Recensione

Soul, la recensione del nuovo film Pixar

Mi preme iniziare questa recensione di Soul con chiarezza: ci troviamo di fronte, con ogni probabilità, all’opera più matura e riuscita di casa Pixar e siamo anche ben lontani dal mezzo passo falso del recente Toy Story 4 (qui la nostra recensione). Nei circa cento minuti che vi aspettano dal 25 dicembre su Disney + infatti, forma e contenuto suonano perfettamente all’unisono, toccando con una delicatezza disarmante ed efficace temi di straordinaria complessità.

Soul è un film ambiziosissimo ma al contempo semplice, come semplici, in fin dei conti, sono le gioie più grandi della vita. Soul ce lo ricorda, come ci ricorda di non trasformare le passioni in ossessioni, come ci rammenta che la ricerca estenuante di uno scopo ultimo alla propria esistenza è il modo peggiore per viverla. E questi sono solo alcuni dei temi che Pete Docter, già regista premio Oscar degli splendidi Up e Inside Out, è riuscito a inserire in questa opera dai molteplici livelli di lettura.

Soul è un gioiello, senza dubbio, ma non è detto che arrivi a tutti allo stesso modo: il pubblico ideale, infatti, è quello sopra i trent’anni e, in generale, tutti quelli per cui è tempo di fare i primi bilanci.

Il jazz è la mia vita

Il protagonista è Joe Gardner, insegnante di musica (idealmente tra i trenta e i quarant’anni) in una svogliatissima classe delle scuole medie. Joe ha una passione insana per il Jazz, fin da quando il suo compianto padre lo aveva iniziato al genere in una meravigliosa serata della sua adolescenza. Da allora Joe sogna di essere un musicista di successo e di essere ingaggiato in una delle straordinarie band che continua ad ascoltare nei club di New York.

Sua mamma Libba invece, vorrebbe per Joe un futuro con i piedi per terra, con un lavoro solido e, perché no, con accanto qualcuno che gli voglia bene. Una prospettiva alla quale Joe sembra quasi rassegnarsi quando all’improvviso, ecco l’occasione della vita. Contattato da un suo ex allievo ormai musicista, gli viene proposto di suonare con la leggendaria jazzista Dorothea Williams.

Soul è un film ambizioso ma semplice, come semplici, in fin dei conti, sono le gioie più grandi della vita

Le prove vanno bene, Dorothea chiede a Joe di esibirsi con la band quella stessa sera, ma l’incontenibile gioia di Joe e la sua distrazione lo condurranno verso una prematura e inaspettata morte.

Morte alla quale Joe cercherà subito di sottrarsi, incapace di accettare un’ennesima sconfitta proprio nel giorno della sua potenziale rivalsa. Fuggita dal minimalista tappeto mobile che conduce all’Altro Mondo, l’anima di Joe precipiterà nell’Ante-Mondo, una sorta di luogo di preparazione per le “anima nuove”. Qui Joe farà la conoscenza di 22 (la cui voce italiana è quella di Paola Cortellesi), un’anima svogliata e impertinente con la quale instaurerà un legame atipico ma terribilmente profondo.

Il senso della vita

Proprio attraverso il conflittuale rapporto con 22 la pellicola riesce intelligentemente a coniugare e amalgamare tutti i suoi nuclei tematici. L’anima “in formazione” di 22 ha tanto da imparare, ha bisogno di trovare quella che nel film viene definita “la scintilla”, quel quid necessario per ottenere un pass per la Terra. Ma anche Joe, forse, può imparare qualcosa da 22.

Un lavoro di scrittura misuratissimo, senza sbavatura alcuna, che ha anche il coraggio dell’implicito, del non detto. Soul è infatti sostanzialmente privo di dialoghi stucchevoli o esplicativi e non avrete mai la sensazione che i personaggi stiano parlando allo spettatore. Soul è un racconto per immagini (e musica, naturalmente), l’essenza prima del cinema, poiché le sensazioni e le emozioni non hanno bisogno di didascalie. Un film sul senso della vita che parla del rimpianto, dell’eredità culturale, della genitorialità, dello scontro generazionale e della morte con una leggerezza davvero mirabile.

Un lavoro di scrittura misuratissimo, senza sbavature, che ha anche il coraggio dell’implicito

Soul è come la vita stessa, va assaporato nella sua semplicità, senza eccessive sovrastrutture o costruzioni mentali, solo predisponendosi al meglio. Se sarete spettatori ricettivi vi colpirà dritti al cuore, anche duramente e vi farà riflettere profondamente.

La storia di Joe Gardner è infatti una storia come tante,  la storia di un uomo comune con una passione soverchiante condita da paure e rimpianti. Ed è proprio per questo che riesce a innalzarsi con semplicità a un livello universale.

Minimalismo estetico

La stessa semplicità con cui è rappresentato il mondo delle anime, perfetto contrappunto di una New York caotica e colorata, che sembra fotografata sempre al tramonto o all’alba.

Un minimalismo estetico originale e ispiratissimo, che trova riscontro anche nella caratterizzazione dei personaggi. Particolarmente originali risultano i Jerry, i consulenti dell’Ante-Mondo, tratteggiati bidimensionalmente con una linea continua, a metà tra l’icona del Finder di macOS e la celebre Linea di Cavandoli.

La direzione artistica è sempre sontuosa e la contrapposizione tra i due mondi non è un mero vezzo stilistico ma trova un riscontro preciso nel racconto. L’Ante-Mondo è etereo, ma anche un po’ asettico e bidimensionale; la Terra è invece un gran casino, ma nel suo caos celebra la vita in tutte le sue sfumature.

A contrapporsi sono anche gli accompagnamenti musicali che caratterizzano i due ambienti: laddove nella terrena New York il jazz esplode in tutto il suo virtuosismo grazie alla composizioni originali di Jon Batiste, nel mondo delle anime è il minimalismo elettronico di Trent Reznor e Atticus Ross ad ammaliare con il suo incedere quasi ipnotico.

La direzione artistica è sontuosa e la contrapposizione tra i due mondi non è un mero vezzo stilistico ma trova un riscontro nel racconto

Da un punto di vista tecnico, come ormai è lecito aspettarsi da Pixar, si raggiunge l’eccellenza, con animazioni straordinariamente espressive. La regia è misurata ma ispirata, con alcune soluzioni di messa in scena originalissime ma sempre funzionali.

Un plauso anche all’adattamento e al doppiaggio italiano (versione di riferimento per questa recensione di Soul) con Neri Marcoré bravissimo e praticamente irriconoscibile nel dar voce a Joe. Piacevolissimo anche il brano che accompagna i titoli di coda della versione italiana, “Villa Incognito”, ad opera del pianista di fama internazionale Stefano Bollani.

In un anno duro e atipico come questo, con un Natale decisamente inusuale, l’arrivo di questo piccolo gioiello, dal 25 dicembre su Disney+, è decisamente un gradito regalo. La formula Pixar di Docter trova in Soul il suo massimo compimento e la massima profondità possibile. Un film di rara delicatezza e maestria capace di abbassare ogni difesa emotiva.

Questa recensione di Soul si conclude quindi con un consiglio: la sera di Natale lasciate che Soul suoni le corde (o i tasti se preferite) della vostra anima.

Leonardo Alberto Moschetta

Appassionato di videogiochi dal lontano...ehm..troppo tempo. Amo ogni genere di audiovisivo, in particolare il cinema, al punto da aver trasformato in lavoro questa mia passione. Tra le altre mille passioni: Giappone, Cibo, Vino, Musica, un po'di sport (il fantacalcio conta?), letteratura, fumetti e...

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    • Ciao Rock, come scrivevo nel pezzo e anche sui social, sono consapevole che questo film non arriverà a tutti nello stesso modo. Però dire che "è come tutti gli altri Pixar" è un po' generico. Secondo me ci sono film Pixar più maturi e altri più esplicitamente per bambini (i "Cars" per esempio). Personalmente i film più belli e maturi di Pixar ritengo siano Up (solo la prima metà), Wall-E, e questo Soul. Anche Coco mi è piaciuto moltissimo e anche altri, ma sono film meno stratificati e complessi. Soul è il più complesso di tutti. Ci sta che sia meno immediato ma è un film che ti lascia molto su cui riflettere anche dopo la visione piuttosto che cercare la lacrima facile durante la visione. Poi, ovviamente, è solo la mia opinione.

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