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Aladdin – Il ritorno del Genio e della lampada magica!

Tra la vasta moltitudine di classici Disney, l’Aladdin del 1992 è di sicuro uno dei più amati ed iconici. Introdotta nella celebre raccolta di novelle de Le mille e una notte e appunto resa universalmente conosciuta dalla casa di Topolino, la favola disneyana di Aladdin, il Genio e la lampada magica rimane a distanza di trenta anni una delle vette maggiori raggiunte dal cinema d’animazione dell’epoca; questo senza poi considerare l’enorme successo di pubblico che la ha in definitiva consacrata nelle menti e nei cuori di una generazione non troppo remota. Nell’ottica della politica di remake portata avanti negli ultimi anni, il ritorno di fiamma in live action delle avventure di Agrabah pone dunque importanti aspettative ed altrettante incertezze; sarà stata rispettata l’eredità del materiale originale? La transizione dall’animazione avrà mantenuto intatta l’anima del film del ’92? Ebbene – questo ve lo possiamo anticipare – per la maggior parte Aladdin a sorpresa funziona e diverte, portando alla luce diversi momenti memorabili e tirando a lucido la presenza catalizzante del Genio con un’ottima scrittura del personaggio e una grande interpretazione di Will Smith.

Prima di continuare però con la nostra recensione, vi ricordo prima di tutto che Aladdin – diretto da Guy Ritchie (Sherlock Holmes, King Arthur – Il potere della spada) – sarà nelle sale nostrane dal 22 maggio, distribuito ovviamente da The Walt Disney Company. Pronti ad esprimere tre desideri?

Iniziamo dai fatti più ovvi; il remake di Aladdin di Guy Ritchie eredita al completo l’intreccio del film d’animazione originale, ripercorrendone – oltre all’escamotage di metanarrativa – eventi, sequenze e persino ritmo e soluzioni visive. La mezz’ora di minutaggio che intercorre però tra la pellicola del 2019 e quella del ’92 permette di introdurre archi narrativi secondari inediti, applicare una certa cesura su alcuni elementi introduttivi (che vengono dati per scontato) e per ultimo dare maggiore spazio alle concitate battute finali. Nonostante la struttura narrativa si mantenga pressoché intatta, aspettatevi dunque qualche nuovo personaggio, una diversa gestione delle caratterizzazioni e infine – come suggerito sopra – un parziale approfondimento del Genio, pilastro fondante – molto più del mediocre Aladdin di Mena Massoud –  su cui poggia senza troppe remore l’intera produzione.

Il personaggio del Genio è il pilastro fondante su cui poggia senza troppe remore l’intera produzione

Laddove infatti dai primi trailer ed immagini promozionali utenti e critica non hanno esitato a gettarsi contro la nuova iterazione del simpatico essere blu, è quasi ironico scoprire in realtà la splendida dimensione che questo remake regala al personaggio, mai fuori posto e sempre esaltante sia nei perfetti tempi comici, sia nell’esuberanza garantita da una computer grafica imperfetta ma comunque soddisfacente. Nemmeno poi a doverlo dire, la mimica e il volto di Will Smith sono quanto di meglio potesse dare vita alle nuove vesti del Genio, caricandolo di una vivacità e una centralità in grado forse di superare addirittura quanto fatto in passato. La sequenza di Un amico come me – che come tutti gli altri stupendi brani torna inalterato nella sua versione italiana – è testimonianza folgorante di quanto effettivamente l’amalgama costruito su questo versante sia senza alcun dubbio sorprendente.

Se però il lungometraggio di Guy Ritchie eccelle nel caso sopracitato proprio dove sembrava crollare, lo stesso purtroppo non si può dire di quanto fatto con il Jafar di Marwan Kenzari, anonimo, a tratti ridicolo e spogliato in toto dell’iconografia accattivante e stilizzata che ha reso tre decadi fa il gran visir un nemico così interessante ed apprezzato. Ci rendiamo conto certo che con il passaggio al live action una ricaduta su Jafar – vistane la natura caricaturale – era solo che da considerare un difetto sintomatico ed inevitabile, ma risulta complesso non pensare che si sarebbe potuto operare meglio sul casting e sul character design, magari ritoccato in post-produzione. Al netto di quanto detto, quello che maggiormente infastidisce di questo Jafar non è tanto solo il suo aspetto, ma soprattutto la fastidiosa insistenza della sceneggiatura nel volerne sottolineare e giustificare il macchiettismo alla base, provocando in fin dei conti una tendenza alla noia e alla repulsione piuttosto che l’aggiunta di spessore evidentemente ricercata.

La Jasmine di questo remake riflette l’impegno profuso da Disney nella rivalutazione della figura femminile nelle storie classiche

La tendenza a razionalizzare, iperargomentare e recuperare un approccio diretto al reale contemporaneo scorre sotto ciascun filo dei 128 minuti di durata, soprattutto attraverso la figura della principessa Jasmine, la quale si configura sicuramente come la figura politica ed ideologicamente impegnata di questo remake. Il suo carattere – nettamente più forte, deciso e determinante se paragonato all’originale – riflette alla luce del sole l’impegno profuso da Disney verso la rivalutazione della figura femminile all’interno delle storie classiche (il confronto tra Vanellope e le Principesse in Ralph spacca Internet è a tale proposito una dichiarazione di poetica). Cantato dalla Jasmine della bravissima Naomi Scott e parallelo all’impegno di cui sopra è infatti l’unico brano inedito del film, poco integrato tuttavia con la messa in scena e anticlimatico rispetto al crescendo della determinata sezione in cui viene inserito; al di fuori della traccia musicale in sé, si nota comunque una certa pigrizia di sensibilità ed intelligenza nel trattare una tematica di così grande rilevanza per il clima sociale più recente, qui di contro eccessivamente banalizzata e poco accompagnata dalla diegesi del racconto.

Tornando invece alla colonna sonora del remake, i momenti cantati – esattamente come per il cartoon del ’92 – si stagliano a mani basse come le perle migliori della pellicola, da una parte grazie ad un adattamento italiano invecchiato in maniera egregia, dall’altra per merito di un accompagnamento coreografico e scenografico degno dell’alto retaggio a cui l’intero progetto di svecchiamento deve rendere conto. Il mondo è mio emoziona ora come un tempo, Il principe ali stupisce ed intrattiene anche in live action e – come accennato sopra – ad Un amico come me si accompagna un’esplosione cromatica ed effettistica che non può lasciare inerti.

Ad ogni modo, al di fuori di fasi specifiche – come appunto quelle cantate – Guy Ritchie osa ben poco con la macchina da presa, oppresso come lo è stato alla fin fine recentemente Tim Burton (con Dumbo n.d.r.) da una produzione che lascia ben poco margine a qualsivoglia deriva autoriale. L’anestetizzato Ritchie sgorga come un fiume in piena solo in un paio di situazioni concitate (delle quali una abbiamo visto a metà a causa di problemi tecnici critici della proiezione stampa), entrambe avvolte attorno a spazi stretti e scambi d’azione sempre affondati in dinamiche parkour.

In conclusione, Aladdin è un buon remake in live action del capolavoro di animazione del 1992, per certi versi in grado di migliorare il lavoro fatto in passato, per altri vittima di un adattamento di temi e linguaggio in assoluto estremamente complesso da costruire. Superata la prima – pessima – mezz’ora, il film acquista un’identità ironica, spensierata e rinnovata in positivo soprattutto grazie al Genio di Will Smith, sulle spalle del quale poggia buona parte della fruibilità complessiva della pellicola. Le emozioni poi sono tutte lì, esattamente dove le avevamo lasciate, negli splendidi ricordi cristallizzati nell’infanzia di molti.

Simone Di Gregorio

Da sempre cinefilo e videogiocatore, passioni di una vita e forza propulsiva nel quotidiano. Scrivo, guardo e gioco, ormai da 2 anni a questa parte. Responsabile sezione cinema.

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