Cinema & Serie TV

Stranger Things 3 – La multirecensione (spoiler) della redazione

Stranger Things è una di quelle serie in grado di mettere (quasi) tutti d’accordo. Nostalgia mista a citazionismo anni ’80, tensione costante abbinata ad un immaginario sfaccettato, personaggi carismatici evidenziati da ottime performance; la serie dei fratelli Duffer – ora giunta alla sua terza iterazione – ha raggiunto nel tempo un’importanza commerciale di proporzioni a primo acchito inimmaginabili, cavalcando quell’ondata di ritorno al passato che tanto sta accentrando questo decennio di intrattenimento. Non solo tuttavia spettatori più attempati, Stranger Things ha catturato nella sua tela sognatori di ogni età, attirati chi dalle sue derive da sit-com/teen drama, chi dalle sue esplosioni di horror e body horror, chi ancora dalla qualità organica della sua scrittura, densa e derivativa.

Come già fatto con la ultima stagione di Game of Thrones, noi della redazione di Gameplay Café abbiamo deciso quindi di riunirci ancora una volta per comporre un articolo collettivo sulla serie TV del momento, attratti proprio dalla possibilità di comporre un’opinione al plurale che possa risentire delle differenze di gusto e generazionali tra i diversi membri del gruppo. Se siete quindi curiosi di scoprire cosa pensiamo nel dettaglio della terza stagione di Stranger Things, non vi resta che continuare nella lettura della nostra multirecensione! Prima di iniziare, vi ricordiamo che Stranger Things 3 è disponibile dal 4 luglio scorso solo su Netflix.

Courtesy of Netflix

Simone Di Gregorio

Stranger Things è come un amore dimenticato; impossibile rendersi conto quanto ti manchi finché non ne riassaggi il sapore. A distanza di quasi due anni dalla seconda stagione, Stranger Things era un ricordo lontano, quasi annebbiato, e l’attesa per il suo ritorno pressoché nulla. Una scintilla, quella del primo nuovo episodio Suzie, do you copy?, che immediatamente ha risvegliato quell’interesse sopito: il piacevole gusto saporito dell’assuefazione di un bingewatching durato appena un weekend, arricchito dalla forma piacevole di una serie che senza dubbio con questo numero tre ha finalmente trovato la sua dimensione definitiva.

La terza stagione della creatura dei fratelli Duffer redime gli errori del passato per trarne lezioni funzionali al perfezionamento di quanto messo su schermo con la stagione apripista; quello del 2019 è uno Stranger Things infatti diverso, vicino talvolta alla leggerezza tipica della sitcom e delle sue interazioni stereotipate, talvolta invece vicino allo scandaglio tridimensionale di temi non banali con personaggi ben caratterizzati, talvolta infine compiaciuto in un body horror che sembra gridare a piena voce il nome di Carpenter.

La maturazione di scrittura si accompagna parallela alla travagliata transizione dall’infanzia all’adolescenza

La terza vita della produzione di Matt e Ross Duffer è di conseguenza essere polimorfo, che con tentacoli da Mind Flayer raggiunge molteplici generi diversi per mettere a punto un pacchetto semplicemente irresistibile in ogni suo aspetto. Le sezioni leggere e spensierate – dapprima magari considerabili banali o ridondanti – finiscono per vivere in funzione di momenti drammatici conclamati, punti esclamativi di fronte a costruzioni stilate con evoluzioni graduali e mai forzate. Lo sceriffo Hopper – bravissimo anche David Harbour nell’interpretarlo – reifica questo processo di maturazione del processo creativo della serie, a tratti caricaturale e comico, agrodolce di contro nel nucleo dei suoi punti di svolta. Maturazione di scrittura, questa, che si accompagna parallela alla travagliata transizione dall’infanzia all’adolescenza (ed alla maturità), affrontata una volta per tutte nel lutto del finale di stagione, sotto le cariche parole di un padre e le note riflessive di una superba cover di Heroes. Perché la serie di punta Netflix non è solo nostalgia e citazionismo – che pure fanno parte della sua identità -, ma molto di più.

E’ coraggio di andare avanti – come nel caso di Eleven, Joyce, Will e Jonathan Byers -, voglia di oltrepassare il pregiudizio – come nel caso della stupenda gestione del carattere di Robin -, inno all’amicizia e più in generale splendida riflessione su vita, dolore e crescita. La terza stagione di Stranger Things – incorniciata da un lavoro tecnico ineccepibile su colori, computer grafica e guizzi di regia – non soltanto mette a segno il finale perfetto, ma con tutta probabilità la stagione perfetta, tra i risultati più alti del catalogo Netflix, capace in questo caso di coniugare il gusto mainstream e la qualità della grande televisione.

Leonardo Moschetta

La nuova formula vive di una funzionale tensione tra toni spiccatamente comici e una inaspettata deriva horror

Ci sono volute ben tre stagioni affinché i fratelli Duffer trovassero l’equazione perfetta per la loro creatura. Perché si, questa stagione, per il sottoscritto, è quello che Stranger Things avrebbe sempre dovuto essere. Nel solco della riproposizione di immaginari filmici tipici degli anni ’80, la nuova formula vive di una funzionale tensione tra toni spiccatamente comici e una inaspettata deriva horror. Accettare la svolta quasi macchiettistica di personaggi in precedenza drammatici come Hopper non è così immediato, ma consente alla serie di acquisire un ritmo praticamente perfetto, nonché di esaltare al meglio gli straordinari momenti drammatici.

La componente horror abbandona quasi del tutto il metafisico delle due precedenti stagioni, con il sottosopra che fa solo un paio di sporadiche comparse. Il nemico è invece terribilmente reale e schifosamente organico. Il nuovo Mind Flyer, infatti, è strettissimo parente de “la Cosa” di Carpenter, un organismo parassita in grado di liquefare i corpi umani e assimilarli. Carpenter e Cronenberg (ma anche il Raimi de La Casa) e il loro body horror sono il modello di riferimento principale di questa stagione, che trabocca come sempre di citazioni che il pubblico più nerd non mancherà di cogliere: da Ritorno al Futuro a La Storia Infinita, da Indiana Jones (i stereotipati soldati russi) a Jurassic Park, da Rocky a Terminator (il cattivone russo è una sintesi perfetta tra Ivan Drago e il T800).

A completare il pacchetto una scrittura sicuramente più compatta e brillante, che restituisce importanza ed evolve praticamente tutti i personaggi portandoli verso un epilogo estremamente forte e conclusivo (la quarta stagione si farà e le riprese partiranno ad ottobre n.d.r.). Inoltre la regia dei Duffer si è notevolmente evoluta e regala momenti di pregio assoluto insieme a tutto il comparto tecnico, dalla fotografia agli effetti speciali, passando per il montaggio. Grandissimo il lavoro degli attori, su tutti David Harbour (Hopper) e Joe Keery (Steve), insieme alla straordinaria new entry Maya Hawke (Robin).


Insomma, stagione decisamente promossa!


Giacomo Bornino 

Se mi incontraste al bar una sera e mi chiedeste un parere su Stranger Things, probabilmente l’unica cosa che vi direi sarebbe di mollare tutto, correre a casa e spararvi nelle cortecce visive tutte le stagioni al più presto. Questo perché, al netto di (tanti) pregi e (pochi) difetti, i ragazzini di Hawkins sono capaci di entrarvi dentro, rapirvi il cuore e tenerlo stretto con loro, come pochi altri personaggi sanno fare. 

In questo caso però il contesto formale della recensione richiede qualche parola in più e quindi: “mollate tutto, correte a casa e sparatevi la serie…”. Che ci posso fare? Quando mi ritrovo a parlare di Stranger Things l’amore prende il sopravvento e non riesco a non consigliarlo spassionatamente a chiunque. E forse, a ben pensarci, è proprio questa la qualità più importante che vi posso comunicare: la serie tocca le corde giuste, fino ad intrattenere ed emozionare. 

Che dire di questa terza stagione? Sicuramente che si tratta ancora di Stranger Things, nel bene e nel male come l’abbiamo conosciuto sin qui. Accantonata Kali (“sorella” di Eleven, n.d.r.) e la Suicide Squad dei poveri, scivolone clamoroso di cui anche i fratelli Duffer devono essersi resi conto, gli showrunner hanno spinto la loro creatura verso picchi di eccellenza inediti per la serie, che esplode come un fuoco d’artificio soprattutto nel finale di stagione, regalandoci un episodio da manuale della televisione, perfetto sotto ogni punto di vista. 

A voler essere pignoli, devo confessarvi però che nel complesso questa stagione si colloca nella mia scala di gradimento appena al di sotto delle precedenti. La perdita dell’elemento drammatico legato alla famiglia Byers e la già perfetta conoscenza dei nostri beniamini lasciano intravedere la debolezza dell’intreccio narrativo e rendono i primi episodi forse fin troppo banali, complice anche la ricaratterizzazione macchiettistica di Hopper, che personalmente ho trovato indigesta e incoerente col passato. 


Ad ogni modo, col procedere delle puntate tutti gli elementi trovano la loro perfetta dimensione e il risultato è un centro pieno. Una cosa è certa: che sia la vostra prima volta, o al contrario una meta già visitata, Hawkins vi aspetta: non ve ne pentirete.


Courtesy of Netflix

Giulio Baiunco

Con una seconda stagione sottotono e una puntata (la sette) che persino gli sceneggiatori hanno voluto dimenticare con litri di assenzio, il 4 luglio è tornata su Netflix la serie di punta del servizio di streaming: Stranger Things. Le aspettative erano altissime e sono state più che rispettate, con quella che considero la migliore stagione della serie ambientata ad Hawkins. Alcuni colleghi qui presenti non saranno d’accordo, tuttavia a partire dalla costruzione della prima puntata il ritmo è intenso e l’evoluzione dei personaggi imprescindibile e necessaria.


I nostri ragazzi sono cresciuti e attraversano le prime fasi dell’adolescenza, quindi le love story sono d’obbligo nel contesto in cui sono inserite.


Ciò dimostra una crescita che fa parte della fisiologia umana e permette la realizzazione di piacevoli equivoci, attraverso le capacità attoriali di un magistrale David Harbour che si affaccia per la prima volta nell’affrontare il rapporto tra adolescenti e primi amori. Le prime puntate assestano il mood che verrà utilizzato per tutti gli otto episodi e il mistero comincia a infittirsi sempre più con l’avanzare del climax, scoprendo che i russi (quanto fa cliché anni ‘80) sono la causa di un male che sta per invadere la cittadina. La struttura di ogni puntata è costruita per mantenere il fruitore incollato allo schermo e l’utilizzo perfetto dei colpi di scena è la ciliegina sulla torta che rende l’opera memorabile. La terza (e penultima) stagione è una vera e propria bomba emotiva, un rollercoaster di sensazioni, che si spinge oltre ciò che è stato creato in precedenza ed esplode nelle note finali come fuochi d’artificio.

Si percepisce una maturazione nella narrazione da parte dei fratelli Duffer, anche proponendo una qualità citazionista notevole e facendo leva sulle suggestioni provate. Una storia fatta e (in)finita che lascia un barlume di speranza allo spettatore, già pronto a spremersi le meningi per sviluppare e rimuginare teorie a riguardo.

Tommaso Stio

Caparezza cantava che “il secondo album è sempre più difficile”, ma per Stranger Things, dopo una prima stagione eccellente e una seconda più noiosa e comunque rispettabile, il vero snodo non poteva che essere incarnato da questa terza iterazione. Per fortuna, dopo averla divorata in un fine settimana, a colpi di quattro episodi per volta, posso dirmi concorde con quelle che sono state le ottime sensazioni dei miei colleghi.

Queste nuove puntate rappresentano un’ottima sintesi del perché Stranger Things sia divenuta negli anni una delle serie originali Netflix più celebri e apprezzate dal pubblico. In particolare, tra i pregi della produzione non posso non citare la struttura del racconto che risulta molto scorrevole, ispirata e per di più arricchita da giochi di macchina e finezze artistiche come il continuo contrasto cromatico tra tinte rosso e bluastre, tra bene e male.

La ricetta è pressoché la stessa ed il ritmo è incalzante

La ricetta è pressoché la stessa, il ritmo è incalzante ma finisce per tagliare fuori alcuni personaggi comprimari. Per fortuna ne vengono introdotti di nuovi, ben scritti, e vengono a crearsi delle sinergie funzionali all’intreccio, dall’inizio alla fine, pur lasciando diverse questioni in sospeso. Un apprezzamento particolare va riservato agli ultimi episodi, che – combinati assieme – compongono un crescendo esplosivo e magnetico – no, non parlo dell’odioso momento canoro (chi scrive non ha visto La Storia Infinita, n.d.r.) – degno di una grande produzione televisiva.

Rosario Salatiello

Devo dire la verità: dopo essermi esaltato con la prima stagione di Stranger Things, pur mantenendo una certa ammirazione guidata dallo spirito nostalgico, mi ero un po’raffreddato con la seconda. Per questo motivo, la terza è stata una piacevole sorpresa, in cui i fratelli Duffer hanno saputo confezionare una storia dal ritmo ottimo (esclusi forse i primissimi episodi), conclusa in modo magistrale con un ultimo capitolo che è riuscito nell’impresa di tenermi incollato al divano con la bocca spalancata.


Al di là del solito flusso di citazioni, la terza stagione di Stranger Things ha anche il merito di aver trovato un’identità ben precisa, senza avere paura di fare paura (perdonate il gioco di parole) sfociando in attimi da puro horror.


Per motivi diversi, ho adorato alla follia i due nuovi personaggi Robin (Maya Hawke) e Alexei (aka Smirnoff, Alec Utgoff). Volendo invece trovare un pelo nell’uovo, mi sarebbe piaciuto sentire una maggiore presenza della colonna sonora tipicamente anni ‘80, spesso solo abbozzata.

Courtesy of Netflix

Antonio Di Stefano

Ad Hawkins continuano a succedere cose molto strane. La terza stagione di Stranger Things inizia con una sequela di momenti piuttosto balbettante e con un continuo alternarsi di smancerie e frangenti decisamente poco memorabili, tra le moine di fidanzatini alla scoperta dei pulpiti adolescenziali e le continue parentesi tra Joyce ed Hopper; ho esaurito i muri su cui sbattere la testa.

La situazione si fa completamente diversa con il progredire degli episodi, attraverso un taglio narrativo quasi completamente inedito per la serie: una contrapposizione sopraffina di momenti a tinte sfacciatamente horror e scene di pura dissacrazione. La più grande sorpresa che riguarda l’intera serie però è racchiusa nell’evoluzione dei personaggi e nella loro collocazione all’interno del racconto. Se prima i cinque mascalzoni rappresentavano la portata principale dell’offerta della serie, adesso ad ogni personaggio è stato attribuito un ruolo ben definito ed uno scopo altrettanto rifinito.

Sorprendente la progressione del trio Steve, Dustin e Robin, che tocca vette straordinarie condite da una recitazione ben sopra la media rispetto anche alle precedenti stagioni. Winona Ryder sempre ottima, spalleggiata però da un David Harbour davvero in forma ed aiutato da una scrittura del personaggio molto sfaccettata, anche rispetto alle precedenti iterazioni.

Il capitolo finale della terza stagione è un condensato di momenti topici

Se la progressione delle vicende risulta intrigante ed ispirata, discorso a parte va fatto per l’ultimo episodio della nuova tornata. Il capitolo finale della terza stagione è un condensato di momenti topici e fondamentalmente è tutto ciò che avremmo voluto vedere sin dall’inizio. Le strade di ciascun personaggio come prevedibile si incontrano, ma senza essere ingombranti l’una contro l’altra; i nodi relativi ai problemi riguardanti il sottosopra si risolvono forse troppo velocemente, per lasciar spazio ad un salto temporale attraversato il quale il destino dei piccoli (ormai adolescenti) protagonisti risulta un punto interrogativo.

Francesco Pagano

Un pugno in piena faccia durante una rissa mentre sei mezzo ubriaco. Uno di quei colpi che sai che prima o poi arriverà, ma che comunque stordisce perché sei consapevole di non essere pronto a riceverlo. Questo è stato Stranger Things 3 e il finale di stagione nella mia testa e nel mio stomaco. Eppure la stagione parte lenta, forse anche più lenta delle altre, con alcuni punti in sospeso, tanti sottintesi e una spolverata di citazioni. Tutti che tornano, la vita tranquilla di Hawkins, storie d’amore assortite e l’orrore che sembra quasi dimenticato. Poi ci si mettono i russi, gli sporchi russi da guerra fredda. E tutto pareva iniziare a prendere la piega di quei film anni ’80 tanto cari al complottismo di un tempo.

E poi ci sono loro, i giovani protagonisti, ancora una volta liberi di scorrazzare per la città senza controllo e – soprattutto – senza genitori che se ne preoccupino. Questo leitmotiv – che si trascina dalla prima stagione – iniziava a stancare in quanto dopo due crisi contro il Demogorgone appare lecito aspettarsi maggiore attenzione e meno libertà, e invece. Il loro processo di crescita dall’infanzia all’adolescenza è appena accennato, ma abbastanza da percepire che qualcosa è cambiato. Eleven e tutti gli altri sembrano più consapevoli, ma anche più ribelli, mentre Nancy e Jonathan fanno i conti con la dura essenza dell’essere adulti e del vivere tra adulti.


Fino alla sesta puntata ammetto di essere rimasto scettico.


Troppe citazioni al punto da sembrare un patchwork di idee prese qua e là dalla fantascienza cinematografica. Tutto però assume una forma coerente e intensa nelle ultime battute fino al culmine finale, in grado davvero di emozionare. Te lo aspetti che accada, tuttavia fino all’ultimo resti con la speranza di esserti clamorosamente sbagliato. E poi il pugno finale, quello dopo il climax, quello che porta a spezzarti l’anima. Avrà anche i suoi difetti questa terza stagione di Stranger Things, con alcuni personaggi che meritavano probabilmente un approfondimento migliore, ma i fratelli Duffer hanno saputo colpire le corde giuste per prepararci alla prossima stagione.

Giuseppe Pirozzi

“Possiamo giocare a Dungeons&Drugons ora?” – Crescere fa schifo, gli amici iniziano ad avere altri interessi oltre ai demogorgoni ed ai giochi di ruolo, tua madre è sempre in giro con un irresistibile panzone rude ma segretamente dolce ed improvvisamente tutti hanno una fidanzata. Se sei Will il Saggio non te la passi proprio bene, se sei uno spettatore invece, WOW. 

Un estate cambia tutto dice la tagline della stagione

A due anni di distanza ritroviamo i personaggi del cast stravolti dall’adolescenza, non solo all’apparenza. Un estate cambia tutto dice la tagline della stagione; scordiamoci la tenera quanto inquietante Eleven che con la sua innocenza riesce nel salvare Hawkins, ora vediamo una giovane donna che cerca il suo posto nel mondo divisa tra il suo amore per Mike e la sua amicizia con Max. Ed è questo più di tutti il protagonista della nuova stagione, il cambiamento è la pietra angolare su cui si innesta questo nuovo arco narrativo, al di fuori della minaccia sovietica o della nuova bestialità che cerca di divorare la città dell’Indiana. 

La scrittura magistrale dai fratelli Duffer mette in risalto questi nuovi rapporti, che hanno ripercussioni sui più piccini e di rimando sulle figure genitoriali di Joyce e Hopper, personaggio assolutamente incredibile capace di rientrare nel clichè del poliziotto brontolone e schietto, ma dotato di una carica innovativa che lascia senza fiato, in equilibrio tra dramma e momenti comici. Stesse vette raggiunte dal personaggio di Billy, quasi totalmente privo di scopo nella seconda stagione e che qui si scopre dotato di uno spessore drammatico inedito maledettamente funzionante . E che dire della coppia Steve – Robin (tutta sua madre)? Tanto strana quanto esilarante, capace di momenti in perfetto teen drama che lasciano lo spettatore spiazzato positivamente regalando uno dei colpi di scena meno intuibili dello show; un improbabile duo completato da una insospettabile Erica (perché non puoi pronunciare America senza “Erica”) e da Dusty-bun, il quale non ha certo bisogno di presentazioni.

“Written on the pages

Is the answer to a never ending story

Aaaah”


Per favore Netflix, abbiamo bisogno della quarta stagione ora.


Simone Di Gregorio

Da sempre cinefilo e videogiocatore, passioni di una vita e forza propulsiva nel quotidiano. Scrivo, guardo e gioco, ormai da 2 anni a questa parte. Responsabile sezione cinema.

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