indubbiamente incentivato dal sistema delle loot-box ma spiegare tutto il fenomeno in questi termini mi sembrerebbe riduttivo e parziale. E’ nella potenza dell’immaginario creato da Blizzard che risiede la più grande forza del titolo.

Come ultima conferma di quanto la community di Overwatch sia legata al titolo, eccovi un dato interessante. A inizio maggio 2018, gli sviluppatori hanno aperto una raccolta fondi rilasciando una skin speciale di Mercy (quella che vedete qui sopra) al costo di quindici dollari, promettendo che i ricavi sarebbero stati usati per sostenere la ricerca contro il cancro al seno. Ebbene, in meno di tre settimane, sono stati devoluti alla BCRF la bellezza di dodici milioni di dollari.  A voi le riflessioni in merito.

4. eSport

Ultimo, ma non per importanza, vi è il fattore e-sport. Ora, lungi da me scoperchiare il vaso di Pandora affermando che Overwatch sia il miglior titolo e-sportivo in circolazione. So bene che la creazione del Path to Pro da parte di Blizzard per favorire coerenza e spettacolo del circuito competitivo e massimizzare il suo profitto ha complicato non poco la vita dei giocatori professionisti. Ciò non toglie però che Overwatch abbia portato l’e-sport a un livello superiore. Il primo importante passo fatto in questa direzione è stato quello di organizzare dei campionati mondiali a squadre, competizioni Lan in cui sei giocatori della stessa nazione si uniscono una volta all’anno per portare alta la propria bandiera, esattamente come avviene negli sport tradizionali. Una totale novità per questo mondo che non ha mancato di regalare infinite emozioni agli appassionati, riuniti insieme a tifare i propri beniamini, sia fisici che virtuali. Anche l’Italia ha preso parte all’evento grazie al talento di giocatori come Edmondo “DragonEddy” Cerini e Lorenzo “Midna” Nulli e grazie alla passione di figure storiche della community come l’amatissimo Alberto Pahle, in arte Herc, Caster e YouTuber dedito a Overwatch sin dai tempi della Beta.

Il vero punto di svolta è stato però l’arrivo nel 2018 della Overwatch League, un campionato a franchigie sullo stile dell’NBA, in cui le squadre delle varie città si affrontano in un palazzetto dedicato, la Blizzard Arena, per conquistare gloria e montepremi da capogiro. Di tutto questo, però, ne parleremo un’altra volta.

Con questa promessa si conclude infatti la prima parte del nostro speciale dedicato a Overwatch. Nei prossimi giorni vi racconteremo la OWL più nel dettaglio e parleremo approfonditamente dello stato di salute attuale del gioco e di cosa possiamo aspettarci in futuro dal brand. Nel frattempo però, lasciateci il vostro prezioso feedback su quanto letto fin qui!

 

 

 

Giacomo Bornino

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  • Adoro Overwatch , infatti è il mio gioco online di riferimento e ci faccio molto spesso delle partite . Articolo interessante e curioso di leggere le future parti ;)

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