Con la nuova generazione di console ormai avviata, tutti i giocatori del mondo sono in trepidante attesa di vedere quali meraviglie artistiche e tecnologiche PlayStation 5 e Xbox Series X porteranno nelle nostre case nei prossimi anni. Tuttavia, creare nuovi videogiochi da zero è un processo lungo e faticoso, come abbiamo potuto constatare nei sette anni di sviluppo conclusi con il rilascio tumultuoso di Cyberpunk 2077, ed è proprio per questo che spesso publisher e sviluppatori amano sempre più spesso riesumare videogiochi passati per rimetterli sul mercato dopo una spolverata più o meno consistente. Remake, reboot, remaster o porting sono i termini che, spesso confusionariamente, indicano queste operazioni: in questo nuovo episodio di ArtCafé scopriamo quali sono le migliori uscite finora!
Non essendoci una vera e propria definizione, perfino sviluppatori e publisher spesso bollano i proprio prodotti con alcune di queste nomenclature in maniera più o meno precisa. Cercando di fare un po’ di ordine tuttavia, sono definite remaster delle operazioni di porting di videogiochi su piattaforme tipicamente superiori a quelle dell’uscita originale. Remaster, termine di derivazione discografica, indica appunto una rimasterizzazione degli asset del titolo, senza un totale rifacimento, ma con evidenti upgrade tipicamente nella forma di migliore risoluzione e/o frame rate. Le versioni remaster sono quindi solitamente fedeli all’impianto tecnico ed artistico del prodotto originario, non andandone ad intaccare le scelte originali. La trilogia di Uncharted per PlayStation 3 è stata ad esempio riproposta su PlayStation 4 con un boost di risoluzione e frame rate allo stesso tempo andando quindi a proporre il pacchetto definitivo per l’apprezzamento dei titoli. Guardando invece in casa Microsoft, negli ultimi anni gli ingegneri di Redmond si sono occupati di un lodevole lavoro di ottimizzazione semi-automatica dei titoli passati sulle nuove piattaforme. Un obiettivo di cui hanno beneficiato giochi come Halo 5: Guardians su Xbox One X che ha visto un aumento di risoluzione assolutamente incredibile, dai 900p originali ai 4K nativi, che dona nuova linfa a texture, modellazione ed ombreggiature senza particolari interventi da parte degli sviluppatori.
Ogni titolo bilancia il vecchio con il nuovo in percentuali diverse
Tornando però alle definizioni, solitamente si indicano come porting sono operazioni di rilascio di un titolo su piattaforme più o meno comparabili a quella della release originale. Di tutta altra pasta sono i reboot, operazioni che prendono alcuni temi e valori di un titolo e li stravolgono completamente con il fine di far ripartire una serie. In ultimo, un remake è solitamente un titolo che, come il reboot, stravolge buona parte del lavoro originale ma ne mantiene più fedelmente altre parti. La maggior parte dei titoli che prenderemo in esame in questo articolo appartengono a quest’ultima categoria.
Tra i protagonisti delle release videoludiche del primo 2020, Final Fantasy 7 Remake è stato per anni una sorta di sacro Graal videoludico: desiderato, ambito ed infine rilasciato tra lo stupore di tutti per il suo effettivo ottimo livello di qualità. A cavallo tra un Remake ed un Reboot, nonostante il titolo apparentemente chiarificatore, il nuovo figlio di Tetsuya Nomura è tra i lavori di ricostruzione di un videogioco del passato più esaltanti mai visti. Con una maestria straordinaria, Square Enix è infatti riuscita nel difficile compito di recuperare in maniera perfetta le aspirazioni artistiche del team originale del 1997 ricostruendo Midgard, Cloud e tutti i suoi compagni con un motore grafico all’avanguardia e mantenendo il look delle concept art originali. Il risultato è un impianto artistico unico: modelli fortemente stilizzati, con proporzioni esagerate, architetture impressionanti ma non impossibili, ed un sapore cyberpunk estremamente giapponese che non è possibile assaporare altrove. Combattere all’interno degli impianti Shinra illuminati dal bagliore azzurro-verdastro del Mako è un sogno lucido per chiunque abbia provato il gioco originale su PlayStation e la consapevolezza di nuovi capitoli in arrivo sulle console next-gen non fa che accrescere la voglia di esplorare ogni angolo di questa nostalgica ma contemporanea versione di Midgard.
Chi scrive ha passato l’intera infanzia con Crash e Spyro sulla prima grigia PlayStation e, nonostante l’età non mi permise al tempo di apprezzare pienamente giochi come Resident Evil e Final Fantasy 7, le due bizzarre creature Naughty Dog e Insomniac furono pane per i miei denti così come per quelli di qualsiasi bambino degli anni ’90. Toys for Bob e Vicarious Vision, due sviluppatori fino ad allora considerati di seconda scelta nel gruppo di Activision, hanno saputo invece compiere il proprio salto di qualità rilasciando queste due collezioni di tre titoli ciascuna, ricostruiti con grandissima cura e amore per il materiale originale. I modelli poligonali sprizzano di rinnovate animazioni mentre le ambientazioni si riempiono di dettagli che ne acuiscono il feeling magico da cartone animato. Specialmente in Spyro è stato compiuto un lavoro eccezionale di recupero di concept art che non erano state convertite in vero materiale per il gioco rinnovando non solo il lato tecnico ma anche artistico del pacchetto. Luci, colori brillanti e due colonne sonore che rimarranno fossilizzate per sempre nei cervelli di ogni bambino sono poi il materiale che è stato alla base di Crash Bandicoot 4: It’s About Time, il nuovo capitolo che ha perfezionato ancor di più il lavoro svolto nei due remake.
Ricreare l’impianto artistico di un titolo che si presenta sostanzialmente come una manciata di pixel in bianco e nero è di fatto un lavoro di riedizione totale. Menomale quindi che uno studio con ormai molta esperienza sulla serie The Legend of Zelda come Grezzo si sia lanciato in un completo rifacimento di tutto il gioco seguendo uno stile grafico innovativo perfino per la lunga storia della serie. Link’s Awakening su Nintendo Switch approfitta dell’atmosfera onirica del titolo per rivestirlo con una veste da giocattolino gachapon giapponese. Plasticoso, riflettente e materico, questo remake è quindi dotato di uno stile artistico che giustamente rompe totalmente i legami con quello originale e così facendo brilla di nuova personalità che non tradisce gli intenti di vent’anni orsono. Proprio questo è un delicato bilanciamento a cui tutte i remake dovrebbero ambire, ovvero il realizzare la visione artistica originale con gli strumenti odierni. Un’ambizione tutt’altro che scontata, e che anche nella stessa serie The Legend of Zelda non è sempre stata rispettata, come nel caso della versione HD su Wii U di Wind Waker.
Probabilmente uno dei pacchetti più completi mai rilasciati, Halo: The Master Chief Collection è una strabiliante raccolta dei titoli principali che hanno reso grande ed iconico il franchise di punta di casa Microsoft. I primi due giochi, Halo: Combat Evolved e Halo 2, hanno inoltre ricevuto un rifacimento grafico totale e, senza alterare lo spirito artistico originale, gli sviluppatori di 343 Industries hanno potenziato ogni singolo aspetto, donano nuova vita ai due capolavori Bungie. La killer feature è poi la possibilità di tornare in qualsiasi momento alla versione originale per Xbox per poter comparare ed apprezzare sia il lavoro moderno che quello autentico. Qualche fan al rilascio storse il naso di fronte ad alcuni livelli in cui la palette cromatica è forse stata alterata troppo, ma è innegabile quanto invece il lavoro sulle cutscenes pre-rendereizzate di Halo 2 sia da annoverare tra i migliori mai visti in ambito videoludico. Difficile inoltre lamentarsi per la mancata rilavorazione dei titoli successivi ai primi due, che hanno ricevuto “solamente” un boost di risoluzione e frame rate per un risultato comunque assolutamente soddisfacente anche sulle console attuali. Insomma, più che una singola remaster in questo caso si può parlare di una vera opera magna contenente l’intera storia di un franchise.
Altro recente lavoro di rifacimento totale tecnico ed artistico di un gioco ormai davvero attempato è l’incredibile restaurazione di Mafia di Illusion Softworks (poi rinominata 2K Czech ed infine definitivamente defunta nel 2011) ad opera di Hangar 13, i nuovi capitani della serie. Oltre al completo rifacimento di ogni singolo modello dell’intera città e personaggi, questo remake stupisce per delle tecniche di illuminazione assolutamente all’avanguardia e che vanno a proporre su console old-gen una sorta di ray tracing via software che non farebbe brutta figura nemmeno su PlayStation 5 e Xbox Series X/S. La città di Lost Heaven respira così una nuova aria con nuovi dettagli che arricchiscono la versione originale e un impianto di illuminazione completamente rinnovato che dona atmosfera e carattere ad ogni angolo. Il voice-over completamente riregistrato permette una sincronia labiale precisa e senza le ovvie imprecisioni del tempo, in un videogioco che fa della sua storia uno dei punti cardine. Il gioco in se rimane comunque piuttosto attempato, ma questa riedizione lo rende tutt’oggi un grande lavoro di ricerca storia di un particolare periodo passato.
Affini, nelle intenzioni, al grande progetto di remake di Final Fantasy VII, i due episodi della storica serie horror Capcom hanno visto negli ultimi anni il rilascio di versioni completamente ripensate e ridisegnate seguendo standard odierni ed imparando da tutto ciò che gli sviluppatori hanno evoluto nella lunga vita del franchise partorito da Shinji Mikami nel 1996. Dal cambio completo di telecamera a modifiche più o meno pesanti della progressione e approccio alle meccaniche, entrambi i titoli hanno mantenuto il cuore degli originali solo per quanto riguarda un set di valori chiave del gameplay e della trama. La scarsità di munizioni, il senso di rischio impellente e la claustrofobia delle ambientazioni sono le caratteristiche che sono rimaste. Ciò che invece è stato abbandonato sono i fondali pre-renderizzati, i suoni compressi e i modelli poligonali estremamente semplificati dell’era PlayStation 1, in favore di una nuova veste realizzata con il RE Engine assolutamente magnifica. Gli zombie sono francamente orridi, così come avrebbero dovuto sempre essere, e le ambientazioni notturne sono realmente buie e difficile da esplorare con le poche fonti di luce a disposizione. L’assurdità delle creature presenti e perfino della caratterizzazione dei protagonisti, dona al look dei titoli quel feeling squisitamente giapponese che per fortuna ha oggi smesso di cadere nelle trappole visive e di gameplay di titoli come Resident Evil 5.
Opera della maturità per Bluepoint Games, Shadow of the Colossus per PlayStation 4 riprende quello che su PlayStation 2 fu una delle più importanti pietre miliari del medium videoludico. La sua capacità di generare mistero intorno al mondo da esplorare, le creature da combattere e l’impossibilità di comprendere il vero scopo fino alla fine del titolo sono tutte caratteristiche che ancora oggi possono fare da lezione a tanti open world. La maestria visionaria del team di Fumito Ueda del 2006 è stata ricreate dagli artisti di Bluepoing Games con grande rispetto del materiale originario ed un motore grafico che ha permesso un salto tecnico eccezionale. Dalla ricchezza delle texture dell’ambiente naturale alla luce eterea che racchiude ogni angolo del mondo, fino ai dettagli dei colossi e alla loro animazioni completamente rilavorate, Shadow of the Colossus è il perfetto esempio di un gioco che appare oggi come ce lo saremmo immaginati al tempo. Una UI estremamente semplice e minimale accompagna ancora il gioco senza dare troppe indicazioni, mentre una modalità a 60fps risolve lo storico difetto del frame rate dell’originale PS2, al tempo un gioco tecnicamente troppo ambizioso per il monolite Sony.
Rimaniamo in casa Bluepoint Games ed affrontiamo, in conclusione, il più recente ed impressionante dei remake analizzati. Demon’s Souls per PlayStation 5 riprende l’ispirato lavoro artistico, purtroppo realizzato al tempo con poca maestria tecnica da From Software e Sony Japan Studio su PlayStation 3, e lo catapulta sulla nuova piattaforma Sony con un impianto tecnico da urlo. L’environment design originale esplode in una moltitudine esaltante di dettagli e minuzie degne dei migliori scultori digitali, mentre l’illuminazione dinamica e la gestione dei colori ricevono una spinta di dinamicità, spettro e ricercatezza inedite non solo per Demon’s Souls ma anche per il mondo videoludico in generale. Lanciare una magia nelle miniere abbandonate e vedere i muri debolmente illuminati del rosso della lava risplendere improvvisamente della luce blu delle soul arrow è un effetto che lascia strabiliati ancora dopo molte ore di gioco. Il raddoppio del frame rate originale dona inoltre un immediato e percepibile miglioramento al feeling del gameplay che diventa più reattivo e preciso pur mantenendo perfettamente intatta ogni hitbox e timing della animazioni del titolo PS3. Insomma, sarà forse facile a dirsi data la gioventù del prodotto, ma Demon’s Souls per PlayStation 5 è il miglior lavoro di remake mai visto finora.
Diteci la vostra nei commenti! Qual’è stato il vostro remake preferito? E quale pensate sia il migliore artisticamente parlando?
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