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10 Giochi Imperdibili per Saturn

Come consueto per la rubrica retrogaming, ecco una carrellata di alcuni tra i migliori titoli per Saturn. Dato che le produzioni e le alterne vicende di questa console sono forse meno conosciute rispetto ai concorrenti dell’epoca, ho pensato fosse meglio soffermarsi con più attenzione per fare approfondimento su di una console che aveva più da dire di quanto non si pensi, sia in questa sede, che sulla panoramica della storia del 32 bit di Sega.

 

Virtua Fighter 2

Facente parte della seconda ondata di esclusive, Virtua Fighter 2 fu una conversione prodigiosa, girando su di una console casalinga con una risoluzione di 750×575 e una frequenza di 60 fotogrammi al secondo. Tale traguardo era notevole, specie perché accompagnato da modelli poligonali molto fedeli a quelli della controparte da sala giochi.
Virtua Fighter ha iniziato con questo capitolo ad essere particolarmente apprezzato dagli utenti più competitivi in campo di picchiaduro, grazie alla sua giocabilità raffinata. Per quanto infatti fosse meno gettonato dall’utenza occasionale, VF è stato considerato da molti esperti come il titolo di lotta 3D più bilanciato da giocare anche nei capitoli successivi, raggiungendo picchi di eccellenza tutt’oggi apprezzati con VF4 Evolution e VF5 Final Shodown.
L’esperienza generale riproduce in modo piuttosto realistico stili di combattimento realmente esistenti, limitando al minimo le trovate fantasiose (tolto il boss) o le mosse impossibili. Tale approccio, sobrio e in controtendenza con lo stile esagerato dei concorrenti, fu merito di Yu Suzuki, capo del dipartimento AM2, il quale era notoriamente un appassionato di arti marziali e puntò a riprodurre molte movenze e sequenze reali. La grande mancanza di Virtua Fighter 2 però sta nell’assenza di una trama presentata all’interno del gioco, che limitò la spettacolarizzazione della serie e la costruzione di una sua mitologia narrativa che fosse capace di sedurre l’utenza più occasionale, al pari di come la telenovela dei Mishima o la saga epica di Orochi stava facendo per Tekken e King of Fighters. I picchiaduro 3D in generale sono comunque ben rappresentati su Saturn anche grazie a Last o Bronx e Fighters Megamix. Quest’ultimo anticipa l’idea di Smash Bros di realizzare un picchiaduro con personaggi provenienti da diverse serie della stessa casa e infatti trovano spazio gli eroi di VF, Fighting Vipers, Virtua Cop, Sonic,  Rent a Hero, e persino la macchina di Daytona antropomorfizzata come personaggio scherzo.

Burning Rangers

I pompieri futuristici creati dal Sonic Team sono un buon esempio di come proporre qualcosa di originale e creativo, anche in un periodo in cui gli action platform non solo funzionavano molti nello stesso modo, ma pescavano sovente da un immaginario meno fantasioso. L’idea curiosa infatti è quella di metterci ai controlli di una squadra di pompieri armati di una specie di laser smorza fiamme e jetpack, in grado di muoversi in scenari al limite della sopravvivenza come impianti industriali, basi spaziali e molto altro ancora. Ogni luogo infatti pone molteplici scopi, come scortare in salvo i civili, estinguere le fiamme e sconfiggere nemici robotizzati, il tutto facendo attenzione alle minacce ambientali provocate dagli incendi. Ciascuno di questi compiti infatti va portato avanti nel corso di un livello esplorando la struttura su ogni livello grazie al jetpack. Tuttavia trascurare un aspetto a favore di un’altro potrebbe provocare esiti negativi. Concentrandosi solo sui civili le fiamme potrebbero danneggiare impianti e causare crolli strutturali, mettendo i ranger in pericolo. Pensando solo alla fiamme invece potrebbe sfuggirci l’incolumità delle vittime, pertanto ogni area va affrontata gestendo in contemporanea molteplici minacce. Il risultato garantisce quindi una certa varietà di gioco, aumentata dallo stimolo offerto dopo il primo completamento: alla conclusione si sblocca infatti un algoritmo che cambia la posizione di interruttori, porte aperte e chiuse, e personaggi lungo la mappa. Pur non configurandosi come una creazione procedurale dei livelli, che tanto va in voga oggi, il risultato è quello di cambiare la progressione lungo i livelli stessi, garantendo una buona varietà nell’affrontare nuove partite.

Panzer Dragoon Saga

Dopo due capitoli esclusivamente sparatutto, Sega decise di ampliare la formula di Panzer Dragoon espandendolo come RPG, creando così un’unione tra due tipologie videoludiche apparentemente inconciliabili. A trarre vantaggio da questa mossa non fu solo la giocabilità, ma anche l’ambientazione del gioco, talmente bella e ricca da meritare un contesto che permettesse al giocatore di approfondirne le molteplici sfumature narrative ed estetiche. Il mondo di Panzer Dragoon infatti è difficilmente collocabile in uno scenario preciso a causa della compresenza di aspetti tra loro apparentemente anacronistici come la tecnologia e la società tribale, un’idea che recentemente è stata ripresa da giochi come Horizon: Zero Dawn.
Qui infatti sono presenti elementi di tecnologia avanzata ben accetti dalla popolazione, come laser, aeronavi coadiuvate da palloni aerostatici e fortezze giganti che sembrano monoliti di basalto.
Nelle terre selvagge invece imperversano delle creature mostruose, descritte come armi biologiche create dagli esperimenti delle generazioni precedenti, nella ricerca di nuovi modi per farsi la guerra. I draghi sono la categoria più temuta e vengono cacciati temendo che il loro potenziale distruttivo possa causare un’altro cataclisma. La società invece è frammentata tra popolazioni che vivono in case di terra e pietra, tribù nomadi, imperi a metà tra il medievale e il militare moderno, creando un insieme di sfumature davvero ricco e un’ambientazione generale tra le più ispirate che si siano mai viste in un videogioco. Volendo cercare un corrispettivo, Panzer Dragoon richiama tratti di Nausicaa Nella Valle del Vento di Hayao Miyazaki, o i paesaggi del fumettista Moebius, ma rielaborandoli con un eccellente gusto pittoresco.
Il gioco si divide in sezioni a piedi, dove si controlla il mercenario Edge, e quelle in groppa al drago, dove ci si muove tra una località e l’altra, ammirando lande desolate ma al tempo stesso suggestive, dove antiche rovine echeggiano a epoche grandiose cadute in rovina, oppure in dungeon che si rivelano essere complessi tecnologici ormai abbandonati da secoli. In queste fasi si affrontano anche i combattimenti contro navi imperiali e creature ostili. Qui il sistema di combattimento dice la sua, gestendo in modo intelligente l’idea di spostamento tipica degli shmup con l’aspetto ruolistico: nell’area di lotta infatti bisogna decidere dove piazzare il drago, oltre che spostarlo ad ogni turno.
Nonostante il titolo non fosse graficamente all’avanguardia come i concorrenti targati Squaresoft di quegli anni, la trama e l’ambientazione di Panzer Dragoon Saga sono estremamente originali e di alta qualità, culminando in un finale che riesce persino a rompere la quarta parete in modo geniale. La stessa giocabilità inoltre è un esempio ancora valido per mostrare come dal punto di vista della sperimentazione si possa fare moltissimo per rendere frizzante un genere videoludico (quello degli RPG) che invece è spesso gestito in modo troppo manieristico.

Sega Rally

Nelle sale giochi nostrane Sega Rally fu uno dei cabinati che divoravano gettoni con più costanza, superato forse solo da Virtua Striker 2 (titolo di calcio che in molti ricorderanno) e pochi altri. Nonostante l’edizione casalinga non potesse contare sull’effetto dei lussuosi cabinati che ricreavano una vera postazione di guida, supportando al massimo un volante dedicato, la giocabilità però era solida anche al netto di un umile joypad, pertanto la conversione casalinga fu particolarmente apprezzata, specialmente in split screen per le sfide in locale. Il titolo sfruttava appieno le Saturn Graphics Library che avevano permesso agli sviluppatori di facilitare la programmazione dei titoli 3D sulla console, iniziando a riprodurre risultati apprezzabili rispetto gli originali da sala, così come di tenere testa alle esclusive della concorrenza, come Ridge Racer. Il gioco di corse di AM3 infatti era diventato il paradigma per di tutte le corse arcade, accessibile per i neofiti, ma comunque in grado di garantire una buona sfida per chi volesse battere il primato su di una determinata pista. Pur nella sua semplicità, Sega Rally resta il punto di partenza delle esperienze di guida videoludiche moderne.

Deep Fear + Enemy Zero

Seguendo il successo di Resident Evil  e dovendo colmare la mancata conversione del secondo, Sega produsse Deep Fear, un survival horror che si distinse dal titolo Capcom grazie a delle trovate molto intriganti che coinvolgevano giocabilità e ambientazione. Lo scenario infatti gioca un ruolo fondamentale non solo per giustificare nuove meccaniche, ma anche per fomentare un nuovo tipo di ansia e terrore nell’utente. L’azione infatti si svolge nella profondità degli abissi marini, dentro una  base di ricerca oceanografica che segna un termine di paragone innovativo per riprodurre il senso di isolamento e claustrofobia in un videogioco.
Il protagonista è un Navy Seal, il quale si trova a dover fronteggiare il personale della struttura mutato a causa di un pericoloso patogeno rinvenuto in una sonda spaziale. La trama tuttavia scorre attraverso una serie di colpi di scena che portano a spiegazioni ben diverse da quelle di Resident Evil, donando quindi al tutto una maggior identità narrativa, pur seguendo comunque alcuni archetipi del genere orrorifico. Il design dei mostri denota una creatività e un’originalità che non ha bisogno di copiare da nessuno (qui due esempi, ma attenzione agli spoiler nel secondo link: Esempio UnoDue), così come il motore grafico si dimostra piuttosto solido.
Le novità più interessanti sono la possibilità di sparare mentre si cammina in avanti e il tasso di ossigeno da tenere sotto controllo. In alcune sezioni della base infatti il rifornimento automaticamente non è presente, mettendo pressione al giocatore in modo inedito. Menzione speciale per Enemy Zero, creato dal compianto Kenji Eno, famoso specialmente per il suo lavoro di compositore musicale e per essere stato a capo dello studio WARP in cui militò anche un Fumito Ueda alle prime armi. Il gioco si presenta come un’avventura in prima persona, con molti punti in comune con Alien di Ridley Scott, ma con una grossa idea originale: i nemici sono invisibili, pertanto la protagonista deve sfruttare un radar per accorgersi della loro presenza e non farsi uccidere.
Questo sistema genera un segnale acustico diverso a seconda della direzione in cui rileva una presenza, creando un substrato di nervosismo costante nell’utente, non facendolo sentire al sicuro neppure di fronte un corridoio o una stanza vuota. Nonostante un sistema di combattimento forse troppo punitivo e frustrante (bisogna infatti puntare e sparare alla cieca, basandosi solo sul segnale audio del radar, fallendo facilmente), Enemy Zero rimane impressionante nel modo di costruire la tensione.

Nights

Yuji Naka fu quel genere di sviluppatore visionario capace di creare opere sfuggenti a qualsiasi tipo di classificazione convenzionale. Per molti l’equivalente di Shigeru Miyamoto per la Sega. Già autore di Sonic, Naka però non si limitò a creare un semplice platform in 3D con Nights, il quale tutt’oggi rimane unico e diverso da giocare. L’esperienza di gioco infatti si basa sul guidare lo spiritello Nights in volo attraverso i livelli, compiendo delle figure acrobatiche che non solo gli permettono di acquisire bonus, ma anche di sconfiggere i nemici intrappolati al loro interno. Non semplici meccaniche platform quindi, ma un sistema di volo tridimensionale in cui l’attacco viene gestito in modo creativo, premiando le acrobazie più elaborate, le quali possono essere incrementate usando degli elementi dell’ambiente per effettuare delle combo.
Data la sua giocabilità, Nights non poteva sfruttare un semplice joypad a croce, ma spinse Naka a sviluppare una periferica apposita, portando alla pubblicazione di uno dei primi joypad analogici , soluzione che di lì a poco sarebbe stata sfruttata anche da Sony con il Dual Shock, che avrebbe sostituito il joypad 1.0 privo di analogici della PlayStation. L’ambientazione e il design dei personaggi restano ancora oggi molto particolari, creando uno scenario onirico colorato e surreale, capace di affascinare il pubblico dei platform cartoneschi.

Astal

Astal rimane ancora oggi un portento di grafica disegnata a mano in 2D, coloratissimo e suggestivo a rimirarne ogni schermata, per non parlare delle sequenze FMV di intermezzo, le quali erano dei veri e propri pezzi di cartone animato, sviluppate appositamente per il gioco. Queste caratteristiche potrebbero infatti rendere il titolo candidabile per essere rimasterizzato in alta definizione, senza sfigurare rispetto molti platform contemporanei.
Anche nell’approccio al genere ci sono delle idee gradevoli nella gestione del sistema di combattimento. Il protagonista infatti può sconfiggere i nemici afferrandoli con delle prese e lanciandoli a terra, oppure usando i suoi pugni per stordirli o colpire il terreno. Il volatile che lo accompagna inoltre ha un ruolo più importante della semplice mascotte, in quanto può aiutare attivamente Astal, diventando un supporto ai comandi del secondo giocatore e aggiungendo un pizzico di cooperativa.

Guardian Heroes

Il titolo di Treasure è forse uno degli esempi più impressionanti di picchiaduro a scorrimento mai prodotti. Dotato di una buona grafica, sequenze animate, una rosa di personaggi ben diversificata e una pletora di nemici enorme, così come di bivi e biforcazioni da seguire tra i livelli, raggiungendo un ragguardevole numero di finali differenti. A questo aggiungiamo una giocabilità che non soltanto funzionava bene in relazione al genere, ma anche ibridata con gli RPG in un modo sperimentale come neppure i Dungeons&Dragons di Capcom. Ciascun eroe infatti dopo ogni livello può aumentare diverse statistiche tramite la spesa di punti esperienza, migliorando l’efficacia di ciascun valore in combattimento. I guerrieri possono massimizzare il loro danno, mentre i maghi possono diminuire il costo di punti da spendere per effettuare ogni magia e altro ancora. Sebbene sia gustoso anche da soli, Guardian Heroes raggiunge vette di profondità cooperativa eccellenti per un picchiaduro a scorrimento, sino ad un massimo di quattro persone. Chicca finale: l’ambientazione fantasy che inserisce anche lievi spicchi di steampunk tecnologico, rendendo il tutto più brioso e frizzante rispetto alle classiche ambientazioni tolkieniane. Recentemente ripubblicato per Xbox 360 e giocabile su One in retrocompatibilità.

Virtual On

Veloce e furioso, al punto che una partita a Virtual On resta impressa per via del suo modo frenetico di interpretare le battaglie tra robot. I mech infatti si scontrano in arene tridimensionali piuttosto compatte, dove la mobilità viene iperaccelerata al punto da non permettere di tirare il fiato neppure per un istante.
Diverso tuttavia da un picchiaduro tridimensionale, nonostante possa sembrarlo. La particolarità sta nel modo in cui gestire lo scontro, senza mai interrompere neppure per un istante il balletto composto da raffiche laser, colpi  ravvicinati e schivate, creando delle partite capaci di condensarsi in un frullato di azione, servito in cicchetti allungati con adrenalina, da bere rigorosamente alla goccia, come fosse un cocktail ad alta gradazione ludica. Tosto da mandare giù, ma inebriante: provate ad immaginare un gioco di combattimento 1 vs 1, ma con tempistiche e ritmi scanditi come nella fase più esasperata di uno shmup. In sala giochi Virtual On sfruttava anche un cabinato composto da una postazione di pilotaggio e una cloche doppia, creando l’equivalente di una vera e propria giostra simulativa della guida di un mechwarrior al modico prezzo di un paio di gettoni. La versione Saturn però restava comunque un acquisto valido, in quanto il nucleo della sua giocabilità restava inalterato e fortissimo anche attraverso il classico joypad.

Dragon Force

Il Saturn ospitò numerosi JRPG e derivati della serie Shining, tutti diversi dall’impostazione classica codificata da Squaresoft. Basti pensare allo Zelda-like Shining Wisdom, al dungeon crawler Shining the Holy Ark, sino a Shining Force 3. A questi però si aggiunge Dragon Force, uno strategico basato sulle battaglie campali tra eserciti. Il giocatore infatti deve prendere il controllo di uno tra otto eserciti e muoversi contro i rimanenti, ingaggiando battaglie, assedi a fortezze, ma anche negoziando armistizi o rese tramite la diplomazia. Il sistema di combattimento prevede sino a cento soldati per ciascuno schieramento calati sul campo, ponendo quindi l’enfasi su manovre di gruppo e differenziandosi rispetto ai concorrenti per una gestione differente del party. A seconda dell’esercito selezionato inoltre si può raggiungere un finale diverso, raggiungendo la ragguardevole cifra di otto conclusioni, con relativo aumento della longevità. La trama comunque non è scontata, tirando in mezzo una svolta di più ampia portata, per dare una conclusione quanto più epica possibile e adeguata ad una storia fantasy, laddove le prime ore di gioco possono sembrare una “semplice” bagarre tra regni in stile Trono di Spade.

Menzioni speciali

Misti: Siloutte Mirage, Princess Crown, Shinobi Legion, Policenauts, Dark Savior, Die Hard Arcade, Rayearth, Clockwork Knight, Shining The Holy Ark, Shining Force 3, Manx TT, Legend of Oasis:Story of Thor 2, Virtua Cop 2, The House of the Dead

I picchiaduro: Street Fighter Zero 3, X-men Vs Street Fighter, King of Fighters 97, Real Bout Special, Cyberbots, Golden Axe the Duel, Last Bronx
Gli shmup: Thunderforce V, Radiant Silvergun, Layer section, Darius Gaiden, Dodon Pachi

Titoli multipiattaforma: Quake, Resident Evil, Tomb Raider, Wipeout 2097, Alien Trilogy,  Discworld, Exhumed, Grandia

Francesco Dovis

Complice una formazione professionale nel settore, decide di adottare l'approccio giornalistico anche nel trattare un argomento che oggi è diventato di costume al pari di musica o spettacoli. Da sempre videogiocatore multipiattaforma, in virtù di questo definisce la sua esperienza in materia "caleidoscopica".

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