Una coinvolgente avventura rimodellata sugli schemi del celebre classico della letteratura cinese Viaggio in occidente* in un setting post-apocalittico. Queste parole inquadrano in breve ciò che Enslaved Odyssey to the West è.
Il titolo si fa apprezzare fin da subito con sezioni degne di un film, caratterizzate da un netto taglio cinematografico. Può vantare un ricco comparto tecnico, supportato da ottime animazioni grazie all’utilizzo del motion capture; tecnologia già sperimentata dai creatori con risultati sorprendenti in Heavenly Sword.
Il gameplay action è semplice ed efficace, ma poco vario e legato all’utilizzo del bastone estensibile nei combattimenti corpo a corpo e a distanza. Dei primi è bene ricordare il feeling realistico dell’impatto contro le rigide ferraglie dei nemici. Un po’ di stacco è offerto dalle poche sessioni di inseguimento o esplorazione in sella alla nuvola antigravità. Le fasi platform fanno solo da contorno e non offrono alcunché di veramente memorabile.
La storia è interamente basata sull’evoluzione del rapporto tra Monkey e Trip, che distaccandosi dalle più classiche love story, cresce capitolo dopo capitolo. Da una parte il fortissimo e solitario combattente e dall’altra l’attraente, tecnologica, attraente e abile ragazza. Il loro cammino è stato inoltre definito da molti come uno dei più romantici all’interno del panorama videoludico.
Insieme per sfuggire alla minaccia dei Mech: pericolosi robot programmati per portare a termine l’eliminazione dell’umanità, ormai quasi completamente estinta.
Proprio per questo motivo i veri personaggi dell’avventura si possono contare sulle dita. Si sarebbe potuto ritagliare il giusto spazio per ulteriori eroi superstiti senza forzare la trama. D’altra parte ciò rafforza il forte senso di desolazione e rovina alla base di tutto.
Il titolo regalava uno dei migliori impatti visivi dei suoi anni. Per il dettaglio dei protagonisti e l’ispirato design di Mech e boss, oltre al fascino dei verdi e vasti paesaggi decadenti, impreziositi da curati effetti di luce e particellari.
Essendo ancora apprezzabile a 720p, il gioco che uscì in origine su PlayStation 3 e Xbox 360 presenta dei forti cali di frame rate. Facendo ulteriore fatica sulla console di Sony per via del marcato tearing dovuto all’assenza di sincronia verticale. Ricordiamo bene i tempi duri per il CELL**.
L’esperienza offre anche un minimo di rigiocabilità impegnandoci nella ricerca di oggetti, come maschere di luce e tecnosfere. Proprio queste mi hanno impegnato per diversi giorni per raggiungere il tanto agognato trofeo platino. Pensate un po’, a sette anni di distanza dall’inizio del viaggio.
In definitiva Ensalved fu uno dei titoli più interessanti del 2010. Grazie ad esso Ninja Theory si confermò una delle migliori software house nel campo tecnico e registico, dopo il già ottimo Heavenly Sword. Non rivoluzionando nulla, ma lasciando un proprio chiaro segno.
Inizialmente era previsto un seguito dell’opera, ma le vendite sotto le aspettative*** del primo capitolo impedirono al team di portare avanti il progetto. Resiste tuttavia una debole speranza, in me e in pochi altri fan memori, per un degno sequel di questa avventura.
Per chi non lo sapesse il gioco è disponibile anche su Steam dove chiaramente offre un’esperienza ancora migliore a un prezzo contenuto.
*La stessa fonte di ispirazione di Dragon Ball.
**La storica e discussa CPU di PlayStation 3, tanto potente quanto difficile da gestire.
***A un anno dall’uscita il gioco riuscì a vendere solo 750.000 copie.
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Che gran bel gioco che era.. peccato non abbia avuto successo
Concordo con Lukyno18. Un vero peccato
Esatto, solo le vendite hanno impedito lo sviluppo del seguito, che era già in programma.
Io continuo a pensare che loro siano molto bravi a creare grandi storie, atmosfere e personaggi ma deficitino dal punto di vista del gameplay. Sensazione che ho pensando anche a heavenly sword e hellblade. Il gioco lo ricordo piacevolmente ma non lo ritengo un must have.
Davvero un peccato per i vari gameplay, apparsi a sprazzi un po' ingessati. Tuttavia le storie e le ambientazioni erano così curate che facevano sorvolare sugli aspetti più deboli.