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Tomb Raider: tra cinema e videogioco

Come già sappiamo, cinema e videogioco non sono mai andati a braccetto assieme, questo per un semplice motivo che potremmo esprimere con un semplicissimo esempio: il cinefumetto.

Nonostante stiamo vivendo un periodo d’oro per questo genere cinematografico, tanto che a oggi assistiamo a circa cinque o più cinefumetti ogni anno, un numero notevole, circa un film ogni due mesi. Ma ancor prima della rivoluzione Marvel, il genere è sempre esistito. Ne sono testimoni i diversi Batman, Superman, Blade e Spider-Man, eppure, tolto qualche caso, tutti questi film hanno sempre vissuto di recensioni non esaltanti o incassi al box office ballerini, non spodestando mai come ora l’attenzione mediatica.

Insomma, se confrontati ai film prodotti oggi, riusciamo a percepire che all’interno della macchina produttrice si è instaurato un modello di lavoro standard – per esempio, scene post credit, un certo tono epico, la costruzione di un universo narrativo ben definito – su cui fare affidamento. Nel bene e nel male oggi il cinecomics funziona grazie a una struttura standard su cui fare riferimento.

Nel mondo dei film tratti da videogiochi invece, nonostante molti anni di prova e altrettante pellicole prodotte, il genere ancora non riesce a instaurarsi come tale, zoppicando sempre più. Anche qui, sono molti di più i fallimenti che i successi.
Vista la recente riproposizione cinematografica, l’esempio di Tomb Raider evidenzia già molte parentesi su cui porre diversi quesiti e analisi.

Il personaggio di Lara Croft, tra cinema e videogames, ha avuto circa quattro versioni ufficiali.
La prima, quella più famosa, che ne ha decretato il successo commerciale, tanto da portarla nell’olimpo delle icone pop degli anni ’90, è quella creata e firmata dalla Core Design, partorita da Toby Guard che quasi scherzò con i suoi colleghi nel modellare un personaggio femminile con un seno così grande, scherzo che tutti approvarono tanto da confermarlo poi nella versione finale del gioco.
Simbolo di grande femminilità e di emancipazione, il modello di riferimento sia estetico che narrativo era palese: Indiana Jones. Lara Croft quindi si inserisce proprio come controparte videoludica al femminile delle avventure dell’archeologo interpretato da Harrison Ford.
Avventure, antichi manufatti e maledizioni, questi stilemi furono ripresi dalla prima incarnazione cinematografica, dove a vestire i panni di Lara Croft era una sensualissima Angelina Jolie. Ne uscirono due film, rispettivamente Lara Croft: Tomb Raider (2001) e Lara Croft: Tomb Raider – La culla della vita (2003). Se il primo film fu acclamato mediamente come un buon action, il secondo ricevette pesanti critiche. Il box office risultò leggermente più generoso nel primo capitolo, meno nel secondo, tanto che la combo critiche negative e incassi bassi misero temporaneamente la parola stop alla produzione di un terzo capitolo.

In questo caso la scelta di non proseguire era dovuta ad un momento di “crisi” del brand videoludico: nel 2001 uscì Tomb Raider Chronicles, ultimo capitolo della prima era PlayStation che praticamente non riuscì a piazzare neanche un milione di copie nel mercato globale, un flop di dimensioni mastodontiche se considerato che il precedente Tomb Raider – The Last Revelation riuscì a vendere più di 2,5 milioni di copie, con il primato assoluto a Tomb Raider 2 con le sue più di sei milioni di copie vendute. Nel tempo intercorso tra un film e l’altro uscì Tomb Raider – The Angel of Darkness di cui ricordiamo tutti gli innumerevoli bug presenti per poi scoprire che il gioco fu rilasciato in una versione ancora in sviluppo e quindi, in termini di programmazione, incompleto.

Certo è che la Lara Croft di Angelina Jolie, per l’epoca, era una perfetta rappresentazione, almeno visiva, della controparte videoludica: sfacciata e pronto all’azione, il seno prosperoso, la treccia e le doppie pistole erano elementi così basilari, ma inseriti in un contesto fortemente motivato, riuscirono a spiccare per splendere di una nuova luce. Ad oggi, ci è impossibile non pensare subito a Lara quando vediamo una doppia pistola, subito pronti a far fuori decine di nemici, tigri e perché no, anche T-Rex a suon di polvere da sparo e pallottole.

Nelle prime due versioni cinematografiche quindi possiamo tratteggiare alcuni elementi che ne hanno contraddistinto il successo, per capire cosa ha ben funzionato, e  il relativo disastro e tutti questi saranno elementi sempre presenti in tutti i film tratti da videogiochi.
Ciò che riesce particolarmente bene alla versione cinematografica è la contestualizzazione del personaggio al di fuori del contesto videoludico. L’errore grave su cui molti sceneggiatori inciampano, è quello della fedeltà, quasi come avessero paura che un fan della saga videoludica possa puntare il dito contro lo schermo criticando il grado di fedeltà dell’opera cinematografica. Quanto di più sbagliato o falso.

In questo caso si tratta di film, non di videogiochi. I personaggi devono muoversi sullo schermo con delle regole cinematografiche, tra cui, una sottrazione e rielaborazione del materiale, come la stessa contestualizzazione. Motivo per cui, via il vecchio maggiordomo da chiudere nel freezer, ben venga un maggiordomo giovane e il solito smanettone hacker con supporto da remoto. Ci mettiamo un bel cattivo con un esercito al comando e un partner di avventure – e di letto – per Lara. Il sapore romanzato non stona con l’avventura proposta e difatti la resa finale, tra action e avventura, lascia un buon retrogusto, condito anche da ambientazioni sempre diverse, girando per il globo intero.
Purtroppo questa semplice approssimazione, non rendeva una vera giustizia al personaggio, tanto meno al brand che portava in nome. D’altronde l’esperienza perpetuata sul medium videoludico era davvero unica. Alla domanda “cosa dovrebbe darmi un film tratto da Tomb Raider?” anche pensandoci per giorni, una risposta concreta ed esauriente, tarderebbe ad arrivare.
Tomb Raider ha vissuto i suoi anni d’oro proprio durante i primi quattro capitoli proposti, da un prodotto videoludico che senza troppe animazioni, pochi poligoni, ma tanta e tanta avventura aveva incantato milioni di giocatori, magari fatti anche innamorare di Lara Croft, ma lei rimaneva intangibile. Renderla su carne e plasmata attorno un’attrice ha avuto un picco di sussulto iniziale, per poi venire totalmente ignorata successivamente, relegando le due versioni cinematografiche con Angelina Jolie a semplici film action, anche se avevano indirettamente iniziato un giusto percorso, stravolgendo qualche piccolo concept e scrivendo storie originali.

Il resto che ha portato alla Lara Croft di Alicia Vikander è storia nota: il trittico Legend, Anniversary e Underworld indussero la Crystal Dynamics a ricominciare da zero, un reboot in pieno stile, cancellando tutta la trama narrata finora arrivando anche a cambiare il concept estetico di Lara.

Tomb Raider, reboot del 2013 mostrava effettivamente, quanto la Lara nata a metà anni ’90 fosse effettivamente vecchia, sia anagraficamente (la prima Lara era nata nel 1968, mentre questa nel 1992) che nello stile.
La nuova Lara invece si è assestata perfettamente con le esigenze richieste dal mercato di oggi come dallo stesso giocatore, presentando una ragazza appena ventenne, spaventata, dalla lacrima facile ma con un grande coraggio, una naufraga sopravvissuta, ancor prima di essere un’avventuriera (che lo sarà solo effettivamente nel diretto sequel Rise of the Tomb Raider). La Lara Croft del diretto reboot cinematografico quindi attinge palesemente a piene mani dal reboot videoludico. Forse anche troppo.

Difatti il reboot cinematografico interpretato da Alicia Vikander si è palesato come figlio diretto del reboot videoludico, con una trama presa proprio dal primo capitolo – la ricerca di Yamatai e la tomba di Himiko – inserendo anche la Trinità, forza speciale militare presa da Rise of the Tomb Raider che in termini narrativi, permette una libertà d’azione per quanto riguarda i futuri sequel cinematografici.

Hollywood ci mette sempre del suo nel creare qualcosa di veramente glorioso attorno ai brand videoludici, ma come già premesso non sempre ci riesce. Ci sono casi davvero eccezionali dove tutto funziona alla grande o altri, come visto con Tomb Raider, dove funzionano solo piccoli organi di tutto il sistema.
I materiali di analisi sono tanti e li vedremo titolo dopo titolo.

Gabriele Barducci

Tra un tunnel carpale e l'altro. Cinema e altri feticci nerd su The Games Machine, Nocturno e chiaramente Gameplay Cafè. Amo The Rock, Independence Day, Destiny e il DC Extended Universe, tutti buoni motivi per farmi odiare.

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