Recensione

La recensione de I Mitchell contro le macchine, il nuovo film di Sony Pictures Animation

Un cacciavite è più utile di uno smartphone? Se questa domanda vi sembra bizzarra, aspettate di leggere questa recensione de I Mitchell contro le macchine, il nuovo e coloratissimo lungometraggio di Sony Pictures Animation, studio di produzione dietro all’acclamato Spideman: un nuovo Universo, vincitore del premio Oscar 2019 come miglior film d’animazione (qui la nostra recensione).

Perché bizzarra è sicuramente la prima parola che ci viene in mente per descrivere questa originalissima visione, ammaliante visivamente e capace al contempo di commuovere, pur non prendendosi mai troppo sul serio.

Una questione di famiglia

Come intuibile dal titolo del film, è la famiglia il nucleo tematico intorno al quale ruota il tutto. Quella dei Mitchell è la classica famiglia disfunzionale come tante ne abbiamo viste raccontate al cinema o in tv. “La peggior famiglia del mondo”, così si auto definiscono ad inizio film, che pecca sostanzialmente di comunicazione.

Katie, la protagonista, è una ragazza creativa e un po’ nerd a cui la piccola realtà di provincia sta terribilmente stretta e sogna di essere ammessa ad un prestigioso college in California. I suoi cortometraggi strampalati (ci è sembrata a tratti una sorta di giovane epigone di Edward Wood Junior) riscuotono un discreto successo sul web ma vengono totalmente snobbati dai suoi compagni di scuola e, ancora peggio, dai suoi genitori.

Katie ha un rapporto particolarmente conflittuale con Rick, suo padre, che rappresenta a tutti gli effetti lo stereotipo dell’uomo di mezz’età totalmente analfabeta rispetto alla tecnologia. Rick è un amante della natura e del fai da te, ha sempre in tasca un cacciavite (non si sa mai) e vorrebbe che la sua primogenita condividesse con lui queste passioni, piuttosto che rifugiarsi nell’impalpabile mondo della rete.

La famiglia il nucleo tematico intorno al quale ruota il film

A completare il quadro ci sono Linda, una madre affettuosa e premurosa, che ce la mette tutta pur essendo terribilmente maldestra e Aaron, il fratellino di Katie, un ragazzino estremamente timido con un’insana passione per i dinosauri. Non meno importante è poi Monchi, il singolare animale domestico della famiglia Mitchell, un cane di piccola taglia particolarmente brutto, particolarmente goffo e particolarmente pigro.

Quando Katie riuscirà, finalmente, ad essere ammessa al college dei suoi sogni i genitori decidono di accompagnarla in auto per rimediare a qualche recente incomprensione e litigio. Un viaggio di famiglia che trasforma la pellicola in un road movie, almeno fino a quando un’improvvisa rivolta di robot, ultimo ritrovato della multinazionale PAL (evidente parodia della Apple), proverà a schiavizzare e distruggere l’intera umanità.

Digital divide

Insieme al tema principale della famiglia e del rapporto padre-figlia I Mitchell contro le macchine prova ad affrontarne altri non meno interessanti e importanti. In primis l’impatto di una sempre più invasiva tecnologia sulle comunicazioni interpersonali (a cena i Mitchell non riescono a guardarsi negli occhi, ciascuno rapito dal suo personale device) e la prevalenza dell’apparire sull’essere nell’era dei social media (i vicini di casa sempre belli e felici su Instagram).

In secundo luogo il film prova a portare avanti un discorso sulla diversità e sull’unicità, nonché sugli effetti dannosi di un’omologazione forzata. I Mitchell, infatti, si sentono sbagliati proprio perché ciascun membro della famiglia non accetta le peculiarità dell’altro. Rick vorrebbe plasmare Katie a sua immagine e somiglianza, Katie vorrebbe che suo padre non fosse quello che è, Aaron non accetta se stesso.

Alcuni temi naufragano un po’ nel ritmo forsennato di un film che punta, prima di tutto, a intrattenere e far sorridere.

Il film prova anche a mettere in guardia sulla pericolosità della categorizzazione a tutti i costi attraverso una delle sue gag ricorrenti più geniali: l’intelligenza artificiale delle macchine sono incapaci di “definire” la natura di Monchie a causa del suo aspetto atipico portando i robot stessi all’autodistruzione.

Insomma di carne al fuoco il film ne mette davvero tanta. Purtroppo però alcuni di questi temi naufragano un po’ nel ritmo forsennato di un film che punta, prima di tutto e riuscendoci sempre, a intrattenere e far sorridere. Certo inutile aspettarsi un trattato antropologico da I Mitchell contro le macchine, ma se il film avesse osato un po’ di più avrebbe potuto ambire a tutt’altra profondità.

Ciononostante il film è anche capace di commuovere genuinamente grazie al rapporto di amore ed odio tra Rick e Katie, portato sullo schermo nel più classico dei modi ma non per questo con banalità. Lo scontro generazionale, la necessità di trovare la propria identità e la propria strada si coniuga, come nella vita di tutti, con l’amore per le proprie radici, per il proprio luogo d’origine che, talvolta, riusciamo ad apprezzare solo attraverso il distacco e la lontananza.

Un tripudio di colore

Giunti a questo punto della recensione de I Mitchell contro le macchine, è doveroso spendere qualche parola a proposito del sontuoso aspetto visivo. Come per il precedente Spiderman: un nuovo Universo, il film Sony punta tantissimo sulla commistione di differenti stili  amalgamati con maestria e coerenza. Anche questa volta l’influenza principale è quella del fumetto cartaceo, con onomatopee a schermo, freeze frame improvvisi e linee di movimento ben evidenti. Ma non mancano i riferimenti alla cultura pop tout court, dai meme al cinema, passando per i videogame.

Le due ore di visione scorrono rapidissime e sono sempre una gioia per gli occhi

I Mitchell contro le macchine è un film assolutamente post moderno nella sua capacità di fagocitare e rielaborare linguaggi e situazioni e non mancano citazioni dirette a grandi classici cinematografici del passato, da Ritorno al Futuro a Kill Bill.

Le due ore di visione scorrono rapidissime e sono sempre una gioia per gli occhi. Il ritmo è forsennato e si passa da una gag all’altra senza soluzione di continuità, con lo slapstick a farla brillantemente da padrone.

L’azione è sempre sopra le righe con alcuni momenti volutamente esagerati: cadute da altezze spropositate (in un film Pixar porterebbero probabilmente alla morte) e personaggi che sfoggiano, improvvisamente e senza motivo alcuno, un’invidiabile conoscenza delle arti marziali.

In un anno in cui un film d’animazione come Soul (qui la nostra recensione), carico di esistenzialismo e delicato lirismo, si porta a casa l’ennesimo Oscar per Pixar, I Mitchell contro le macchine si propone come un film folle, spensierato e originale, confermando la volontà degli studi di animazione Sony di differenziarsi rispetto alla concorrenza. E si propone anche di rispondere alla domanda di apertura: cacciaviti e smartphone sono entrambi utili, ciascuno per le sue caratteristiche peculiari, esattamente come ognuno di noi.

La scrittura è sicuramente più semplice rispetto al precedente lavoro dello studio ma non per questo sciatta, anzi.

Ci sentiamo pertanto, in chiusura di questa recensione de I Mitchell contro le Macchine, di consigliarne caldamente la visione su Netflix a partire dal 30 aprile 2021.

Leonardo Alberto Moschetta

Appassionato di videogiochi dal lontano...ehm..troppo tempo. Amo ogni genere di audiovisivo, in particolare il cinema, al punto da aver trasformato in lavoro questa mia passione. Tra le altre mille passioni: Giappone, Cibo, Vino, Musica, un po'di sport (il fantacalcio conta?), letteratura, fumetti e...

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