Recensione

La recensione di Twelve Minutes, il gioco che voleva fare il film (senza riuscirci)

I colpi di fulmine sono affascinanti perché, per loro natura, esulano dal controllo della nostra razionalità e ci legano impulsivamente a qualcuno o qualcosa. Sono nel contempo pericolosi, perché influiscono sul giudizio che potremmo dare a freddo relativamente alla persona o all’oggetto della nostra attrazione, mascherando o minimizzando gli eventuali difetti e esaltando solo i pregi, in modo da falsare la valutazione complessiva che daremmo in condizioni normali. Se nel campo delle relazioni umane intervengono decine di altri fattori a modulare questo fenomeno, nel caso dei “colpi di fulmine” che ci fanno innamorare di un prodotto il meccanismo descritto è piuttosto frequente.

Quando Twelve Minutes fu svelato per la prima volta nel corso dell’E3 2019 fui colpito, come molti altri appassionati di giochi indie, e mi fissai mentalmente l’appunto di seguire lo sviluppo del gioco per accaparrarmelo subito alla sua uscita. Non c’era un reale motivo per giustificare quella forma di hype, fatto sta che la curiosità è sopravvissuta agli anni e alla pandemia e si è protratta fino al fatidico Day one del thriller interattivo di Luis Antonio. Con uno sforzo di astrazione e con un atteggiamento il più possibile professionale mi sono gettato anima e corpo nel gioco, per dare una conferma o una smentita alle promettenti impressioni che me ne avevano fatto innamorare. Il risultato è stato, purtroppo, una moderata delusione; o forse, per dare spazio al mio colpo di fulmine, un solo parziale successo.

Una normale serata eccezionale

Sembra una serata qualunque quella del protagonista che iniziamo a controllare all’inizio del gioco. La sua particolare (dis)avventura è stata resa nota dai trailer di questi anni, ma quel che ancora non era chiaro a tutti erano le premesse della vicenda. Lo conosciamo mentre rientra nel suo appartamento, costretto a recuperare le chiavi di scorta nascoste in un vaso appena fuori dalla porta. Entrato nella sua abitazione viene accolto dalla voce famigliare della moglie che, sprizzando gioia e amore incontenibili, lo accoglie con un bacio. C’è il dolce preferito dell’uomo in frigorifero, per quella che sembra in tutto e per tutto una serata di festa il cui motivo sarà ben presto rivelato.

Non c’è tempo di festeggiare, però, perché il tranquillo quadretto di coppia viene rovinato da una visita improvvisa. Uno sconosciuto suona insistentemente al campanello e si presenta dicendo di essere della polizia, anche se le sue maniere sembrano poco ortodosse. Farlo entrare o meno non fa differenza, perché lo sconosciuto è deciso a irrompere nell’appartamento anche con la forza. Il suo ingresso è devastante: il protagonista viene legato e gettato a terra, la moglie subisce lo stesso trattamento e viene poi accusata di un crimine orribile di cui il marito non aveva mai sospettato niente. Non c’è nemmeno il tempo di riordinare le idee, perché il sedicente poliziotto si china sull’uomo e lo strangola. Ma la morte non sembra essere la fine di tutto, in questo caso.

Punta-e-clicca in loop

La meccanica di fondo di Twelve Minutes, come dicevamo, era ormai conosciuta: il protagonista si ritrova intrappolato in un loop temporale di dieci minuti (sì, dieci, nonostante il titolo) che inizia con il suo ingresso nell’appartamento e che finisce in caso di morte, come quella provocata dallo strangolamento da parte dello sconosciuto, o in caso di tentativo di fuga dall’appartamento. La struttura su cui si innesta questa trovata di fondo, a livello di gameplay, è quella dell’avventura punta-e-clicca. I comandi consistono fondamentalmente nello spostamento di un cursore con la levetta analogica sinistra e nell’interazione con gli oggetti o le persone con il tasto A. Abbiamo a disposizione un inventario, nella parte alta dello schermo, che consente di raccogliere oggetti per usarli direttamente o in combinazione con altri.

La visuale dall’alto ci consente di gestire gli spostamenti e le azioni del protagonista attraverso le tre stanze che costituiscono l’angusta “mappa” di gioco. La maggior parte degli eventi hanno luogo nel locale che fa da cucina e salotto, ma possiamo anche spostarci in camera da letto e in bagno. L’arredamento molto minimal si traduce in possibilità di interazione altrettanto ridotte, il che però non significa avere poche combinazioni di azioni e di dialogo con le quali cercare di far procedere la storia. Al contrario.

Sì, perché lo scopo di Twelve Minutes è ovviamente quello di sfruttare i dieci minuti del loop temporale nel quale siamo imprigionati per ottenere informazioni tali da permetterci di cambiare la sorte del protagonista e di sua moglie e di scoprire la verità. Va da sé che quanto accade nel corso di un ciclo, in termini di eventi veri e propri, di scoperte e di esiti di dialogo, rimane nella memoria dell’uomo e gli apre nuovi sbocchi nelle ripetizioni successive. Sulla base delle informazioni raccolte è così possibile prevedere le conseguenze di una parola o di un gesto e anticipare le azioni o le risposte altrui, per aggiungere tasselli al puzzle di fondo e arrivare alla soluzione del mistero.

Un gioco non è un film

La domanda fatidica per chi vuole approcciarsi a questo gioco è una sola: funziona? La risposta non può essere netta. Da una parte c’è il fascino insito nell’idea di loop temporale, un fascino capace di incuriosire quanti seguono il titolo dal suo annuncio e di intersecarsi alla lontana con un tema, quello dei viaggi nel tempo, che riserva sempre sbocchi narrativi (e in questo caso videoludici) interessanti. Dall’altra parte, però, c’è il piccolissimo particolare che Twelve Minutes non è un film né un libro, ma un videogioco. Sebbene Luis Antonio e la sua squadra di marketing abbiano spinto molto, soprattutto recentemente, sulla commistione tra cinema e videogioco su cui si fonda il loro prodotto e sebbene la scelta di tre attori hollywoodiani al doppiaggio non sia stata casuale, Twelve Minutes non può trascendere dalla sua componente interattiva.

Un primissimo e importante limite del gioco sta nei risvolti pratici che il concetto di loop temporale porta con sé

Nel caso di un’opera appartenente a un diverso medium, infatti, la ripetizione potrebbe essere trattata da diversi punti di vista o con diversi accenti in modo da renderla un punto di forza. In questo caso, invece, la necessità di vivere e rivivere in prima persona i medesimi eventi, nelle medesime location e con le medesime persone (due punti, questi, che distinguono Twelve Minutes da un qualunque roguelike con livelli a generazione procedurale, per esempio) è sempre a un passo dallo sfociare nella ripetitività. Dire decine di volte a nostra moglie che è il momento ideale per il dolce, apparecchiare la tavola o recuperare dei medicinali dall’armadietto per diverse run consecutive diventa alla fine esasperante.

Ma c’è un altro difetto non da poco, meno legato al comparto videoludico e più a quello prettamente narrativo. Marito e moglie, infatti, sono protagonisti di eventi straordinari che dovrebbero sconvolgerli, ma che di fatto li lasciano impassibili. La stessa scoperta, da parte dell’uomo, di essere intrappolato in un loop temporale arriva di netto, quasi senza stupore, dopo l’inizio del secondo ciclo. Non un dubbio, non una riflessione, ma una semplice presa di coscienza di un fatto che dovrebbe essere soprannaturale ma che viene accettato di buon grado come un fatto comune. La stessa semplicità con cui il concetto viene introdotto per la prima volta nei dialoghi con la moglie e la sua reazione quando ha la riprova della verità delle parole dell’uomo rappresentano un livello di intensità infimo che non giova per nulla alle atmosfere del gioco.

Ci sono infiniti esempi in questo senso. Forse per la necessità di far rientrare tutto nei dieci minuti del ciclo, forse per gli inevitabili limiti legati alle diverse combinazioni di dialogo che devono adeguarsi alle scelte dei giocatori, assistiamo a reazioni troppo deboli rispetto alla gravità degli eventi cui si riferiscono. Mentre il poliziotto lega la moglie, l’uomo rimane impassibile in attesa di subire la stessa sorte; quando spieghiamo alla moglie l’accusa che le viene mossa lei risponde con fastidio più che con incredulità, per poi accettare di buon grado una tazza d’acqua che le offriamo, come se nulla fosse. Questo e altri esempi costituiscono un forte limite al coinvolgimento che il gioco dovrebbe garantire vista la sua natura.

INFO UTILI

Ho giocato Twelve Minutes su Xbox Series X collegata a un TV 4K e sul cloud da PC tramite Xbox Game Pass Ultimate. Ho esplorato diverse possibilità per circa otto ore.

Durata
  • La durata dipende molto dal tipo di scelte che si effettuano e dalla capacità di ridurre al minimo le ripetizioni inefficaci, in ogni caso cinque o sei ore dovrebbero essere assicurate.
Struttura
  • Avventura punta-e-clicca in salsa thriller con finali multipli;
  • Ogni loop temporale dura dieci minuti reali.

Un gioco nel complesso avvincente

Abbiamo elencato per primi i difetti, ma ciò non significa che Twelve Minutes sia privo di qualità. L’idea che sta alla base del gioco è, come ripetuto, molto interessante e dà adito a risvolti inaspettati. Se si supera l’effetto ripetitività di alcune delle azioni che dobbiamo compiere per esplorare le diverse possibilità, si scopre un gameplay che dimostra come una singola scelta possa aprire porte nuove sulla nostra conoscenza della storia. Combinare interazioni specifiche a scelte di dialogo mirate e fare tutto nelle tempistiche ristrette legate alla brevità del loop temporale risulta a suo modo affascinante, avvincente, pur senza arrivare ai picchi della “suspense alla Shining” sbandierata sul sito ufficiale.

Anche il fatto di scoprire i vari tasselli della storia un po’ alla volta, senza un ordine cronologico, è un punto a favore. Partiamo da pochi elementi, sfruttiamo un loop per ottenerne di nuovi e ci facciamo forza di questi per sbloccare diverse opzioni di dialogo nel successivo. Il tutto per giungere all’informazione o al colpo di scena successivo, nel migliore dei casi, senza però sentire mai il senso di completezza che deriva dall’aver esplorato tutti i possibili esiti delle nostre scelte. Per questo ci sono altri loop, altre decisioni, altre azioni e altre frasi che possiamo sperimentare, senza sosta, fino alla chiusura del cerchio.

C’è poi il non trascurabile valore aggiunto della sperimentazione, la vera linfa vitale che può far uscire il mercato videoludico dal suo immobilismo e dal suo frequente manierismo. Pur senza chiudere un occhio sulle pecche di Twelve Minutes, quindi, viene spontaneo rivolgere un plauso a Luis Antonio per aver partorito un’esperienza fuori dagli schemi. È proprio questa forma di audacia, di assunzione di rischi e di rottura di certe barriere tradizionali legate al gaming che possono accattivarsi la fiducia degli utenti, anche al netto di alcuni perdonabili difetti. Tutto questo per rimarcare il fatto che Twelve Minutes va giocato, se ce n’è la possibilità, perché una volta entrati nel suo universo non si riuscirà a staccarsene fino ad aver trovato la strada giusta verso la verità.

Alti e bassi tecnici

Dal punto di vista tecnico, Twelve Minutes fa il suo senza eccellere. Anche se la grafica punta al realismo, ovviamente non si raggiungono le vette dei grandi giochi tripla A. La visuale dall’alto maschera parzialmente la natura indie del comparto visivo e nel complesso offre un’esperienza gradevole e credibile anche nell’ottica cinematografica tanto cara a Luis Antonio e soci. Quello che viene dissimulato meno bene è invece il sistema di deambulazione dei personaggi, a tratti meccanico e robotico, un po’ à la The Sims in certi frangenti, anche se ci si abitua presto e lo si supera focalizzandosi su altri pregi del gioco.

Poco da dire sul lato sonoro. Il doppiaggio di James McAvoy, Daisy Ridley e Willem Dafoe è impeccabile. Se in alcuni frangenti il tono e l’intenzione non sembrano coerenti con quanto sta accadendo è per i già citati problemi di combinazione tra eventi, più che per l’imperizia delle tre star hollywoodiane. Poco incisiva, questa sì, la colonna sonora di accompagnamento, troppo timida e trascurabile all’interno di un’esperienza che si ispira dichiaratamente al grande schermo.

Jury Livorati

Classe '85, mi divido tra la moglie e i tre figli e le più svariate passioni. Ex fedelissimo di casa PlayStation, mi sono convertito a Xbox grazie al Game Pass, ma resto comunque con un piede in due scarpe. Adoro i giochi a forte componente narrativa e mi piace lasciarmi stupire dagli indie.

View Comments

  • Bella recensione!

    Solo un appunto: non sarebbe meglio indicare, da qualche parte nella pagina o nel corpo del testo, per quali piattaforme è disponibile un titolo?

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