Cinema & Serie TV

The Witcher: il botto più rumoroso di fine anno di Netflix

Il maestoso 2019, che si accinge a salutare il mondo lasciandosi dietro una scia di successi, annunci e graditi ritorni, è pronto più che mai a sparare gli ultimi colpi, i cosiddetti “botti pesanti”. Proprio nel rush finale, ossia nelle ultimissime settimane di un anno che ha visto il grande ritorno sulla scena di un genio visionario come Hideo Kojima, l’annuncio delle nuove Xbox One e PlayStation, e tanto altro ancora, il mondo dello spettacolo è pronto a fare spazio ad un ultimissimo botto di quelli, secondo il nostro parere, destinati a fare tanto rumore. E no, qualche mese fa, non avremmo mai immaginato di trovarci a scrivere una cosa del genere. Perché, diciamoci la verità, soltanto in pochi, dopo i primissimi contatti avuti con la nuova serie originale Netflix, The Witcher, ispirata i romanzi di Andrzej Sapkowski, avrebbero scommesso qualche euro sull’effettiva riuscita del progetto, al netto di budget, attenzione mediatica e importanza del prodotto in sé.

Toss a coin to your witcher…

Dopo aver letteralmente divorato (in anteprima) i primi cinque episodi sugli otto previsti della prima stagione, siamo oltremodo contenti di poter appurare con estrema certezza quanto effettivamente fossimo nel torto. La serie con protagonista Henry Cavill nei panni del tanto idolatrato strigo, Geralt di Rivia, vince e convince, a mani basse, e lo fa con estrema semplicità e, soprattutto, con grande fedeltà e rispetto del materiale di partenza. Ha fatto centro, possiamo dirlo, Lauren Schmidt Hissrich (Daredevil), la quale ha saputo gestire in modo convincente un adattamento tutt’altro che semplice e su cui si posavano gli occhi di buona parte di un pubblico sempre più pretenzioso. Dopo aver viaggiato in compagnia del Lupo Bianco e aver ascoltato le splendide melodie di Jaschier, siamo pronti a raccontarvi la nostra personalissima esperienza con lo show di Netflix, che saprà rubare, almeno in parte, la scena allo stesso Star Wars, in uscita nei cinema nella stessa settimana del rilascio ufficiale della serie.

La serie regala fin da subito un forte senso di familiarità.

Ebbene sì, ci siamo emozionati tanto nella visione degli episodi, ma non per le tematiche, sia chiaro, sempre molto crude anche nel loro essere a proprio modo toccanti, ma per una sensazione di grande familiarità che ci ha pervaso sin dalle primissime battute. Ciò, chiaramente, è anche merito della scelta di – salvo alcune libertà introduttive necessarie – trattare fondamentalmente tematiche molto simili a quelle della controparte cartacea, in particolare quelle del primissimo volume. Come un violento pugno nello stomaco, ci viene presentato il personaggio di Geralt, l’iconico protagonista della saga, la cui natura paurosamente a metà tra l’umano e il non umano rappresenta la chiave di volta di buona parte dei dialoghi e dell’iconografia costruita intorno allo “strigo” e ai “witchers”. Geralt, infatti, e nella serie di Netflix viene riportato abilmente, non è il classico eroe, quello, per capirci, le cui gesta racconteresti ad un bambino per agevolarne l’abbraccio con Morfeo. Così come gli altri esponenti della sua “razza”, Geralt è un individuo a cui sono state somministrate pozioni di ogni sorta e su cui sono stati compiuti esperimenti indicibili, che hanno donato benefici – ma anche altrettante limitazioni – al corpo ma soprattutto all’animo dei sopravvissuti. E, proprio nel glaciale sguardo dello strigo, si scorge un mondo altrettanto crudele, spaventoso, in cui gli orrori si annidano ad ogni angolo e dove c’è pochissimo spazio per elementi quali l’altruismo, la bontà e l’amore (a patto che non lo si interpreti come amore strettamente fisico, di cui ce n’è in abbondanza).

No Fairy Tails

La storia di Geralt, protagonista se vogliamo non esclusivo di un immaginario smisurato che ha tanto da dire e in cui le forze in gioco sono tante e abbracciano ogni tipo di provenienza, risulta essere proprio lo specchio di quanto detto poc’anzi. Le sue vicende si snodano in un ambiente ostile, in cui sembra essere quasi un intruso che cerca di trovare il suo posto nel mondo, combattendo contro pregiudizi e disavventure di ogni sorta. Tutto ciò è però soltanto un assaggio di ciò che si cela dietro al velo di “facciata”, un piccolo preambolo ad un racconto ricco di segreti che, da lì a poco, iniziano a schiudersi dinnanzi allo spettatore. Di conseguenza, non è assolutamente un caso se, tramite una narrazione se vogliamo frastagliata in termini strettamente cronologici, lo show mette in piedi una doverosa – lunga – introduzione iniziale non soltanto al personaggio dello strigo, già comunque ampiamente nella sua forma “finale”, ma anche alla strega Yennefer (Anya Chalotra) e alla giovane principessa Cirilla (Freya Allan). Se pensavate, insomma, che The Witcher di Neftlix avrebbe seguito le orme di Geralt e di lui soltanto beh, è il momento in cui vi sveliamo che così non è. Quelli che definiremmo i tre protagonisti dello show (pur conservando un certo occhio di riguardo per lo strigo) muovono le proprie gesta in maniera praticamente parallela, per poi – inevitabilmente – ritrovarsi legati in qualche modo, dal sottile filo di un destino che sembra aver in serbo tante cose per ognuno di loro.

Dai romanzi al videogioco e ora alla serie TV!

Così come per i libri, a cui la serie fa riferimento (“ignorando” la parte dell’adattamento videoludico), il The Witcher di Netflix porta in scena diversi racconti nel racconto, pur però preoccupandosi di tenerli attaccati tra loro, sull’altare di una continuità narrativa nettamente più “necessaria”, trattandosi di uno show che punta ad allietare tanto i veterani quanto i novizi. Sullo sfondo di un mondo incatenato con violenza dalle lotte politiche, sempre più violente e incapaci di distinguere talvolta il sottile confine tra il giusto e lo sbagliato, vengono fondamentalmente portate su schermo le “origini” dei tre protagonisti, seppur con spazi e modalità diverse. Se Geralt, e lo abbiamo già detto in precedenza, viene già presentato nella sua forma “finale”, con numerosi richiami alla sua ben poco apprezzata natura di “witcher” o Riv (così come vengono chiamati nei libri) mai veramente esplorati a fondo, a rubare la scena nei primi episodi visualizzati è certamente la genesi di Yennefer of Vengerberg, uno dei personaggi più iconici di tutto l’immaginario imbastito da Sapkovski. Lo ammettiamo: all’inizio abbiamo faticato a riconoscerla. I più attenti, però, conoscono bene la natura della strega e, soprattutto, le sue sfortunate origini. La sua trasformazione (letteralmente) avviene in maniera graduale, sentita, cruda, dolorosa, e ciò lo si percepisce grazie anche all’ottimo lavoro nell’interpretazione da parte dell’attrice designata per il ruolo.

No rest for the wicked

Nel destino di Yennefer riveste un ruolo di primo rilievo la strega Tissaia (MyAnna Buring), poiché proprio lei sarà colei che inizierà la giovane al cammino della magia, strappandola alla vita costellata di miseria e sofferenze cui era destinata. Nonostante il passato travagliato (o probabilmente proprio grazie ad esso), Yennefer sin da subito mostra un carattere forte, determinato, disposto a tutto pur di raggiungere i suoi scopi. La giovane strega, infatti, non si ferma davanti a nulla pur di realizzare i suoi propositi, che comprendono la vendetta e la forte volontà di raggiungere un potere sempre maggiore, a volte anche a scapito di se stessa e di chi le sta intorno. Proprio grazie al suo forte interesse nell’accrescere il proprio potere, Yennefer si imbatterà in Geralt e i due inizieranno a conoscersi ed apprezzarsi, ma non vi diciamo come né perché. A completare il terzetto di protagonisti troviamo poi Ciri, che per ora risulta essere più in disparte rispetto agli altri due. La giovane viene introdotta sin dalle origini, come accaduto per Yennefer, sin da quando era la principessa Cirilla, ingenua e ignara degli orrori del mondo. La ragazza, costretta a scappare da una guerra che ha coinvolto il suo luogo di origine, si trova coinvolta in una lunga serie di peripezie che la guideranno verso il suo destino, legato fortemente ad un individuo di cui non conosce assolutamente nulla ma a cui, a causa anche degli eventi narrati in una dimensione cronologica differente, è destinata a rimanere fortemente legate, quasi indissolubilmente. “Trova Geralt di Rivia”, sono queste le parole della nonna, la regina Calanthe, madre di Pavetta il cui destino, in giovane età, è stato ampiamente alterato proprio dal contatto con lo strigo.

Tanti personaggi e luoghi celebri della serie prendono vita!

Nell’universo di The Witcher, lo sappiamo bene, non c’è solo spazio per cospirazioni e intrighi politici, ma anche e soprattutto per tanta azione e tanto… sangue! Del resto, lo stesso Geralt vive proprio facendo della caccia agli esseri non umani, chiamati in modo grossolano semplicemente “mostri”. Il primo “caso serio” che la serie di Netflix ci porta su schermo è lo stesso narrato nel capitolo “Lo Strigo” del romanzo “Il guardiano degli Innocenti”, ossia quello legato alla violenta caccia allo strige. In compagnia – seppur contro la sua volontà – del bardo Jaskier (Joey Batey) Geralt prende carico della missione, una missione complessa che nemmeno un suo simile era riuscito a portare a termine. Tale missione è probabilmente l’emblema perfetto di tutta l’iconografia che si snoda dietro al lavoro di Sapkowski, dato che riassume grossomodo buona parte degli orrori di cui è capace l’uomo. In preda ad ideali quali la vendetta e la sete di potere, attingendo a forze oscure di ogni sorta, si arriva a maledire addirittura un bambino appena nato, mutandolo in una bestia senza coscienza di sé, il cui unico scopo è cibarsi delle carni e degli organi degli sfortunati che ne incrociano il passo. Sotto questo aspetto, un po’ come nei vidoegiochi, la serie di Neflix appare più debole. Seppur di fondamentale importanza, gli scontri “fisici” sono nettamente meno interessanti rispetto alle battaglie lessicali, e più in generale risentono di un lavoro qualitativo decisamente inferiore rispetto a quello svolto nella sceneggiatura, in cui i dialoghi ma anche i monologhi o semplicemente le riflessioni godono di una resa più efficace.

Uno spettacolo per gli occhi

E, da questo punto di vista, ci sentiamo di premiare ancora una volta l’ottimo lavoro svolto dagli sceneggiatori, anche in termini di casting. Buona parte degli attori, provenienti da serie tv abbastanza a “tema” come la stessa Calanthe (Jodhi May, Il Trono di spade) e il suo consorte, il cavaliere Eist (Björn Hlynur Haraldsson, Fortitude), o, magari, a Mousesack (Adam Levy, Knightfall), offrono un apporto significativo alla trasposizione televisiva. Di ottimo livello è anche l’interpretazione della coppia d’oro Chalotra-Allan, semplicemente splendide nella loro interpretazione di due tra le donne più importanti (e soprattutto maggiormente legate allo strigo) della storia. Abbiamo tenuto per ultima, apposta, la nostra valutazione squisitamente “parziale” su quella che è stata l’interpretazione di Cavill, sicuramente uno degli aspetti che hanno destato maggior preoccupazione e sincero interesse alla vigilia. Ebbene, al netto di tutti i pregiudizi del caso, l’attore si è calato in maniera più che dignitosa nella parte, risultando in alcuni frangenti pressoché perfetto. E, se in molti gli hanno sempre imputato una pericolosa latitanza in termini di espressività, probabilmente impersonare un personaggio “vacuo” e inespressivo come Geralt di Rivia lo ha aiutato fortemente. In alcuni momenti, con le memoria del videogioco di CD Projekt RED ancora viva nella mente, ci è sembrato di udire la stessa voce di quel Geralt, segno che, lo stesso Cavill, ha lavorato duramente su di un personaggio a lui molto caro, essendo l’attore un grandissimo fan della serie, sia di quella cartacea che di quella videoludica.

Veramente stupenda e perfettamente calzante risulta la realizzazione, sia per quanto concerne le riprese vere e proprie e i luoghi utilizzati, sia per quanto concerne il sonoro, dal doppiaggio alle musiche. Le riprese, che hanno preso il via nell’autunno del 2018 e si sono svolte a Budapest, in Ungheria, nelle Isole Canarie, sulle coste nordafricane, e in Polonia, mostrano una serie di luoghi a dir poco perfetti per le scene rappresentate, che permettono allo spettatore di calarsi completamente nel mondo di The Witcher. Ogni scena porta con sé una realizzazione maniacale, dalle luci alla regia, e nulla è stato lasciato al caso, tanto che tutto sembra uscito direttamente dalla penna di Sapkowski, restituendo una sensazione di distacco dalla realtà in favore di un’immersione totale nelle scene viste su schermo. Stesso discorso per quanto concerne la parte sonora: ogni melodia, ogni canto, ogni parola all’interno dello show targato Netflix sono perfettamente calzanti e contribuiscono in modo eccezionale a far calare lo spettatore in quelle magiche atmosfere. Difficilmente si sarebbe potuto fare di meglio, quindi possiamo dirci pienamente soddisfatti.

Peccato solo per qualche piccola sbavatura nella realizzazione di alcune creature, a volte un po’ troppo finte, e degli incantesimi, che hanno una resa abbastanza discutibile, ma nulla su cui non si riesca a soprassedere. E, in conclusione, vogliamo tornare ancora una volta a parlare del sonoro, facendo un plauso particolare alla colonna sonora che accompagna l’avventura di Geralt, Yennefer, Ciri e tutti gli altri. Grazie anche alle splendide melodie di Jaskier (Toss a coin to your witcher rimarrà nella vostra testa per diverso tempo), ma più in generale ad una resa musicale quasi commovente, la serie riesce a far respirare perfettamente quelle stesse atmosfere che, per certi versi, sembrano fuoriuscire dai testi di Sapkovski come per magia. Se dovessimo trovare qualche sbavatura, negli episodi finora disponibili in anteprima, sarebbe quella (al di là del discorso sugli effetti speciali e la rappresentazione altalenante delle creature) sarebbe quella di aver affrontato alcuni temi in maniera forse leggermente frettolosa. Questo, però, è tutto sommato comprensibile, data la natura dell’adattamento e, soprattutto, la mancanza di ancora diversi episodi per poter dare un giudizio completo.


Conclusione


La conversione televisiva di un colosso come The Witcher da parte di Netflix, al momento, risulta più che riuscita. Narrazione, realizzazione artistica e resa degli attori risultano di primissimo livello, figlie di un progetto nato e cresciuto con la volontà di stupire e, soprattutto, sfatare ogni tipo di luogo comune che si portava dietro già dal primissimo annuncio. Abbiamo apprezzato moltissimo l’interpretazione di Cavill nei panni di Geralt, ma abbiamo letteralmente amato la Chalotra, semplicemente perfetta nei panni della bella e dannata strega Yennefer, il grande amore dello strigo. La serie di Netflix, che si ispira direttamente ai romanzi di Sapkvoski, riesce a trasporre in maniera quasi perfetta un immaginario tanto vasto quanto articolato, e lo fa in maniera convincente, grazie anche ad alcuni espedienti narrativi utili alla fruizione di un racconto complesso e ricco di forze in gioco. Peccato per la resa visiva di elementi come gli incantesimi o la riproduzione di alcune creature, un po’ troppo “plasticose”, ma se questo è soltanto l’inizio, non vediamo l’ora di tornare a cavalcare insieme allo strigo, a Jaskier e all’immancabile Rutilia.

Salvatore Cardone

Scrivo, cucino, mangio. Spesso contemporaneamente. Necessito di più mani.

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