Compilare una lista di dieci giochi che hanno fatto la storia dell’Amiga significa escluderne altri dieci, cinquanta, cento che probabilmente sono rimasti nei cuori di altri appassionati che hanno vissuto questo fantastico home computer. Non è affatto esagerato affermare che l’ammiraglia di casa Commodore contasse centinaia di classici e la cosa non deve affatto stupire. Il videogioco rappresentava ancora un territorio in gran parte inesplorato e l’Amiga , grazie alle sue straordinarie potenzialità, è stato il punto di partenza per numerose e nuove prospettive. Fateci sapere nei vostri commenti quali titoli sono stati per voi indimenticabili. Buona retrolettura.
Lemmings (DMA Desing, 1991)
Se l’Amiga avesse avuto una mascotte, questa sarebbe stata sicuramente un lemming, il protagonista del più celebre puzzle game degli anni ’90. Scopo del gioco era quello di impedire a queste creaturine bipedi, vestite di blu e dalla folta chioma verde di andare incontro a morte certa e raggiungere indenni l’uscita del livello. E dovremo fare tutto da soli, dato che i lemmings si muovono non curanti verso qualsiasi pericolo rischiando di cadere da un baratro, di affogare, di venire schiacciati, affettati o bruciati. E come? Semplicemente assegnando dei compiti che i nostri esserini eseguiranno alla lettera, come scavare, perforare, costruire, piazzare esplosivi o lanciarsi con un paracadute. Tutte azioni che, oltre ad impedire la tragica fine, risultavano fondamentali per raggiungere la via di fuga. Un gameplay tanto semplice quanto efficace ed immediato, mai realmente frustrante grazie ad un grado di difficoltà ben calibrato. Durante i primi livelli il giocatore aveva la possibilità di sperimentare diversi approcci strategici, ma col progredire del gioco il ventaglio di scelte da prendere si riduceva drasticamente. Dopo il successo della versione Amiga, la Lemmings-mania si diffonderà rapidamente ed il gioco vanterà decine di conversioni, sequel, spin-off, cloni e remake realizzati anche in tempi recenti.
Moonstone (Mindscape, 1991)
Una congrega di druidi si riunisce all’interno di un cerchio megalitico per conferire l’investitura ad un cavaliere, scelto per l’arduo compito di recuperare la mitica pietra lunare e riportarla a Stonehenge. Inizia così Moonstone, action RPG fantasy sviluppato e distribuito da Mindscape. Nei panni di uno dei quattro cavalieri prescelti, il giocatore dovrà muoversi all’interno di un territorio, suddiviso in quattro aree con al centro il tempio druidico, per cercare l’oggetto perduto ed ambito dai sacerdoti celtici.
Il gioco offre un gameplay variegato che alla fase esplorativa aggiunge scontri all’ultimo sangue con una o più creature tipiche dell’immaginario high fantasy o contro uno degli altri tre cavalieri, comandati dal computer o da un altro giocatore. Moonstone dispone infatti di una modalità multiplayer fino a quattro giocatori organizzata in un sistema basato sui turni. La componente ruolistica permette al cavaliere di potenziarsi attraverso la classica acquisizione di punti esperienza per ogni uccisione ed il recupero di oggetti per migliorare le proprie abilità. Le città presenti nel gioco davano la possibilità di sostare in una taverna, per tentare la fortuna giocando a dadi, consultare mistici o recuperare energia vitale grazie ai guaritori. La varietà di questo gioco garantiva un’immersività totale ed un’atmosfera unica per gli amanti del fantasy. Grazie ad un comparto grafico di livello, complice una scelta accurata della palette di colori, era possibile ammirare le cruente animazioni di questo titolo antesignano del genere hack’n’slash, che gli costò addirittura una censura in Germania.
Sensible Soccer (Sensible Software, 1992)
Nonostante l’Amiga vantasse un gran numero di giochi calcistici, anche all’epoca la corsa per il titolo di miglior gioco era ristretta a due storici rivali. Da un lato il meticoloso Dino Dini che, con la serie Kick Off e Goal!, offriva un’esperienza impegnativa e gratificante, curata nei dettagli e dall’aspetto fortemente simulativo. Dall’altro John Hare ed il suo scanzonato team di sviluppo che con Sensible Soccer realizzava un titolo arcade minimale che elevava il concetto giocabilità ai massimi livelli. Se il titolo dell’articolo fosse stato “10 titoli Amiga da portare su un’isola deserta”, la mia scelta sarebbe ricaduta, seppur con qualche indugio, su Goal! ed il suo gameplay ragionato. Ma dai giochi di calcio, è cosa nota, si ottiene il massimo del divertimento giocando contro avversari umani e la curva d’apprendimento dei giochi di Dino Dini teneva a debita distanza i miei amici non amighisti. Al contrario, tutti conoscevano Sensible Soccer, tutti volevano giocare a Sensible Soccer, anche chi non possedeva un Amiga, anche chi non era appassionato di calcio. Iniziare a giocare a Sensible Soccer significava rimanere incollati per interi pomeriggi davanti allo schermo, grazie ad un gameplay immediato e magnetico. Calciatori microscopici e pixellosi che letteralmente pattinavano sul campo, proiettato in una visuale a “volo d’uccello”, che seguivano uno schema di gioco prevalentemente votato all’attacco, caratterizzato da pochi passaggi velocissimi ed improbabili tiri e lanci ad effetto. Non c’era spazio per tattica e ragionamento. Era quasi esclusivamente una questione di tempismo e precisione balistica.
Sensible Soccer fu un successo commerciale senza precedenti nell’ambito dei videogiochi di calcio, che portò a numerose conversioni e riedizioni senza mai stravolgere la formula originale.
Elite II: Frontier (Gametek, 1993)
Dopo anni di attesa, David Braben approda su Amiga con il sequel del celebre trading simulator spaziale per C64. La formula non si discosta poi molto dal suo predecessore, né tanto meno dai suoi successori, incluso il recente Elite Dangerous: scambio merci, caccia ai criminali, missioni governative ed altre mansioni per acquisire liquidità per modificare la propria nave spaziale, incrementare il parco velivoli personale o per l’avanzamento del grado militare. Non esiste uno scopo principale, né una missione principale per portare al termine il gioco.
Frontier è stato e rimane tuttavia il capitolo più soprende dell’intera saga, grazie all’impiego pionieristico di un complesso algoritmo per la generazione di una galassia procedurale in 3D che contava milioni di pianeti visitabili ed un sistema di volo basato sulla meccanica newtoniana. Non si era mai visto prima un percorso tanto ambizioso per la realizzazione di un videogioco.
Wings (Cinemaware, 1990)
Nel 1990 Cinemaware realizzò un’opera epica e profonda che proiettava il giocatore nei cieli della Prima Guerra Mondiale. Nei panni di una recluta dell’aviazione delle forze alleate contro i tedeschi, il giocatore doveva portare a termine un vasto numero di missioni a bordo di un biplano monoelica. Le visuali disponibili erano tre: isometrica per l’attacco terrestre, dall’alto per i bombardamenti e in terza persona in uno spazio tridimensionale per i combattimenti aerei. Quest’ultima rappresentava senza dubbio il fulcro del gameplay di Wings, non solo per la straordinaria resa visiva dell’ambiente e dei modelli poligonali. I duelli e le missioni in squadriglia erano gli unici che permettevano di salire di grado e aggiornare la classifica di nemici abbattuti. E gli unici in cui si rischiava di veder morire tragicamente il proprio avatar. Per proseguire era necessario creare una nuova recluta con statistiche resettate, perché in Wings ricominciare dall’ultimo salvataggio significava barare.
Negli intervalli tra una missione e l’altra il nostro protagonista annotava su un diario le proprie esperienze e con esse le speranze, le paure, episodi vissuti all’interno della base, nuove amicizie, dolorose perdite e notizie dal fronte, soprattutto quelle riguardanti le imprese del leggendario Manfred Von Richtofen, meglio conosciuto come il leggendario Barone Rosso. Il tutto accompagnato da un caratteristico sottofondo musicale allegro o estremamente malinconico secondo l’entità della cronaca. Inutile dire che gli eventi allegri erano assai sporadici.
I giochi della Cinemaware puntavano fortemente sull’immedesimazione e con Wings avevano centrato perfettamente l’obiettivo. Uno dei primi e più mirabili esempi in cui la narrativa era parte integrante del videogioco. In assoluto, il mio titolo preferito per l’Amiga.
Speedball 2:Brutal Deluxe (Bitmap Brothers, 1990)
Anno 2105:dopo un’interruzione durata dieci anni riapre i battenti il campionato sportivo più brutale in circolazione. Speedball è una via di mezzo tra il calcio ed il rugby, giocato in un’arena chiusa e senza regole, il cui scopo è quello guadagnare più punti possibile entro lo scadere del tempo, segnando un goal o infortunando un giocatore della squadra avversaria, sfruttando i bonus moltiplicatori disseminati per il campo. Le atmosfere cyberpunk omaggiano probabilmente Rollerball, una pellicola fantascientifica cult degli anni ’70, che tratta di uno sport alquanto simile. E’ probabilmente il gioco più celebre dei Bitmap Brothers, uno dei miglior team di sviluppo di giochi a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, non solo per l’Amiga. Speedball 2 vanta un game design strepitoso ed un comparto tecnico di alto livello. La colonna sonora vinse addirittura il Golden Joystick Award nel 1991. Indimenticabile la voce del venditore di gelati che, durante l’incontro, gridava ‘Ice Cream, Ice Cream’.
The Secret of Monkey Island (LucasArts, 1990)
Un titolo che non ha certo bisogno di presentazioni, trattandosi della più celebre avventura grafica creata dalla collaudata coppia Ron Gilbert e Tim Schafer, veri guru della scena videoludica. Grande atmosfera, humour demenziale e al contempo sofisticato, personaggi e situazioni squisitamente surreali, decine di citazioni, musiche che rimangono ben impresse nella mente ed un’interfaccia punta e clicca più raffinata che mai sono aspetti che si incastrano alla perfezione e che fanno da sfondo al miglior design di sempre per il genere. Muovendosi per Mêlée Island nei panni di Guybrush Threepwood si percepisce un’attenzione maniacale per i dettagli e per la consistenza delle vicende dell’aspirante pirata, al tempo riscontrabile solo nelle pellicole cinematografiche. Una qualità che non è passata di certo inosservata al mondo dello show business (vero Disney?). The Secret Of Monkey Island è stato uno step fondamentale per la maturazione della forma videogioco.
Syndicate (Bullfrog Productions, 1993)
Gran team quello della Bullfrog, capitanato da un giovanissimo Peter Moulyneux ancora poco avvezzo a spararle grosse. Gli appassionati della cultura cyberpunk salutarono con entusiasmo l’arrivo di questo capostipite del genere action strategico ambientato in un mondo futuristico dominato dalle assidue megacorporazioni. Alla guida di un’organizzazione emergente, il giocatore dovrà farsi largo tra i poteri forti che controllano il territorio. L’esperienza si dipana attraverso una serie di missioni in cui dovremo controllare una squadra composta da quattro agenti biogeneticamente avanzati e senza scrupoli. Sabotaggi, furto dati sensibili, eliminazione politici autorevoli o scomodi rivoltosi, scortare o persuadere personaggi influenti sono alcune delle missioni principali da portare a termine per incrementare la propria egemonia e guadagnare crediti da investire per migliorare la propria milizia e relativo equipaggiamento. Durante le missioni, i nostri agenti si muovono in un’area isometrica che riproduce fedelmente le cupe atmosfere delle città cyberpunk. Il risultato è davvero pregevole ed il gameplay risulta vario e mai ripetitvo grazie anche ad una buona implementazione dell’intelligenza artificiale.
Alien Breed (Team 17, 1991)
In una lista di giochi per l’Amiga che si rispetti non si può dimenticare il contributo dato dal Team 17. Conosciuta dalla maggior parte dei giocatori per la serie Worms, la gaming house inglese è stata una delle più prolifiche e stimate realtà per la piattaforma Commodore. Alien Breed è uno sparatutto con visuale dall’alto molto simile al classico coin-op Gauntlet, ma in un contesto puramente horror sci-fi. Così come il titolo, anche concept ed ambientazione rimandavano alla serie Alien ideata da Ridley Scott: una claustrofobica stazione spaziale infestata da creature xenomorfe da debellare usando un vasta gamma di armi da fuoco. Il gameplay era estremamente semplice a vantaggio di un’azione immediata, adrenalinica e coinvolgente, in linea con la concezione di videogioco elaborata dai ragazzi del Team 17. L’esperienza di questo istant classic è arricchita da una grafica pulita e dettagliata che si difende piuttosto bene ancora oggi ed il contributo sonoro di Allister Brimble, già compositore di decine di titoli leggendari, tra cui la serie X-Com e Mortal Kombat.
Another World (Delphine Software International, 1991)
Notte buia e tempestosa. Il giovane fisico Lester Knight Chaykin si reca nel suo laboratorio ultramoderno per lavorare ad un delicato esperimento con un acceleratore particellare. Naturalmente qualcosa va storto e l’incidente provoca la formazione di un buco nero che risucchia il nostro protagonista e lo catapulta in un mondo alieno ed ostile. Inizia così l’esperienza onirica di uno degli action adventure più seminali della storia del videogioco, tanto che designer di culto come Hideo Kojima e Fumito Ueda hanno indicato il titolo come principale fonte d’ispirazione per i loro lavori. I creatori del gioco hanno volutamente omesso qualsiasi informazione su schermo per rendere il titolo una vera esperienza cinematica. A supporto delle intenzioni, la scelta stilistica si basa sulla tecnica del Rotoscope, ovvero oggetti ed animazioni ridisegnati su sequenze filmate reali. I personaggi sono realizzati su modelli poligonali che si muovono su schermate a due dimensioni. E La resa, almeno per i tempi, toglieva letteralmente il fiato. Il gameplay, apparentemente limitato e funzionale, s’inseriva alla perfezione con il susseguirsi degli avvenimenti e le memorabili cutscene. Per i sostenitori della causa “i videogiochi sono arte”, Another World è sicuramente un valido riferimento per esporre le proprie ragioni.
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