Giochi

10 giochi imperdibili per PSP

In un mondo dove gli schermi 16:9, nel 2004, non erano ancora lo standard, l’impatto dell’LCD di PSP sulle retine dei giocatori era quello di trovarsi occhi negli occhi con un’affascinante donna, i cui due zaffiri incastonati nel viso creano un’idilliaca aritmia nel cuore di chi ne subisce lo charme. Un kaleidoscopio di cristalli liquidi camaleontici, pronti a prendere le forme e i colori di decine di icone, dare giustizia visiva alle idee di sviluppatori geniali, illudere il giocatore di avere una console da salotto tra le mani, 14 anni in anticipo sulla totale realizzazione di questo sogno proibito con Switch. Perché se si sottraggono a PlayStation Portable tutte le sue ambizioni multimediali, più o meno realizzate, la sua essenza ludica riesce a brillare ancora ad anni di distanza, abbracciando la filosofia PlayStation con una mescolanza di opere pop e folli, sperimentali, ancora attualissime. Certo, non tutte, con il tempo che è stato poco clemente soprattutto su alcuni pezzi da novanta dell’epoca, riproposti poi su lidi che prevedevano un secondo analogico e molta più comodità. Viene in mente Metal Gear Solid: Peace Walker, tassello fondamentale nel mosaico ludo-narrativo della saga made in Kojima, poi riproposto nella collection HD che comprendeva anche secondo e terzo capitolo. In questa top 10 troverete quindi principalmente titoli splendidi che non sono invecchiati di un giorno, dall’identità ancora fortissima e dalla squisita giocabilità, senza ricorrere a ritocchini vari e chirurgia virtu-estetica.

Lumines

Tetsuya Mizuguchi fu uno dei primi a rimanere folgorato dall’idea di una PlayStation portatile. Una “macchina dei sogni” come la definì, che gli diede l’opportunità, appena uscito da SEGA per fondare Q? Entertainment, di reinventare l’amatissimo Tetris, in una metamorfosi avveniristica del puzzle game capace di accompagnare il lancio di PSP come l’opera di Aleksej Pazitnov fece col glorioso Big Bang portatile chiamato Game Boy. Il risultato fu uno degli esperimenti di sinestesia applicata al videogioco più riusciti e giocabili della carriera di Mizuguchi, un vero classico moderno accompagnato da una colonna sonora leggendaria e prodigiosamente innovativa. Un’opera ipnotica, capace di mescolare i sensi, shakerarli e servirli nella coppa Martini delle nostre sensazioni, totalmente scombussolate da nuove esperienze cognitive, dove ogni blocco caduto nel catino 16×10 è un impulso tattile, un suono, un colore, venendo assorbiti a tal punto dalla routine ludica da liberare totalmente la mente, lasciando le abilità cognitive libere di sfogarsi. Un capolavoro assoluto che negli anni ha sviluppato per osmosi una grande serie di seguiti praticamente su ogni dispositivo, lasciando però al capostipite l’onore dell’immortalità. Questa era e resta la sua dimensione definitiva, se non possedete Switch e relativa remastered uscita da qualche giorno. Futuristico.

OutRun 2006 Coast 2 Coast

La spensierata follia nel lanciare la propria auto a folle velocità lungo un infinito nastro d’asfalto che collega i due emisferi di un mondo dai mille colori e profumi, la nostra compagna, bellissima, seduta accanto a noi, estasiata ed esaltata dal piacere del viaggio, senza mai pensare alla meta, metre dall’autoradio sgorgano come una magica doccia sonora i remix di tracce anni ’80, storia della chiptune che segnò un’epoca. Un’estate perenne in cui godersi la vita a 200km/h per mezzo della più raffinata ingegneria motoristica. OutRun 2006 Coast 2 Coast non è soltanto l’ultimo, grandioso, racing arcade che questo mondo abbia visto, nella sua accezione più legata al modo di guidare in sala giochi, accelleratore a tavoletta contro il tempo tiranno, ma è uno spaccato di vita in controsterzo, la libertà della guida da cui derivano migliaia di possibili esperienze, incarnazione di un benessere borghese che fa della Ferrari uno status symbol, anche virtuale. Perché è innegabile, la miglior declinazione dell’originale opera di Yu Suzuki innalza la qualità della vita di ogni giocatore che ci ha messo mano. Un remake con gli attributi che in questo porting su PSP trova tutta la libertà che vuole comunicare, con una giocabilità totale, immediata, semplicemente perfetta. Da esibire al museo Ferrari di Maranello, nei chilometri dei chilometri, amen.

Locoroco

La forza dirompente della semplicità. Una definizione che meglio non può descrivere una delle opere più straordinarie di Japan Studios, cucita attorno all’hardware di PSP per diventarne vero simbolo, anche nell’eterna sfida tutta colori e idee con Nintendo. Locoroco rende art design l’astratta semplicità del disegno infantile in una versione pratica e alternativa del “piano inclinato”, modello matematico che studia il moto di un corpo su superficie sbilenca considerandone peso, attrito ma soprattutto morbidezza. La gommosità del mondo di gioco ha infatti ancora oggi del prodigioso, e la trasposizione ludica di questa basilare nozione di fisica fa regredire la mente a certi giocattoli analogici, che facevano di inclinazione, pertugi e biglie il loro lite motiv. Ma Locoroco è soprattutto level design raffinatissimo che rende gli eleganti dorsali della console oggetto di innovazione platformistica, nonché mezzo di alterazione dell’asse x per scatenare gioia e ilarità, nel vedere questi buffi esserini rotolare per il mondo senza mai smettere di cantare canzoni memorabili, che ci si ritrova a fischiettare anche ad anni di distanza, con un lip-sync miracoloso e testi in una lingua invetata di sana pianta, su melodie che vanno dal folk al raggae al country, dando un’identità culturale e stilistica unica all’opera. “Bajumbo moi noi noi jecker. Dabatto bunkergait jun jun. Nora juerue-rotto pura-pura petto”.

Everybody’s Golf 2

Centrare un bersaglio minuscolo, talmente piccolo che da 400 yard neanche si vede, è un po’ una metafora delle vita e degli obiettivi che ci poniamo quotidianamente, da raggiungere tiro dopo tiro, passando per bunker di sabbia e buchi nell’acqua, fino a quel “ting” onomatopeico che racchiude in sé tutta la soddisfazione per un traguardo raggiunto attraverso dedizione e precisione, quello di una pallina che tocca il fondo della buca. Il golf è meditazione, relax, stile di vita e immersione nella natura, fin troppo elitario e nel reale, per questo benevolmente sfottuto e reso pop da Clap Handz, col suo stile caricaturale nei personaggi che contrasta un gameplay incredibilmente esigente una volta presa in mano la mazza, sorprendentemente più simulativo che arcade. Benché la definitiva raffinatezza fisica sarebbe arrivata solo qualche anno dopo con l’episodio PlayStation 3, Everybody’s Golf 2 è sicuramente il capitolo più completo, ricco, divertente e impegnativo. Una quantità impressionante di percorsi, collezionabili, sfide, sostenuta da una continua voglia di migliorare i propri punteggi, di sperimentare nuovi approcci, studiare la superba morfologia di ogni singola buca, con i loro ostacoli, avvallamenti, pendenze, folate di vento, giocando sempre con la testa e con precisione, senza bisogno di inutili super mosse, dipendendo solo dalla propria manualità e dal proprio swing. Ammazza che mazza.

Metal Gear Ac!d 2

Il Metal Gear più lisergico e folle di sempre (il che è tutto dire), tanto nel gameplay quanto nel suo sconclusionato racconto, totalmente slegato dall’universo narrativo della saga principale. Un Solid Snake in cel-shading che estremizza quel “Tactical Espionage Action” con cui la saga ha sempre dichiarato i suoi intenti, declinando i ritmi e l’imprevedibilità dello stealth in un’operazione totalmente tattica, meditata, a turni, che è anche una pericolosissima partita a carte. Questo secondo e ultimo capitolo acido, dopo un primo approccio embrionale, poligonale, acerbo, esplode su PSP in tutta la sua bizzarria, obbligando il giocatore a far saltare costantemente il banco e a giocarsi letteralmente tutti gli assi nella manica. Le meccaniche tattiche funzionano da Dio, con una profondità e varietà di azioni quasi inarrivabile per il genere, condita dalla tensione mista a eccitazione che accompagna i giocatori ad un tavolo di Texas Hold ‘Em. Ogni strategia è legata alla nostra mano, con una difficoltà estremamente altalenante, che comincia ad allungare i suoi artigli al momento della creazione del mazzo, portando o alla più grande soddisfazione spionistica mai provata, o ad un reflusso gastro-esofageo che l’opera prevede già nel suo nome. Unico nell’atmosfera, spettacolare da giocare, fuori di testa da seguire, imperdibile per tutti gli amanti della serie e sicuramente più attuale e giocabile di Peace Walker, su PSP almeno.

Exit 2

Sangue freddo, una spiccata intelligenza pratica, abilità atletiche non comuni, tanto coraggio da riempire una petroliera, ma soprattutto un elegantissimo soprabito: questa è la ricetta dell’eroe perfetto secondo Taito. Perché in Exit non si usano superpoteri, non si lotta contro un nemico che minaccia la vita umana per puro gaudio, no, qui si lotta contro le catastrofiche casualità capaci di trasformare la sicurezza della propria casa in una cella con vista sul miglio verde. Incendi, allagamenti, terremoti, nessuna minaccia è troppo pericolosa per minare lo spirito del nostro Mr. Esc, in un puzzle platform capace di restituire una soddisfazione incredibile, simulando l’emozione del salvataggio estremo, stimolando l’intelletto in favore del prossimo, lottando anche contro controlli non proprio comodissimi; ma d’altronde non si riceve una medaglia al valor civile standosene comodi. A parte i voti che si trovano in giro per internet, che ne criticano la sua natura da more of the same e per questo inutili in questa sede, posso assicurare trattarsi di una vera perla del genere, unica, raffinata, e dall’estetica retro-fumettistica, vintage, molto anni ’50.

Wipeout Pulse

Pensando a Studio Liverpool viene voglia di intonare “You’ll never walk alone”, sui bpm battenti di una traccia ambient techno di Aphex Twin. Perché nessun appassionato può dimenticare gli ex Psygnosis, ormai dispersi nel mare dell’industria videoludica, privati dalle logiche di mercato di un’identità di gruppo fortissima, negando contemporaneamente ai giocatori la possibilità di avere tra le mani un nuovo Wipeout, dovendoci per il momento accontentare di collection e surrogati. Questo secondo episodio per PSP fu il punto d’arrivo del rinascimento della serie, avviata dopo il controverso Fusion per PS2 e passando per Pure, arrivato su PSP nel suo primo anno di vita. Un ritorno alla purezza dei primi capitoli, al sinuoso flusso di velocità a sessanta quadri al secondo e aerofreni, capace di sospendere dalla realtà e dal terreno, in un’antigravitazionale brivido ludico che parte dalle mani per arrivare ai neuroni. La base di quello che diventò poi Wipeout HD+Fury, lanciando nuove modalità e un nuovo modo di intendere la carriera, più strutturato, complesso, vario grazie a nuove modalità, con un track design capace di guardare indietro senza riverenza, dando la spinta per creare nuovi iconici tracciati cui fondere la nostra memoria muscolare, per sempre lanciati a velocità Phantom, onorando un team immortale.

God of War: Ghost of Sparta

Come una lucciola in un barattolo, Ready At Down riuscì a catturare i prodigi tecnici e la brutale essenza della saga Santa Monica per rinchiuderli nei pochi centimetri di PSP, regalandole un’uscita di scena degna di una tragedia greca, in cui alla fine il deus ex machina si palesa per riversare la sua rabbia sui protagonisti. Nello stesso anno dell’avvendo del terzo capitolo numerato su PS3, 2010, Ghost of Sparta riuscì a riproporre in copia carbone tutto il sanguinario fascino ludo-estetico dei capitoli PS2, superando i limiti di Chains of Olympus e diventando, ad oggi e dopo aver provato sulla nostra pelle la glaciare aria norrena della nuova vita di Kratos, forse il capitolo old school più godibile e versatile di tutti, col pregio della portabilità senza alcun sacrificio in termini di spettacolarità, giocabilità, emoglobine. Un hack ‘n’ slash sporco, cattivo, sudato e inca**ato, dove il button mashing è la grancassa che da ritmo alle travolgenti performance sinfoniche della colonna sonora e ogni schivata è solo un attivo di vita in più concesso al nemici, rassegnati a subire il sadismo del fantasma di Sparta. Il miglior esponente del genere in ambito portatile fino al recente arrivo di Bayonetta su Switch.

Every Extend Extra

Qui si entra nel campo degli oggetti ludici di culto, semi-sconosciuti, unici, sperimentali. Every Extend Extra di Q? Entertainment è deflagrazione sonora, un seppuku esplosivo reiterato in un loop sinestesico, unico ed estremo mezzo per l’eliminazione a catena delle entità nemiche. Un viaggio nei timpani di Tetsuya Mizuguchi, qui fonte di ispirazione e autore della splendida colonna sonora, parte integrante dello scheletro ludico, una declinazione bidimensionale del suo Rez che inventa nuove regole, un nuovo genere, un puzzle/shoot ’em up in cui l’unica arma a disposizione del giocatore è il pulsante collegato all’autodistruzione della propria navicella. Trip acidissimo, ipnotico, meditativo, dove il concetto di combo viene santificato, “esteso”, mentre la mente del giocatore entra nel campo dell’ignoto, assolutamente impreparato eppure estasiato, incuriosito, magneticamente impossibilitato a lasciare la console. Questo è il tipo di opera che immagino girare sui coin-op delle sale giochi cyberpunk.

Patapon

Arrivati alla fine di questo viaggio in 10 tappe nel mondo racchiuso in un UMD, non si poteva lasciare fuori da questo piccolo compendium una delle opere più iconiche della ludoteca PSP. Patapon è la potenza divina espressa in tamburi, un grido di guerra intonatissimo, il fuoco sacro della battaglia e del patriottismo espresso in quattro quarti. Un popolo glorioso, abbattuto dalle mire espansionistiche degli Zigoton, pronto ad affidarsi alla carica divina dell’Onnipotente giocatore, luce guida e percussionista, autore di una colonna sonora che da impeto a una marcia devastante. Unire strategia e rhythm game sembra follia, assurdità, eppure la jam session Pyramid-Japan Studio compie il miracolo di creare un god game dai tratti unici, perennemente in controluce, testamento davanti ai miscredenti della potenza divina della creatività. “Pon-pon-pata-pon” è un mantra, inno nazionale di una cultura da proteggere e far progredire attraverso altri due capitoli, una Bibbia che ricorda a tutti l’importanza del giocatore, del senso del ritmo, della voglia di sperimentare nuovi approcci al medium. In Patapon è racchiusa l’anima di PSP e del videogioco stesso, forma d’arte che dipende dalle idee per espandersi, crescere, divertire in modi sempre ostinatamente diversi, capaci di tramutarsi in esperienze indimenticabili.

Stefano Calzati

Petrolhead di The Games Machine, cummenda di Gameromancer e tuttofare per il Tanzen. Scrivere di videogiochi per me è un atto d'amore dove il fattore emotivo batte quello tecnico.

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