Se siete alla ricerca della tecnica di guida perfetta, della staccata al centimetro o amate preoccuparvi per una foratura o un danno meccanico irreparabile, Dirt 5 non è il titolo che fa per voi. Ma se invece cercate sporco, fango, ghiaccio, acquazzoni imprevisti, sportellate, salti, curve con freno a mano tirato e non volete nient’altro che arrivare per primi al traguardo, lasciando da parte tutti i tecnicismi e le dinamiche di una corsa rally, fateci un pensierino.
Dirt 5 è infatti un titolo che, a mio modo di vedere, racchiude elementi che abbiamo già potuto provare in altri giochi di guida arcade, sia nella generazione appena conclusa, sia in quelle precedenti ma che li porta, però, all’esasperazione tecnica. Ma bando alle ciance ed eccovi la mia recensione completa!
Dal mio punto di vista, se li avete giocati, non possono non tornare in mente momenti di gioco già visti e vissuti su giochi come MotorStorm, Drive Club, Wreckfest e, naturalmente, Onrush. Tanti elementi, dal modello di guida, alla dinamicità dei tracciati, fino ad arrivare ai sotto-obiettivi presenti durante la gara ci riportano subito alla mente quei titoli.
Tutto questo perché Dirt 5 non è altro che un lavoro sviluppato da Codemasters e impreziosito dall’esperienza portata al team da alcuni degli sviluppatori dei giochi prima citati, come gli sviluppatori di Evolution Studios che, dopo il sottovalutato Onrush, hanno riproposto un gioco connotato da un forte aspetto adrenalinico e tutt’altro che simulativo. Per quanto riguarda la lotta contro il tempo, è bene segnalare come le gare non siano contro il cronometro, almeno nella maggior parte dei casi. Solo alcuni eventi ti spingono a combattere contro i secondi mentre, nella quasi totalità delle competizioni, gli avversari contro cui gareggiare sono undici.
Tanti eventi in giro per il mondo, anche in Italia!
La modalità single player quindi consiste in una sorta di percorso che ci porterà ad affrontare (se lo si vuole completare nella sua totalità) più di 130 eventi, dislocati in 10 nazioni diverse, tra cui anche l’Italia, con un focus particolare sulla zona di Carrara e l’Appenino Tosco-Emiliano. Il tutto è strutturato secondo una ramificazione ben precisa che permette al giocatore di poter affrontare, se lo desidera, anche solo un evento per step, progredendo fino al Main Event, nel quale è richiesto qualificarsi nei primi tre posti per passare al torneo successivo.
Il protagonista del gioco è un allievo di AJ, campione positivo del gioco che, oltre a pensare alla sua carriera e alle varie rivalità con altri piloti, ha in cuor suo l’obiettivo di far crescere piloti in erba. Il racconto viene portato avanti attraverso il The Dirt Podcast, una serie di puntate audio (spesso molto lunghe da ascoltare) che hanno come conduttori due podcaster reali quali James Pumphrey e Nolan Sykes.
Il numero di eventi varia in base a quale dei cinque capitoli si sta giocando: partendo dal primo, Ignition, che ne contiene una decina, fino all’ultimo, Red Zone, che si sviluppa in una trentina di gare, ogni evento ha al suo interno 3 mini-obiettivi, che si ripetono spesso, come ad esempio andare oltre una velocità X per un tot di secondi, superare un certo numero di avversari entro un determinato tempo, tagliare il traguardo in retromarcia, oppure saltare e tamponare gli avversari. Completando questi mini obiettivi si ottengono determinati “timbri”, utili a sbloccare livree, guadagnare reputazione e di conseguenza crediti di gioco. Da notare uno strano fatto per cui, anche se non si dovesse completare nessuno dei tre obiettivi di gara, arrivando comunque primi, si riceverà ugualmente il massimo dei timbri.
Tra le case automobilistiche presenti in gioco, troviamo le nostrane Fiat e Lancia, con i modelli della 131 Abarth Rally, 124 Abarth Rally, Lancia 037 Evo 2 e la bellissima (a mio modo di vedere) Lancia Stratos, insieme a tutte le altre marche più famose del settore, come Ford, Peugeot, Subaru, Mitsubishi, varie Aston Martin, fino ad arrivare ai buggy, camion e sprint car americane (senza licenza, ndr). Da menzionare anche uno dei primi SUV Off Roads elettrico, l’Audi AI TRAIL Quattro, presentato a Francoforte nel 2019. Le differenze statistiche fra un mezzo e l’altro sono infine rappresentate da due solo voci quali prestazioni e manovrabilità, con valori che vanno da C a S.
Fra le tipologie di gare a nostra disposizione, troviamo le classiche corse su circuiti in asfalto, fango, ghiaccio, terriccio (Stampede, Rally Rush e Ultra Cross), gare sprint su circuiti ovali (Sprint), gare con inizio nel punto A e fine nel punto B (Land Rush), scalate in solitaria (Path Finder) e Gymkhana, una modalità ripresa da Dirt 3 nella quale bisogna compiere determinate evoluzioni in piccoli circuiti come salti, sfondamento di ostacoli ed entro un determinato tempo. Ancora, per il single player, abbiamo la modalità Playgrounds che richiama, ai più attenti, una sorta di TrackMania.
Questa modalità rappresenta una sorta di grande editor di tracciati dove l’utente può dare sfogo alla propria creatività e creare qualsiasi tipo di tracciato con qualsiasi tipo di ostacolo, rampa, checkpoint e altri elementi di contorno. Di base bisogna scegliere tra tre modalità, il tema del tracciato per poi inserire la tipologia di ostacoli di cui sopra. Finito il tutto si potrà provare in locale oppure caricare il tracciato sul browser del gioco, basato sulla piattaforma Racenet. In questo modo la vostra attrazione fatta in casa potrà essere giocata e valutata dagli utenti di tutto il mondo.
Infine troviamo anche una modalità online vera e propria, dove però le possibilità di scelta non sono poi molte. Abbiamo la gara veloce contro altri utenti e poi la possibilità di creazione e ricerca di lobby pubbliche dove all’interno è possibile settare determinati e particolari eventi, come le gare Vampire, in cui dobbiamo scappare dall’auto vampiro e non farci “mordere”, la tipologia King, una sorta di ruba bandiera e la modalità Transporter, quasi simile a King. In ogni caso, i punti esperienza guadagnati in queste modalità si andranno ad aggiungere a quelli del single player.
Il motore grafico con il quale è stato sviluppato il gioco rappresenta una modalità avanzata di quello che ha caratterizzato Onrush, con tutti i pro e i contro del caso. Dal punto di vista puramente estetico, anche su PlayStation 4 Standard (quella usata in fase di recensione) non si può dire nulla di negativo. Il titolo è un tripudio di colori, di effetti luminosi con una bella resa degli effetti atmosferici, sia in prossimità dell’auto che quelli sullo sfondo. Le tempeste di sabbia, i fulmini e i tuoni, le improvvise bufere di neve sono una gioia per gli occhi e può capitare, in tal caso, a distrazioni di ogni sorta.
I tracciati sulla neve e sul ghiaccio hanno poi quel qualcosa in più, apparendo in maniera molto equilibrata fra dettagli ed effetti luminosi. Negli stessi eventi poi, il meteo dinamico, caratteristica di questo titolo, porta dei momenti di sbandamento e riassestamento nel corso della gara; un qualcosa di positivo che mira a spezzare un ritmo che, ai livelli bassi di difficoltà, può facilmente tradursi in noia. Sempre da questo punto di vista, infine, la tempesta di sabbia in Marocco è veramente sublime in termini di resa.
Le auto e tutti i mezzi sono tutti riprodotti molto bene, con la visuale alta (quella in terza persona), possiamo ammirare tutti i dettagli delle carrozzerie e come queste vengano sporcate durante la gara. Ottimi anche i riflessi di luce sull’auto, tranne forse nelle gare in notturna con luce artificiale dove, è capitato, che apparissero comunque a mo’ di flash, anche in zone più buie senza alcun tipo di luce artificiale.
Il diavolo sta nei dettagli (e negli interni)!
Mettendo da parte le note positive appena espresse, quello che mi ha un po’ lasciato perplesso sono i dettagli di contorno, il fondo di alcuni tracciati, i danni sulle carrozzerie e gli interni. Per quanto riguarda i primi, è impossibile non notare la mancanza di cura per il pubblico a bordo pista. Gli elementi sono ripetuti, senza particolare distinzione di gara in gara, e senza rispondere alle previsioni meteo di quel specifico tracciato. Inoltre, ma questo è un problema che potevamo trovare già in Dirt Rally 2.0, i tifosi si muovono sempre alla stessa maniera, a prescindere da ciò che succede in pista.
Come detto però, i tracciati nel loro complesso sono fantastici. Tutti caratterizzati in maniera particolare e tutti rappresentanti in maniera univoca la nazione che li ospita. Se per puro caso non si fa attenzione nel pre-gara alla nazione nella quale avviene l’evento, appena dopo lo start, grazie alla vegetazione, ai monumenti di contorno, alle montagne sullo sfondo, alle case e ai palazzi che circondano il percorso, possiamo provare a intuire a che latitudine del Globo ci troviamo.
Quello che manca, rispetto al precedente gioco di rally di Codemasters invece, sono i dettagli sul tracciato vero e proprio. I fondi in terriccio sono spesso impastati, poco dettagliati. Se è vero che gli effetti particellari sono ottimi e se è vero che gli schizzi di acqua, la neve o le pietre si sollevano dalle ruote posteriori dell’auto, è anche vero che quello che rimane per terra è tutto confuso e non presenta modifiche nonostante le tante auto che passano più volte in quel punto.
Se invece parliamo di danni estetici, dobbiamo fare dieci passi indietro
Su opere anche della generazione ancora precedente, come Grid per PS3, i danni erano molto più realistici anche se il gioco continuava ad avere un’anima arcade. Qui i danni sono sì presenti ma minimi. Essendo un arcade, dal punto di vista meccanico, non servono a niente: nessun danno minerà l’esperienza di guida. Il problema sta però anche nella riproduzione a schermo. Possiamo andare a sbattere a 160km/h contro un albero che la deformazione sul punto di impatto sarà minima. Capita molto ma molto raramente che l’auto perda pezzi per strada. E capita, ahimè, a prescindere dal tipo di colpo.
Nota dolente poi, per quanto mi riguarda, la riproduzione degli interni. Se al momento della scelta il gioco ti permette di vedere gli interni e questi appaiono iper-definiti, una volta acceso il semaforo verde e scelta una delle due telecamere interne, la situazione è ben diversa. Oltre al fatto di avere un POV da sistemare, in quanto anche con la visuale con le mani sul volante, sembra di essere troppo vicini ad esso, i modelli poligonali sono, senza ombra di dubbio, troppo abbozzati.
Rispetto a Dirt Rally 2.0, sembra quasi di avere a che fare con due generazioni di console antecedenti. Dettagli poveri, riproduzioni anonime, colori spenti, mancanza di dettagli dei cockpit di comando delle auto, tutto noioso. E ancora peggio: l’inutilità degli specchietti retrovisori dell’auto, sia quello posteriore in alto che i due laterali, in quanto non riproducono ciò che avviene alle spalle. Per capire cosa abbiamo dietro, bisogna premere il tasto apposito: molto scomodo da praticare quando si sceglie la visuale col volante.
Particolarità del gioco è quella di offrire all’utente la possibilità di selezionare o le massime prestazioni grafiche o maggiore stabilità per quanto riguarda i fotogrammi per secondo. Questa cosa può essere fatta solo prima dell’avvio dell’evento: per quanto mi riguarda, su PS4 Standard, la scelta è sempre ricaduta sulle massime prestazioni grafiche. In realtà, se è vero che i dettagli diminuiscono, soprattutto i riflessi, la fluidità peggiora.
Incredibile ma vero ma in modalità fps, erano tantissimi i momenti in cui compariva il fenomeno dello stuttering, con continui rallentamenti e scatti soprattutto in fase iniziale, dove erano presenti tante auto insieme oppure durante i sorpassi in curva. Nota a margine infine la presenza del Photo Mode. Per attivarlo, bisogna mettere il gioco in pausa (non esistono replay) e una volta dentro questa impostazione, è possibile sbizzarrirsi con modalità diverse, spostamento delle luci, scelta delle stagioni, degli orari del giorno, apertura focale della fotocamera, e chi più ne ha più ne metta. Indubbiamente un lavoro certosino per gli amanti degli scatti in-game.
Passando invece al comparto audio, possiamo dire che il campionamento del motore è molto buono. Dopo alcune ore di gioco è facile ricordare il rumore di quel determinato motore. Utilizzando delle cuffie è anche possibile sentire delle tonalità diverse a seconda della telecamera scelta, con netta differenza fra una telecamera esterna lontana e quella dentro l’abitacolo. Sviluppati molto bene anche i botti e gli sfiati delle turbine nel momento del cambio marcia, con ragguardevole precisione soprattutto per le auto anni ’90, caratterizzate da turbine indimenticabili per gli amanti del genere.
Per quanto riguarda le musiche invece, troviamo una playlist di tutto rispetto, con la presenza di diversi artisti e gruppi musicali, tutti vicini al mondo rock, tra i quali, fra i più famosi, The Prodigy, The Chemical Brothers, oltre ai The Killers e i New Found Brothers.
Come in ogni gioco di guida che si rispetti, il grosso lo fa il sistema di guida. Abbiamo ripetuto fino allo stremo che si tratta di un arcade per cui tutto ciò che riguarda la simulazione non esiste. Le auto, però, al netto di estremizzazioni della tipologia di guida, hanno il loro perché e le loro differenze. Non parlo di differenze marcate, un’auto che pesa 1300 Kg salta e drifta che è una bellezza ma, comparando le auto tra di loro, delle piccole differenze ci sono.
Se le prime a disposizione e già sbloccate sono un po’ tutte uguali tra loro, quando si arriva a potersi permettere auto con più cavalli (dopo neanche troppo tempo), la difficoltà di gestione del mezzo comincia ad aumentare. Nette le differenze del modello di guida della Mini Cooper SX1 rispetto alla Aston Martin DBX (la mia preferita), così come è netta la differenza tra l’Audi IA TRAIL Quattro (che sembra incollata al terreno, a prescindere dal tipo di superficie) rispetto al Ford F-150 Raptor. Negli ultimi capitoli, tranne nel caso in cui si decida di giocare a livello “molto facile”, si è resa opportuna la necessità di provare due/tre volte il circuito per capire qual è l’auto più adatta per quel tipo di percorso.
La risposta dell’auto sul terriccio è identica a quella sul bagnato o sul ghiaccio
Le curve si impostano alla stessa maniera, il “punto di frenata” (per quello che serve in un arcade) è sempre il solito. Altra cosa è la completa indifferenza fra mezzi a ruote coperte e scoperte. Nel caso in cui si scelga di usare queste ultime, non bisogna avere paura di “sportellare”, in quanto il fatto di avere delle ruote senza protezioni non inficia il gioco. Le gare dove sembra che le cose cambino leggermente sono quelle sul ghiaccio dove, però, non è l’auto che risponde in maniera diversa ma sono gli avversari che, senza toccare il livello di difficoltà, tendono a essere più forti.
Scegliendo infatti un livello di difficoltà più alto, gli avversari tendono a essere più aggressivi ma avranno comunque una guida, a prescindere dal mezzo, troppo precisa quando sono lontani dalla nostra auto. Forse un maggiore bilanciamento in tal senso sarebbe stato opportuno. Nei livelli medi di difficoltà invece è presente un forte effetto elastico: si possono raggiungere facilmente gli avversari d’avanti e cominciare la lotta e, al contrario, quando si è avanti, basta un mezzo errore per ritrovarsi gli altri piloti subito alle calcagna. Il gioco offre anche la possibilità di cambiare alcuni parametri come il feedback del pad, inserire o meno la frenata assistita, selezionare l’ABS, il traction control e la gestione del drift. In realtà, la differenza fra l’usare e non usare questi aiuti è pressoché minima e non cambia molto il proprio modo di guidare.
Attivato il volante da dashboard della console, visto che non è possibile farlo dai settaggi in-game, sparisce qualsiasi tipo di mappatura pulsanti. I tasti del pad non sono più presenti a schermo e ogni pulsante è nominato come “pulsante” seguito poi da un numero progressivo. Mappare quindi il volante secondo proprio gusto diventa molto complicato. Tralasciando ciò, la situazione non migliora purtroppo neanche in pista.
Con il volante, anche fare un minimo aggiustamento di traiettoria porta l’auto in forte sottosterzo
Appena si gira di qualche grado il volante, le ruote arrivano a fine corsa, così come il volante a schermo, quando si utilizza la camera interna. Di conseguenza, anche fare un minimo aggiustamento di traiettoria porta l’auto in forte sottosterzo e quindi a rallentare di molto la propria velocità. Anche giocare al livello di difficoltà più basso diventa impossibile: altra cosa molto noiosa è il fatto che se si vuole tornare a usare il pad, lo si può fare contemporaneamente ma non si può disattivare più il volante. A quel punto, anche usando il pad, il bug di cui sopra, rimane. Anche con il pad basterà toccare per pochissimo l’analogico sinistro per mandare le ruote tutte da un lato o dall’altro.
Da segnalare però l’intenzione, messa per iscritto, dell’uscita fra qualche settimana della patch 2.0 che porterà alla risoluzione, a detta loro, di questi problemi di incompatibilità con i vari volanti, problemi che hanno fatto infuriare non poco la community.
Ho giocato il titolo su PlayStation 4 e TV 4K LG 43UH620V per circa 20 ore. Ho provato a giocare con il volante Thrustmaster T150, completando tutte le gare a disposizione e le sfide proposte.
DurataAl netto di tutto, Dirt 5 rimane per me un gioco divertente, un ottimo passatempo che non ha bisogno di grandi approfondimenti nella conoscenza delle auto, del motore, dei vari setup. È un gioco che, se preso come mordi e fuggi, ti permette in soli trenta minuti di fare almeno quattro/cinque gare e di divertirti. Graficamente riesce ad ammaliare, al netto di piccoli difettucci, può essere affrontato in maniera sbrigativa ma, volendo, ci si può dedicare qualche ora in più anche solo per arrivare ad avere quel tipo particolare di livrea o stemma incollato lì, sul cofano dell’auto. Per me è la massima espressione, con tecnologia attuale, di tutti quei giochi off-road che ci hanno accompagnato negli anni ’90 e ’00 e porta alla massima potenza anche tutte quelle piccole caratteristiche con le quali abbiamo identificato singoli giochi arcade, o quasi, delle ultime due generazioni di console.
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