E’ possibile controllare le proprie emozioni?
E’ possibile allenarsi per far si che le emozioni non prendano il sopravvento nel momento in cui vanno prese determinate decisioni?
Il videogioco, il nostro amato mezzo videoludico, può aiutarci in tal senso?
E’ quello che si sono chiesti un gruppo di ricercatori della UNSW, l’Università del New South Wales, Australia.
I colleghi sono partiti dall’idea che essere esposti a determinate situazioni, a determinate visioni, a determinate immagini può portare un soggetto qualsiasi ad avere meno impressionabilità e meno distrazioni quando è il momento di prendere decisioni importanti. Questo concetto potrebbe riflettersi, nella vita reale, in vari campi di applicazione, da quello militare a quello medico, da quello decisionale a quello legato alla sicurezza stradale.
Puntualmente si parla del rapporto fra videogioco e violenza, fra giocatore e diventare/essere violento a causa di questa passione.
Questa volta, come spesso sta capitando in ambito scientifico, si è andati oltre e si sono messi da parte tutti questi preconcetti che sono legati, ormai e fortunatamente, ad un pensiero poco scientifico ed antiquato.
Se la maggior parte delle persone e dei non addetti ai lavori pensa che il videogioco possa influenzare le capacità cognitiva e decisionale di un soggetto, ci può essere qualcosa di vero in fondo in fondo? La plasticità del cervello, anche in età giovane, può essere modificata da questo tipo di attività?
In Australia, per la precisione a Sydney, si è deciso di studiare come il giocare possa modificare il carattere e la percezione della persona, attraverso un esperimento molto semplice.
Dopo aver risposto ad una serie di questionari e dopo aver avuto vari colloqui con psicologi appartenenti allo studio in questione, novantadue partecipanti, ignari del tema dello studio, sono stati divisi in tre gruppi differenti; uno appartenente al gruppo di giocatori di videogiochi violenti, uno appartenente al gruppo di giocatori di videogiochi non violenti e un altro segnalato come gruppo di non videogiocatori.
Al primo e al secondo gruppo, quelli dei giocatori, si poteva entrare a farne parte se la somma delle ore settimanali dedicate al nostro passa tempo preferito avesse superato le sei ore, al terzo, naturalmente, tutti gli altri.
La distinzione fra videogioco violento e non era invece stabilita dalla risposta ad alcune domande che prevedevano di capire che tipo di videogioco era maggiormente giocato dal soggetto in questione.
Nel primo gruppo erano presenti ventotto persone, nel secondo sette e nel terzo, quello dei non giocatori, cinquantasette. Considerando la spartizione numerica dei soggetti, i sette appartenenti al gruppo di giocatori di videogiochi non violenti è stato scartato, causa numero esiguo di partecipanti.
In cosa consisteva lo studio?
I restanti ottantacinque partecipanti sono stati messi di fronte ad uno schermo e hanno potuto vedere, a distanza di 200ms, varie immagini a schermo, tutte rappresentanti diversi panorami realmente esistenti al mondo, suddivisi in diciassette immagini, che giravano a rotazione.
Ogni tot di immagini, in maniera del tutto casuale, compariva un’immagine ruotata di 90° a destra o a sinistra, la cosiddetta “immagine target”. Alla comparsa di questa immagine, i soggetti in studio dovevano segnalare la visione della suddetta.
La cosa particolare era che, ogni tanto, 400 o 600ms prima della comparsa dell’immagine ruotata, veniva presentata a schermo una “immagine distrattore”, catalogata come “immagine distrattore violenta” o “immagine distrattore disgustosa”; la immagine citate rappresentavano morti violente, incidenti, armi da taglio, immagini splatter oppure, in alcuni casi, feci, toilette sporche, vomito e roba di questo tipo.
Si è evidenziato che, mentre il gruppo di non giocatori, appena viste le immagini, aveva reazioni istintive particolari, portando a mancare l’immagine target successiva, il gruppo di videogiocatori, con tutta tranquillità, riusciva comunque a segnalare in tempo e con precisione l’immagine ruotata, senza inoltre mostrare reazioni particolari con espressioni facciali dubbie o con movimenti oculari improvvisi.
Gli studiosi hanno cominciato a parlare del fenomeno della “cecità indotta dalle emozioni” o, in inglese, “phenomenon of emotion-induced blindness” e del fatto che non tutti ne vengano colpiti in egual misura.
Questa teoria, ormai non più tale, parte dal presupposto che la nostra mente entri in un meccanismo di difesa e/o distrazione quando, di colpo, ha a che fare con un turbamento emotivo forte ed improvviso.
L’autore principale dello studio, il Prof. Steve Moss ha affermato che si tratta di qualcosa di veramente scientifico a riguardo perché mai, prima d’ora, era stato evidenziato in questa maniera quanto le emozioni possano essere controllate ed allenate anche solo ed esclusivamente a casa, attraverso un mezzo di così facile utilizzo.
Il fatto di avere un gruppo di persone non inducibile al fenomeno della cecità indotta dalle emozioni potrebbe portare a nuovi spiragli in tutti quei campi dove si richiedono persone poco impressionabili e capaci di rimanere lucidi a livello mentale nonostante le difficoltà ed altri eventi stressori che potrebbero incontrare al momento di prendere una qualsiasi decisione.
Lo studio, poi, è stato riproposto in maniera leggermente diversa, dove, al posto delle immagini distrattorie violente e disgustose, venivano usate immagini non a tema con le altre; in questo caso non c’era differenza fra giocatori e non giocatori.
Il gruppo di studio ha quindi voluto sottolineare che questo non ci dice che necessariamente i giocatori di videogiochi sono portati alla violenza o sono meno sensibili ma, sempre secondo loro, mostrano capacità di attenzione maggiori, nonostante ciò che li circondi, con un focus maggiore su ciò che li viene richiesto di fare.
Naturalmente, affermano, si tratta di un primo studio che deve essere riconfermato e magari ampliato, ma potrebbe regalarci momenti e situazioni di grande interesse, soprattutto in tanti altri campi, come ad esempio la medicina dove già si verifica una cosa simile con gli studenti al terzo o quarto anno che sono, in generale, meno impressionabili rispetto a quelli del primo anno.
Se grazie al videogioco potessimo accelerare l’apprendimento teorico e pratico di un futuro medico?
Se grazie al videogioco potrebbero bastare meno ore di addestramento per un pilota di aerei o di autobus?
Il videogioco potrebbe, e forse può, come già visto in altri studi e articoli riportati in rubrica, qui su Gameplay Cafè, lavorare sulla plasticità del cervello, divenendo sempre più mezzo di utilità pratica e meno oggetto di scherno.
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