Quando in altri articoli di questa rubrica, abbiamo parlato del fatto che sempre più scienziati e studiosi si stiano avvicinando alla forma videoludica, con sempre maggiore interesse legato all’ausilio di questo mezzo per migliorare determinate situazioni fisiopatologiche, non lo affermavamo tanto per affermarlo, ma ne eravamo convinti, grazie alla presenza di numeri alla mano e grazie al fatto che il videogioco come tale ha raggiunto numeri importantissimi per quanto riguarda l’esposizione e l’espansione, quindi innegabilmente attraente per tutte quelle persone che vogliono diffondere la propria idea su vasta scala o che ci vogliono fare del business sopra, anche e soprattutto in ambiente scientifico.
La cosa particolare è che gli scienziati e gli studiosi che hanno intrapreso questa strada o che la iniziano a percorrere, sono tutti quei ragazzini nati negli anni ’80 che hanno vissuto in prima persona l’evoluzione tecnologica di questo mezzo.
L’esempio che si collega al tema di questo articolo ci viene fornito dalla Dott.ssa Laura Parra, giovanissima ricercatrice in ingegneria elettronica colombiana. In realtà, come vedremo, ce ne sono vari, tutti diversi ma con la stessa tematica in comune, cioè l’utilizzo del videogioco e/o di un sistema interattivo in situazioni di riabilitazione fisica post intervento o post infortunio.
Considereremo varie problematiche, come la coda bifida, le incapacità motorie, l’infarto oppure lesioni alla colonna vertebrale tutte unite da un minimo comune denominatore, cioè la possibilità di avere un decorso post ospedaliero e riabilitativo a base di videogiochi e divertimento.
Le difficoltà che hanno spinto tanti pionieri della materia a provare ad usare il videogioco come mezzo riabilitativo riguardano la possibilità di effettuare la riabilitazione fisica a casa, in condizioni emotivamente migliori rispetto a farle in luoghi non familiari, la possibilità di fare riabilitazione senza ripetere infinite volte lo stesso movimento e la possibilità di creare un effetto placebo a livello del cervello che il semplice ripetere un movimento senza un obiettivo ben visibile non provoca.
Il videogioco permette di dare un senso maggiore a quel determinato movimento ripetuto centinaia e centinaia di volte, in maniera automatica e senza reale impegno, cosa che con il classico esercizio fisico riabilitativo scompariva in pochissimo tempo; altra cosa non di poco conto è il fatto che passare del tempo a giocare in queste condizioni vuol dire non accorgersi del tempo che passa.
Ma veniamo nel dettaglio ad alcuni esempi di utilizzo di questa tecnologia.
Prima ho parlato di un ingegnere, la Dott.ssa Laura Parra. Laura è fervente utilizzatrice del videogioco come mezzo di guarigione e come supporto al classico procedere terapeutico medico, sia in casi di spina bifida, sia in casi di problemi di mobilità muscolo-articolare.
Sono stati fatti degli studi su due gruppi di soggetti con i problemi sopra descritti e i risultati hanno confermato quello che la Dottoressa ha sempre pensato e, cioè, che il videogioco proposto come mezzo riabilitativo è nettamente più efficace rispetto alla classica fisioterapia, perché il mezzo da noi tanto amato permette al cervello di lavorare in una situazione di confort, in una situazione familiare per il ragazzino, così da permettergli di recuperare quelle deficienze che ha subito a causa di un incidente o di una patologia. Laura Parra, già vincitrice di alcuni premi, tra i quali uno del MIT di Cambridge, Massachussets, spera dopo questi primi due studi di riuscire a produrre su larga scala dispositivi interattivi da poter usare per qualsiasi altra patologia invalidante a livello motorio. L’idea di base è quella di riuscire a creare un videogioco e un hardware dai costi contenuti capace di portare a schermo in maniera precisa e veloce quello che i sensori, attaccati sul corpo dei pazienti, captano nell’ambiente nel quale le persone si muovono.
Il tutto era stato pensato per un’associazione con il Kinect ma poi, sfortunatamente, riporta la Dottoressa, l’accordo con Microsoft è saltato quindi ora si cercano nuovi sviluppatori e nuovi produttori per produrre qualcosa di simile, ma dai costi contenuti e, come detto prima, più preciso.
Oltre che in problematiche di questo tipo, il videogioco o l’esperienza interattiva, ha dato importanti e incoraggianti risultati nel percorso riabilitativo dopo un infarto.
L’80% delle persone colpite da infarto perdono la capacità motoria degli arti superiori o inferiori, per poi recuperarne solo una minima parte. Questa minima capacità motoria viene recuperata, di solito, grazie a continui esercizi che però, alla lunga, risultano noiosi e non continuati dai pazienti stessi.
Si è visto che dopo sei mesi dall’inizio della terapia, la percezione dell’utilità dell’esercizio comincia a calare e quindi il tutto viene abbandonato. In aiuto quindi arrivano i videogiochi e la realtà virtuale. L’idea di base è che il cervello deve recuperare quella plasticità che ha perso risanando quei collegamenti neuronali danneggiati dall’infarto. L’esercizio classico ci riesce in minima parte, mentre mettere un soggetto all’interno di un ambiente virtuale complesso dove le cose da fare sono tante, rende questo processo più immersivo e, di conseguenza, più rapido.
Il sistema che ha dato maggiori garanzie in tal senso è quello chiamato SaeboReJoyce della Saebo, usato sia in clinica che a casa, un sistema che promette di compiere tantissimi movimenti con gli arti superiori, vari metodi e modi per afferrare un oggetto a schermo ed un livello di complessità e difficoltà completamente personalizzabile, tanto da dare risultati cinque volte più soddisfacenti rispetto alla classica fisioterapia.
Metodologia diversa rispetto a quella prima presentata a base di sensori e camere, ma stessi identici risultati e stessi feedback da parte dei pazienti. Miglioramenti rapidi, tangibili e movimenti si ripetuti ma gratificanti, grazie alla ricompensa videoludica.
Di questo passo, si pensa ad uno step ulteriore, quello di avere dispositivi “portatili”, “tascabili”, da collegare alle console portatili già esistenti oppure ai tablet. Questo consentirebbe un abbassamento dei costi di produzione ed un maggiore interesse in tale ambito, con una terapia continuata anche lontano dalla clinica di supporto o dalla propria abitazione.
In Australia, invece, si è pensato di utilizzare ciò che già esiste e costa relativamente poco… la EyeToy Camera di PlayStation. I soggetti che hanno partecipato allo studio erano persone con problemi alla colonna vertebrale i quali sono stati invitati a provare Dance Dance Revolution con la console Sony.
Oltre al divertimento, quello che realmente i ricercatori cercavano di capire era se i benefici ci fossero anche a livello di mobilità ed equilibrio. Ebbene, i risultati sia in termini di efficacia che in termini di rapidità sono stati eccezionali.
L’unica difficoltà che è stata riscontrata è che mentre il paziente relativamente giovane era ben predisposto a tale esercizio, il paziente anziano non lo era, a causa, cosa scoperta dopo qualche domanda, della concezione del videogioco come media o violento o adatto a bambini.
Per avere conferma che l’idea dell’interattività fosse comunque una cosa positiva a prescindere dall’età, i ricercatori hanno lavorato sul codice sorgente del gioco, chiedendo naturalmente autorizzazione, e hanno modificato il livello di difficoltà, la velocità della comparsa degli elementi a schermo e hanno eliminato tutto il contorno grafico del gioco. Così facendo, non solo l’approccio è risultato positivo e collaborativo da parte dei soggetti anziani, ma i risultati in termini di equilibrio e mobilità sono stati gli stessi dell’esperienza a gioco completo dei più giovani.
Questo gioco modificato ha poi permesso di creare un tool medico, ideato da Jintronix, una compagnia canadese, usando come base un Kinect, in modo tale da trasformare quello che era un videogioco in uno strumento medico sotto regolamentazione sanitaria, approvato dalla FDA americane e, di conseguenza, gratuito o quasi per chi ne avesse bisogno.
La situazione, rispetto ad altre problematiche affrontate in articoli precedenti, è molto più complicata e contorta. I fattori da tenere in considerazione nel trattamento di situazioni fisio-patologiche come quelle sopra descritte sono tante e varie, il grado della malattia, l’arto colpito, l’età del soggetto, gli spazi in clinica o a casa, il fatto che quel device possa essere comprato o proposto dal sistema sanitario nazionale, però, alla base dei vari risultati, abbiamo un approccio maggiore alle cure post operatorie, la presenza di feedback positivi durante il lungo processo di riabilitazione e, cosa fondamentale, risultati nettamente migliori rispetto alla fisioterapia classica sia in termini di mobilità ed equilibrio sia in termini di tempistiche.
Difficilmente dopo questi primi studi e prime sperimentazioni avremo un tool preciso ed universale per tutti, però, come al solito, l’amo è stato lanciato… ora aspettiamo che qualche cervellone o, meglio ancora, magnate metta mano al portafoglio per dare una base economica solida al progetto che meglio metterà insieme i vari risultati fin’ora emersi.
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