La Sega che si propose come produttore di console negli anni ’80 era una software house vulcanica, un ricettacolo di talenti creativi, capace di sfornare un catalogo di giochi molto variegato e di grande qualità. Se non fosse stato così non sarebbe riuscita ad aprire alla concorrenza un mercato delle console casalinghe controllato da Nintendo con un colossale margine dell’80%, per di più gestito con il pugno d’acciaio e strategie volte al monopolio.
Oggigiorno infatti siamo abituati ad associare a Nintendo un’immagine di società amichevole e gioiosa, un pò per via delle sue mascotte solari, un pò per la simpatia dei suoi dirigenti, i quali si sono resi protagonisti di diversi siparietti pubblicitari davvero gustosi (basti pensare al famoso duello tra Iwata e Reggie in stile Smash Bros). Il lato corporativo per cui la grande N si distingueva in quel periodo però era spietato: sono famose le imposizioni in materia di censura agli sviluppatori (con casi eclatanti come Castlevania, Final Fight e Mortal Kombat), così come i diktat alle case di terze parti e ai negozianti. Chi voleva pubblicare un gioco third party su Nes doveva farlo in esclusiva, altrimenti niente. Chi voleva ricevere forniture ingenti di console Nintendo non doveva dare troppo spazio alle altre sui suoi scaffali (una condizione che oggi sarebbe bocciata da qualsiasi autorità antitrust). Una visione degli affari che culminò con la clamorosa rottura della collaborazione con Sony per lo sviluppo del lettore CD del Super Nintendo, spingendola a proseguire da sola e creare la prima PlayStation.
In uno scenario simile, tutt’altro che aperto all’ingresso della concorrenza e con colosso che deteneva da solo l’80% del traffico, dove non si poteva contare sull’aiuto della grande distribuzione e sul supporto delle terze parti più famose, a Sega rimaneva una sola arma per convincere il pubblico a comprare il Mega Drive: produrre titoli di alta qualità, tanti, coprendo più generi possibile per rimediare la temporanea assenza di multipiattaforma.
Il Master System era stato un buon terreno di prova, tuttavia era stato commercializzato tardi per insidiare l’ormai capillare diffusione del NES e dovette accontentarsi delle briciole. Nel 1989 esce quindi in Giappone il Mega Drive (Genesis in America), la console che riuscì nell’incredibile impresa di riaprire il mercato alla concorrenza laddove sembrava impenetrabile, ribaltando una percentuale che avrebbe scoraggiato qualunque investitore anche solo dal tentare un’operazione simile.
Inizialmente il catalogo del Mega Drive fu supportato con titoli derivati dall’esperienza di Sega nel panorama arcade. In questo si dimostra vitale l’apporto di Yu Suzuki, il quale aveva portato Sega ad essere la grande protagonista del circuito delle sale giochi, che all’epoca era l’equivalente della master race tecnologica con cui sono oggi visti i PC di fascia alta. Le prime conversioni da quel settore esercitarono infatti un grande traino in quanto offrivano agli utenti l’opportunità di giocare i titoli considerati più all’avanguardia comodamente a casa. Out Run e Super Hang On settarono i nuovi parametri dei giochi di corsa e proseguendo su questo filone ne verrà prodotto anche uno di Formula 1 usando il compianto Ayrton Senna come testimone. Data l’enorme popolarità del pilota, Sega coglierà l’occasione per proporsi come marchio pubblicitario nel mondo della Formula 1, iniziando a sdoganare il connubio tra sport e videogiochi, aggiungendo al semplice sfoggio del loro logo, anche una curiosa trovata pubblicitaria. Al vincitore del gran premio venne infatti assegnata una coppa dalle fattezze di Sonic, simboleggiando la somiglianza tra la velocità della Formula 1 e quella del porcospino.
Sul piano delle esclusive Sega però non dimenticò di produrre giochi pensati espressamente per il sistema casalingo.
La lista è davvero lunga e per quella rimandiamo ad una parziale classifica dei migliori (a questo indirizzo), limitandoci a qualche breve esempio in questa sede.
Prima di gettarsi a capofitto nella creazione di Sonic, Yuji Naka, Rieko Kodama e il resto della squadra che comporrà il Sonic Team, pubblicarono Phantasy Star 2, proponendo un’alternativa molto originale ai classici fantasy medievali come Final Fantasy e Dragon Quest. Phantasy Star infatti fu una delle prime (se non la prima in assoluto) ambientazione completamente fantascientifica per un JRPG e con diverse idee di trama e ambientazione che sarebbero poi diventate un cardine anche nelle produzione Squaresoft degli anni a venire.
L’arrivo di Sonic nel 1991 riesce a dare la spinta finale necessaria a far raggiungere un successo considerevole anche in occidente. Per tre anni di fila infatti il Genesis fu la console più venduta durante il periodo delle festività autunnali e invernali in America e in quegli stessi anni Sonic divenne il personaggio più conosciuto dai ragazzini statunitensi, superando Super Mario e persino Topolino nei sondaggi.
La base installata di Mega Drive crebbe quindi vertiginosamente e per case come Konami, Capcom o Electronic Arts diventava essenziale rivolgersi anche al nuovo pubblico, iniziando a produrre conversioni dei loro titoli più famosi (come Street Fighter 2 o FIFA), oppure altri pensati espressamente (come Castlevania Bloodlines). Anche la catena Toys’R’Us non poté più restare ferma e iniziò a dedicargli più spazio sui suoi scaffali.
Il supporto al 16bit Sega diventò completamente multipiattaforma e nonostante il Super Nintendo poteva contare su di un chipset grafico più performante, il concorrente riusciva a tenere il passo e rispondere con una gestione dell’audio più virtuosa. Di questo aspetto ne trarrà vantaggio Yuzo Koshiro, il quale firmerà le musiche di Streets or Rage, per poi confermarsi come uno dei compositori più famosi degli anni ’90 in campo videoludico. Recentemente diverse colonne sonore dei titoli curati da Koshiro sono infatti state ristampate in vinile per i collezionisti e sono tutt’ora tra i migliori esempi del cosiddetto “chip tune”, l’equivalente della pixel art per il sonoro.
Altri brillanti compositori che lavoravano presso Sega formarono persino una band chiamata S.S.T. (Sega Sound Team) che si esibì in concerti veri e propri, portando dal vivo i temi musicali riarrangiati dei loro giochi e riscuotendo un certo successo.
Sul fronte hardware nel corso degli anni sono state prodotte diverse revisioni della console, alcune delle quali si sono limitate ad una ottimizzazione dei componenti e della scocca esterna, cambiando l’aspetto estetico per renderlo più compatto, al pari di come oggi è prassi. Il Mega Drive ha però sperimentato anche il concetto di hardware scalabile attraverso periferiche esterne. La più famosa è sicuramente il Mega CD, la quale assieme all’omologo lettore ottico del Pc Engine (popolarissimo in Giappone, ma molto poco diffuso in occidente), fu la prima periferica videoludica a supportare i CD-ROM. A causa del prezzo elevato questo dispositivo rimase confinato ad un pubblico di nicchia. Tuttavia la ludoteca del Mega-CD poteva vantare diverse piccole perle, dimostrando che erano possibili conversioni fedeli persino dei titoli arcade o PC, apparentemente irraggiungibili per i 16bit che iniziavano a mostrare i loro limiti tecnici.
Quella di Monkey Island fu difatti l’unica conversione che sia mai arrivata su console in quasi venti anni, contando dalla prima pubblicazione su Dos (del 1990) sino al rifacimento giunto su Playstation 3 e Xbox 360 nel 2009.
Lo stesso seguito di Another World, titolo che ha influenzato svariati autori, tra cui Hideo Kojima, David Cage e tanti altri, giunse in esclusiva su Mega-CD, venendo considerato un miglioramento del già ottimo predecessore. E a proposito di Kojima, prima che diventasse famoso per Metal Gear Solid, il suo Snatcher lasciava già impressionati gli amanti della fantascienza con un’avventura alla Blade Runner ricca di colpi di scena, pubblicato in Occidente solo su questa periferica.
Final Fight CD faceva sognare con un raro esempio di conversione arcade perfect rispetto ad un cabinato, con anzi, persino un comparto audio migliorato. Ma anche qui bisogna delegare alla classifica dei migliori giochi, per non divagare. Molti titoli inoltre potevano vantare scene interamente animate (come in Spiderman vs Kingpin, Lunar the Silver Star o veri pezzi di cartone per Adventures of Batman&Robin ), così come sequenze in Full Motion Video con attori reali, entrambe improponibili su di un normale hardware a 16bit. Le musiche inoltre raggiungevano livelli di alta fedeltà, grazie ai compact disc che di lì a poco sarebbero diventati il supporto di riferimento anche per l’industria discografica mondiale.
Il Mega-CD quindi aveva tecnicamente molto da offrire, ma non raggiunse una particolare diffusione per via del prezzo elevato e per il fatto che il mercato dei videogiochi non era ancora così “consumistico” da portare la sua giovane utenza a spendere cifre così elevate. L’età media dei videogiocatori all’epoca era rigorosamente under 30, di cui la maggior parte facilmente minorenni e con bassa disponibilità economica, costretti quindi a concentrare le proprie spese su di una sola console e il resto sui giochi, piuttosto che su periferiche aggiuntive, magari ghiotte, ma pur sempre accessorie.
Le cose andarono invece diversamente per il 32X, il quale si poneva come obiettivo quello di far diventare il Mega Drive una console mid gen portandolo a far girare i titoli completamente tridimensionali che erano la grande innovazione tecnologica delle console 3D come il Saturn e la PlayStation. Alla pubblicazione del 32X però entrambi i sistemi next gen erano già presenti sulla piazza e monopolizzavano l’attenzione del pubblico, pertanto chi voleva provare le novità più eclatanti si dirigeva direttamente su questi due.
La differenza tra il Mega Cd e il 32X fu quella che il primo, per quando era uscito, offriva effettivamente qualcosa di avveniristico rispetto la concorrenza, riuscendo a guadagnarsi comunque una sua nicchia nonostante il prezzo elevato, mentre il secondo non faceva nulla che già non facessero le nuove console di riferimento. La diffusione del 32X difatti fu estremamente ridotta, portando ad un limitato numero di giochi e conversioni e ad una sua rapida uscita di scena.
Questa voglia di sperimentare di Sega però non era limitata solo all’hardware e bisogna riconoscere che alcune idee erano forse troppo avanti con i tempi e in anticipo rispetto al mercato, ma con gli anni si sono rivelate corrette. Un esempio è il Mega Modem e il servizio MegaNet. Due nomi totalmente sconosciuti ai più qui in occidente, tuttavia chiaro esempio di come Sega immaginò letteralmente in anticipo di un decennio alcune possibili svolte che oggi diamo per scontate: la connettività ad internet delle console e il servizio di distribuzione digitale. In Giappone infatti era possibile sottoscrivere un abbonamento e poter scaricare alcuni giochi mensilmente sulla propria console.
Questa combo inoltre era sfruttata anche per consentire i primissimi esempi di gioco online su console, inizialmente limitati a giochi sportivi come il baseball, lo sportivo futuristico Cyberball, uno strategico ambientato durante la seconda guerra mondiale, o dei puzzle game a tema Mahjong. Per vedere altri tentativi di distribuzione digitale in questa direzione bisogna aspettare il 1994 con Sega Channel o il 1995 per Satellaview del Super Nintendo. Ed entrambi furono estremamente limitati laddove le tecnologie di connessione satellitare o internet erano presenti, come appunto in Giappone o America.
Lo stesso concetto di retrocompatibilità non venne sottovalutato: grazie ad un convertitore che poteva essere alloggiato al posto di una normale cartuccia, i titoli del Master System erano perfettamente giocabili anche su Mega Drive.
Ricapitolando: supporto su dischi, gioco online, distribuzione digitale, retrocompatibilità.
Tutte queste cose sono ormai realtà consolidata nel 2018, ma nel 1990 erano letteralmente l’opera di un pioniere alla scoperta della nuova frontiera. Alcuni esperimenti come il 32X furono dei passi falsi, altri furono buoni ma commercializzati male o troppo in anticipo, come il Mega-CD, tuttavia bisogna riconoscere che la Sega di quegli anni era davvero eclettica e innovativa e con le sue sperimentazioni gettò le basi di aspetti che oggi sono pilastri imprescindibili del mercato videoludico moderno. In un certo senso quindi il Mega Drive è una console seminale dato che oltre al suo catalogo di giochi, vi si può trovare tutto ciò che è divenuto essenziale nell’industria dei successivi venticinque anni.
Scheda Tecnica
CPU:
Principale: Motorola 68000 a 7,67 MHz (7,61 MHz nella versione PAL)
Sonoro: Zilog Z80 a 3,51 MHz, usato per compatibilità con Sega Mark III
ROM: 2 kB
RAM: 64 kB per MC68000, 8 kB per Z80
VRAM: 64 kB
Video Display Processor: Yamaha YM7101
Fino a 80 sprite su schermo
64 colori simultanei da una tavolozza di 512 colori
Risoluzioni supportate: 256×224, 256×448, 320×224, 320×448
Sonoro: Yamaha YM2612 a 6 canali stereo FM
generatore sonoro programmabile (PSG) Texas Instruments SN76489 a 4 canali, di cui uno usato per compatibilità con SG-1000 e Sega Mark III[7]
Porte: 1 slot per cartucce
2 porte per gamepad
1 porta espansione
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