Alle volte sembra strano come le coincidenze si manifestino in maniera quasi ironica. Capita che in un momento storico dove è forte la sensibilizzazione verso l’abbattimento della xenofobia e di tutte le forme di odio sociale venga pubblicato Xenoblade Chronicles: Definitive Edition che, con le sue tematiche e la radice “xeno” del nome, sembra fatto apposta per veicolare un messaggio quanto mai attuale e complesso per un videogioco. Forse è la mia testa e il mio modo di vedere le cose che mi fa associare l’opera di Monolith Soft ai temi d’attualità di questi giorni. Chi leggerà la recensione tra qualche mese o magari un anno non avrà quasi per nulla questa sensazione, ma ho ritenuto giusto evidenziare come questo videogioco possa, come tanti altri, essere portatore di un esempio positivo e per spingere a riflettere sulle cose della vita anche fuori dallo schermo.
Sono passati dieci anni dalla prima apparizione di questo gioco di ruolo giapponese su Nintendo Wii. Due lustri fa esso venne etichettato da più voci come il miglior JRPG della sua generazione, piccola grande soddisfazione considerato la potenza tecnica non certo eccellente di Wii. Con i tempi che sono cambiati è tempo di capire se il gioco di allora, con le dovute correzione realizzate per questa versione rimasterizzata, ha ancora la carica di messaggio e qualità che possedeva alla sua prima pubblicazione.
Dopo aver affrontato l’originale al tempo in oltre 136 ore, mi sono ritrovato a esplorare nuovamente Bionis e Mechanis nello stesso quantitativo di tempo, cercando di replicare la stessa esperienza che fece innamorare tanti giocatori di questo fulmine a ciel sereno che illuminò di qualità gli ultimi mesi di Wii. Volevo capire quanto, dopo dieci anni e un cambio radicale dei gusti e delle mode del mercato, un titolo così complesso potesse essere ancora godibile. Perché dopo un decennio anche il migliore dei videogiochi può perdere qualche colpo e trovarsi invecchiato male o essere diventato anacronistico. Per fortuna la storia di Xenoblade Chronicles è ancora incredibile, perfettamente orchestrata e con la giusta dose di ironia senza eccessi, con tante sottotracce che si mescolano in un intreccio di sentimenti leggeri e allo stesso tempo profondi.
La storia di Xenoblade Chronicles è ancora incredibile dopo anni
Monolith Soft ci ha abituati a questo genere di tematiche impegnate raccontate in una trama che si evolve in più livelli narrativi progressivi. Ogni zona dei due giganti non è solo una scoperta paesaggistica tutta da vedere, ma aggiunge anche un nuovo tassello spesso inaspettato al puzzle della storia. La vendetta personale iniziale diventa qualcosa di via via più grande, di più complesso, andando a toccare tematiche di lotta razziale e di scontro di popoli che, nella loro ambientazione fantasy, sono ben percepibili appena si scavalla un certo momento clou. Takahashi, creatore del gioco e della serie, ha farcito il tutto con un filo di teologia intricato, marchio di fabbrica delle produzioni di Monolith Soft. La capacità incredibile di Takahashi e del suo team è stata quella di creare un ponte di collegamento tra questo e il secondo capitolo (di cui potete trovare la recensione nelle nostre pagine) profondo ma che permette di godere entrambi i giochi in maniera indipendente.
La storia aggiuntiva, Future Connected, è praticamente un DLC già compreso nel gioco che, come fu Torna The Golden Country per il secondo capitolo, amplia la storia questa volta parlando di fatti successivi al finale della trama principale andando a esplorare le complesse dinamiche che possono avvenire dopo eventi così importanti come quelli avvenuti alla fine del viaggio di Shulk e della sua compagnia. In queste dieci ore omaggi di Monolith Soft viene anche modificato quel tanto che basta il gameplay per offrire un’esperienza diversa eppure ancora familiare. Ovviamente è giusto ricordare che il modo di narrare la storia in game è rimasto fortemente legato allo stile dei JRPG classici con scene d’intermezzo in molti casi meno movimentate di quelle a cui siamo abituati oggi e molti momenti in cui i dialoghi sono per lo più da leggere che da vivere, ma da una remaster non ci si può aspettare nulla di più.
Per fortuna le cutscene più dinamiche sono la parte che più ha beneficiato dei miglioramenti estetici di questa nuova versione di Xenoblade Chronicles. Aver portato il gioco nell’alta definizione ha reso molto più vividi i colori, ma soprattutto il team ha saputo sfruttare il lavoro di modellazione fatto con il secondo capitolo, e in parte con Super Smash Bros. Ultimate, per dare fattezze pregevoli a personaggi vecchi di 10 anni. Un lavoro certosino sui modelli che ha la sua massima realizzazione nelle mani, ieri sproporzionate oggi finalmente armoniose con il resto del corpo. Un’opera di ammodernamento che dovrebbe essere presa ad esempio come giusto modo di fare una remaster.
Un lavoro così approfondito che quasi trae in inganno facendo pensare che Xenoblade Chronicles: Definitive Edition sia in realtà un remake. Cosa che ovviamente non è visto che le texture e gli scenari sono stati sì ripuliti e ravvivati, ma mantengono lo stesso aspetto e struttura dell’originale così come i mostri ed altri elementi di contorno che sono ovviamente figli di una generazione fa. Nonostante questo la magnifica composizione degli scenari li rende ancora oggi bellissimi da vedere e da esplorare o addirittura da ritrarre in scatti appositi. Ecco, forse la modalità foto è una delle cose di cui si sente la mancanza ancora oggi.
Il mondo di gioco di Xenoblade Chronicles è un esperienza ammaliante, nonostante i compromessi
Ad essere sinceri sono rimasti i piccoli nei strutturali del tempo. Ci sono un paio di aree di gioco che risultano lineari e scarne di esplorazione e la seconda parte del gioco è meno popolata di nuovi personaggi. Il resto però è tutto da scoprire alle ricerca di nuovi luoghi segreti, di nuove missioni, di nuove storie con un immenso backtracking e numerosi mostri unici di alto livello da poter affrontare solo dopo l’end game. Per fortuna anche la navigazione nel mondo e la raccolta di oggetti è stata semplificata con una guida a schermo sempre pronta a indicare la direzione di ogni elemento utile alle missioni, e che all’occorrenza può essere disattivato completamente lasciando libertà di navigare a vista nella ricerca di specifici materiali e mostri. Non sarà un open world puro, ma questo titolo ha molte analogie con questo genere di videogiochi così famosi e apprezzati oggi. Lasciarsi rapire dal mondo di Xenoblade Chronicles è un’esperienza ammaliante, nonostante ci siano alcuni compromessi dovuti alla potenza di Nintendo Switch. L’effetto blur che dà profondità e morbidezza ai profili e agli scenari in alcuni momenti è molto accentuato, come accadeva in Xeno 2, e in modalità portatile il frame rate cede ogni tanto così come la risoluzione che scende in maniera altalenante.
In questa edizione rimasterizzata per Nintendo Switch anche i menu sono stati ripuliti e resi più comprensibili. Sono tante le caratteristiche aggiunte tra le quali quella che rende possibile scegliere lo stile estetico dell’abbigliamento a prescindere dall’equipaggiamento indossato, potendo quindi dare ai personaggi le sembianze che più si preferiscono o anche uno stile visivo unico sia in combattimento che nelle scene d’intermezzo. I nuovi look si possono sbloccare sia trovando nuovi oggetti sia completando delle nuove e interessanti sfide aggiuntive accessibili tramite una serie di portali sparsi nelle varie aree e che rappresentano anche un utile banco di prova per testare formazioni alternative del team.
Nella lunga e complessa rete di menu a disposizione del giocatore trova spazio la Modalità Pro che permette di aumentare il livello di sfida anche quando si è livellato il party con la valanga di missioni secondarie disponibili. Sostanzialmente essa conserva alcuni dei punti esperienza permettendo di arrivare agli scontri intermedi con i boss principali ad un livello tale da dover ragionare sulla strategia da applicare. Un’ottima aggiunta che rende più scalabile l’esperienza. In combattimento il livello del party fa la differenza, ma la moltitudine di variabili di cui tenere conto rende il gameplay apparentemente accessibile ma complesso nei momenti chiave al punto da richiedere molto impegno. Non basta equipaggiare il meglio a disposizione, perché esistono tutta una serie di bonus e malus sia delle tecniche sia delle gemme da equipaggiare che offrirà ai più smanettoni una dose massiccia di brefing prima delle battaglie per trovare il proprio stile migliore.
In combattimento tutto si svolge quasi come se si fosse in un MMO, con attacchi automatici e arti da caricare e pochissimi momenti in cui il tempo si ferma. Si tratta di un sistema collaudato che si è mantenuto invariato da ieri a oggi e che obbliga a non sferrare attacchi a testa bassa attivando le mosse speciali appena sono disponibili, ma richiede, come già detto, un’accurata pianificazione. Questo anche perché esistono alcune arti i cui effetti vanno concatenati tra i diversi membri della squadra e, non avendo possibilità di comandare gli altri PG se non durante gli assalti di gruppo, bisogna stare attenti a tutti i simboli e i messaggi che appaiono sullo schermo. Per fortuna l’IA dei compagni è stata migliorata dando loro più consapevolezza delle concatenazioni di attacchi.
Il gameplay nel 2010 sorprese tutti e oggi non delude.
Va comunque superata e digerita la leggera confusione che si percepisce nelle prime ore di gioco per quantità di informazioni che arrivano tutte insieme. Svanito questo disorientamento inziale, il gameplay diventa appagante, frenetico e solo un filo ripetitivo nelle sidequest se affrontate in sequenza. I membri del party che via via si aggregano al gruppo sono ben bilanciati e meno rigidi nelle loro caratteristiche da tank, curatore o attaccante. La versatilità è tanta offrendo la possibilità di “giocare” con le combinazioni team. Vero è che in alcuni momenti il gioco obbliga quasi a tenere Shulk e sfruttare le abilità uniche della sua arma, la Monado. Resta comunque il piacere di un gameplay che nel 2010 sorprese e che oggi non delude ma anzi si lascia godere con la giusta attenzione e senza patemi eccessivi.
Ho giocato circa 120 ore per lo più con Nintendo Switch in modalità TV, completando una buona parte delle missioni secondarie.
Struttura
Collezionabili e Extra
Scheda Gioco
Xenoblade Chronicles: Definitive Edition, pur con i suoi difetti – alcuni corretti, altri invariati – è un’esperienza immensa e coinvolgente sotto ogni aspetto, ieri come oggi. Rappresenta, a mia memoria, una delle migliori edizioni rimasterizzate mai prodotte, pur restando un prodotto di concezione classica in un mercato già proiettato verso un’avanguardia che potrebbe farlo sfigurare. Oggi è difficile pensare che un remake sarebbe stato meglio, anzi forse avrebbe tolto un po’ di magia e di quella patina di vissuto che tanto piace ad un certo tipo di pubblico. Nella storia di Monolith Soft (della quale ho parlato in una corposa e sentita monografia) e nella sua lunga maturazione come software house questo gioco è forse l’apice più fulgido e imprescindibile per comprendere la loro maniera di concepire i JRPG. Un’opera che ha lasciato il segno e che lo continua a lasciare anche dopo anni e generazioni.
Xenoblade Chronicles sarebbe degno di essere giocato da chiunque già per tutti gli aspetti menzionati e senza avere nelle orecchie la sua colonna sonora. Ma a dare il colpo di grazie c’è una soundtrack che lascia senza fiato già dalla schermata iniziale. Si resta piacevolmente irretiti da come l’orchestrale composizione musicale di ogni brano accarezzi le immagini sullo schermo con armonia e naturalezza. Sono brani che non hanno età, che volteggiano in cuffia come un etereo canto. Capita spesso di indugiare su qualche traccia lasciando che le sue note diventino non solo culla del momento presente, ma anche ricordo di eventi della trama di cui sono state accompagnamento. L’unico reale difetto del comparto sonoro è la cadenzata serie di frasi che i personaggi spesso urlano durante gli scontri che in alcuni momenti paiono chiassose e confusionarie. Ma è un misero prezzo che si è disposti a pagare per godere di questa magica opera di Monolith Soft. che attraversa l’anima e il cuore come un incantesimo.
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