Il game design è tarato sul livello di difficoltà. Nei casi virtuosi la difficoltà scala in sincronia col design, rendendo il gioco pienamente godibile nella sua complessità, a dispetto delle semplificazioni presenti.
Nei casi viziosi invece l’equilibrio tra sfida e buon design si spezza di fronte alla richiesta del giocatore di avere vita un po’ più facile. Svisceriamo assieme qualche esempio per capire meglio di che cosa stiamo parlando!
La creatura di Larian è seconda a pochi nel campo degli RPG occidentali. Pungente nella scrittura, fantasioso nella costruzione del mondo, memorabile nei personaggi e complesso nelle meccaniche. Divinity Original Sin 2 è un esempio virtuoso sotto l’aspetto in esame. Anche in modalità storia, in teoria ancora più accessibile di facile, il gioco non diventa permissivo, solo meno ferocemente tattico. Viene sempre richiesta l’assimilazione di buona parte delle tattiche di sopravvivenza: sinergie elementali, schieramento del party, sviluppo coerente delle statistiche dei personaggi, solo per citarne alcune. Come risultato ciò, svolgere la quest principale risulta proibitivo senza aver affrontato buona parte dei contenuti secondari. Questo accorgimento previene il giocatore dal perdersi il meglio che il gioco ha da offrire, godendo anche di una buona soddisfazione dopo aver affrontato momenti critici. Mai quanto l’estasi videoludica che giustamente spetta agli esperti della modalità estrema che si sono cimentati in ore ed ore di tattica battagliera avanzata … da qualche parte bisogna pur cominciare.
Gioiellino di una casa di sviluppo, Sloclap, relativamente giovane, Sifu è un doppiaA beat ’em up tridimensionale infuso di giapponesità e di meccaniche da muori-nasci. Assieme allo stile assolutamente accattivante, dall’impeccabile mobilio orientale degli ambienti alle suggestioni soprannaturali, quest’ultime rappresentano il piatto forte. Il/La protagonista inizia la partita a vent’anni. Ogni morte fa aumentare l’età, fino al game over ottuagenario. Esiste anche un conta-morta che gestisce una progressione non lineare: invecchiamo molto lentamente prima, velocemente poi. Inoltre, da anziani avremo più potere offensivo ma saremo più deboli nella difesa, andando al tappeto più facilmente.
A rendere pungenti queste meccaniche è il fatto che l’età non è mai reversibile, se non nel caso si ricominci il gioco da capo, al netto di qualche abilità sbloccabile in maniera definitiva. Terminare uno dei cinque livelli del gioco potrebbe non essere una vittoria nel caso in cui l’avanzamento dell’età sia tale da rendere impraticabile il proseguo negli anni restanti. Una meccanica tranchant come poche altre, distintiva e senza compromessi. Tuttavia, cosa succede se giochiamo a facile? L’ineluttabilità dell’età resta, ma la progressione diventa lineare, mettendo quindi a disposizione sessanta tentativi per terminare la storia: un quantitativo più che sufficiente, specialmente alla luce del sostanziale depotenziamento dei nemici.
Non tutto è categorizzabile in virtuoso e vizioso. Alcuni giochi sono oggettivamente meno profondi a difficoltà meno che massima, tuttavia possono compensare con una certa piacevolezza con cui la storia scorre. È il caso dell’ultima, eccellente avventura di Aloy, Horizon 2: Forbidden West. La creatura di Guerrilla riesce ad intrappolare il giocatore alla poltrona pur senza rivoluzionare la formula degli open-world. Il tocco di maggiore originalità, fin dal primo capitolo, è rappresentato dal combattimento con le macchine: trovare i punti deboli attraverso il focus, scegliere le affinità elementali, sono accorgimenti che pongono il sistema al di sopra di quelli di altri giochi del genere. Come si diceva prima, la modalità normale rende poco necessarie alcune sfaccettature progettate dai game designer.
Tuttavia, a differenza di opere quali Sifu, interamente basate sulle meccaniche di combattimento, Horizon ha molteplici frecce al proprio arco: in primis, il mondo di gioco è vasto, ben caratterizzato e, soprattutto, splendido da vedere (merito del Decima Engine 2.0). In secundis, la storia principale è buona e ben si accompagna alle quest secondarie, le quali hanno il pregio di limitare la loro natura ripetitiva grazie ad escamotage di varia natura. A più riprese durante l’esperienza di gioco può far capolino il paragone con The Witcher 3: Wild Hunt: se da una parte mancano i picchi narrativi di quest’ultimo, dall’altra il gameplay scala meglio in armonia con la difficoltà nel caso dell’avventura di Aloy.
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La difficoltà si deve adattare al giocatore e non il contrario, per me un gioco settato su facile è un gioco che da precedenza alla trama o alla spettacolarità del gameplay, il gioco difficile dev'essere difficile e non frustrante, la difficoltà dev'essere sempre graduale e deve dare gli strumenti al giocatore in modo che la difficoltà possa essere compresa e risolta. In sostanza la formula migliore per me è il classico easy2play, hard2master.
Concordo