Editoriale

Naufragar m’è dolce in questo mare.. di backlog

C’è una presenza che ci sta costantemente al fianco, che ci segue ovunque andiamo e che probabilmente non ci lascerà mai. Non preoccupatevi (troppo), non mi riferisco al terrificante squalo anfibio di Junji Ito ma a qualcosa che sotto certi punti di vista è persino peggiore: il backlog, quello che Dexter Morgan definirebbe l’oscuro passeggero fatto dei tanti, troppi film, libri e videogiochi che ci ostiniamo ad abbandonare sulla mensola a prender polvere giurandoci che un giorno li installeremo.

Oggi abbandoniamo questo senso di claustrofobia (che inevitabilmente ci porterà a diventare accumulatori seriali ed a finire nella prossima stagione di Sepolti in Casa), perché voglio provare a darvi una prospettiva diversa sul backlog e sul rapporto che abbiamo con i tanti giochi in sospeso, ma se non volete ammettere di avere un problema di accumulo, o siete degli inguaribili ottimisti, chi sono io per fermarvi? D’altronde il web è zeppo di guide per aiutarci ad organizzare il backlog ed affrontarlo in maniera sistematica, ma il punto è questo: perché dovremmo rinunciare a quella massa di cianfrusaglie scelte proprio da noi? Continuate la lettura e cercherò di darvi un punto di vista diverso.

Non mi soffermerò troppo sul perché compriamo molto più di quanto riusciremo mai a giocare, che se vogliamo è un discorso che rientra in un’ottica pertinente alla società consumistica nella quale viviamo, bensì dare una prospettiva quasi filosofica alla nostra percezione del tempo mentre vaghiamo nella miriade di video e retro-games che scegliamo di giocare. In sostanza quando ci “perdiamo” nel recupero dei giochi che abbiamo accumulato, secondo un qualsiasi criterio, è come se cambiasse la percezione non solo dell’esperienza che proviamo ma del tempo stesso.

Discorso troppo vago? Mettiamola così: esistono idealmente due tipi di videogiocatori, quelli che riescono a tenersi al passo con le uscite recenti preordinando i titoli del momento (idealmente i critici videoludici, o chi ha molto tempo libero) e chi invece preferisce aspettare i saldi su Steam, fare l’abbonamento ad una piattaforma on-demand (Google Stadia, Xbox Game Pass, PSNow) o che non riesce più a scollegare la propria carta di credito dall’Humble Bundle. Ora, queste due categorie sono per forza di cose degli estremi, perché in pochissimi riescono a giocare tutte le ultime uscite ed altrettanto in pochi non comprano neanche un gioco al day one.

Nerfnow.com illustra efficacemente i tre step dell’accumulatore di backlog:
Buoni propositi – Immancabili promozioni irripetibili – Realizzare di essere un caso disperato.
[Ora ripetete il processo all’inifinito]

Dove voglio arrivare? Tra queste due macro categorie esistono delle ovvie differenze, una delle quali è la percezione del tempo. In questi giorni l’uscita di Death Stranding sta catalizzando il mondo dei social, con migliaia e migliaia di giocatori in tutta Italia che stanno portando pacchi a destra e a manca cercando di rispondere all’annosa questione: Kojima è un genio o un sopravvalutato? Se avete un account Facebook o Twitter avrete sicuramente letto decine e decine di post riguardanti il gioco, con praticamente ogni vostro contatto intento a difendere/attaccare Death Stranding.

C’è però una (più o meno) silenziosa minoranza di persone che non ci stanno giocando, vuoi perché non posseggono una PlayStation 4, vuoi perché aspettano un ribasso. Queste persone (tra cui il sottoscritto, che aspetta l’uscita su PC) sono idealmente tagliate fuori dalle chiacchiere che coinvolgono milioni di persone sui vari forum e social, relegandole ad una sorta di atemporalità dettata dal fatto che non sono inseriti nel discorso del momento. Il fatto di giocare qualcosa di non attuale, che magari ha più di qualche anno sul groppone, inserisce questi videogiocatori in una sorta di vuoto spaziale in un cosmo di videogiochi non più sulla cresta dell’onda da vivere in maniera più intima e soggettiva, senza provare le sensazioni scaturite dal confronto continuo che si possono avere giocando un videogame appena uscito. Questo discorso va a braccetto con il retrogaming, ma non solo.

Ed ecco il nodo della questione, il tempo e la percezione che si ha giocando titoli non più nuovi, non più chiacchierati. Questo discorso si riferisce alla mia personale sensazione di smarrimento, non è una regola che accomuna tutti i videogiocatori, ma è uno smarrimento positivo, bello, in cui sentirsi calati nella dimensione del videogioco a cui stiamo giocando come se le “interferenze” esterne non potessero disturbare. Da qui la frase leopardiana dell’ossimorico (cioè due termini vicini con valore contrastante) «naufragar m’è dolce», perché smarrendoci tra le decine se non centinaia di titoli che abbiamo accumulato (il «mare», per l’appunto) un giorno senza una logica precisa ne giochiamo uno e decidiamo di salvarlo dalle maglie dell’oblio, dalla dimenticanza, e viviamo quell’esperienza particolare totalmente slegata dal tempo (perché magari il thread Reddit è ormai vuoto, o nella sezione discussioni di Steam nessuno risponde più) vivendo quel gioco quasi come fossimo degli Indiana Jones che riscoprono un antico tesoro rimasto nascosto per secoli.

Il secondo manoscritto de “L’infinito” di Giacomo Leopardi che contiene il famoso verso da cui è tratto il titolo. Con «naufragar m’è dolce in questo mare» il poeta si riferisce al verso precedente che rimanda ad uno smarrimento mentale nel mare dei propri pensieri calati nell’infinito.

Questa sensazione è particolarmente forte quando ci immergiamo in un mondo modellato per essere vissuto, e non solo per fare da cornice alla trama. Mi riferisco alla differenza tra open world  ed i giochi a livelli, lineari, per cui i primi si prestano molto meglio a questo stato mentale. Recuperare un Risen 3: Titan Lords a distanza di cinque anni dalla pubblicazione e vivere le dinamiche dei mari del Sud assecondando quell’esperienza solitaria dettata dal fatto che praticamente nessuno al mondo lo sta giocando e che tutti sono concentrati sui vari Assassin’s Creed e tripla A di turno, ci costringe ad un’immersione ancora più forte all’interno del gioco il che ci porta a viverlo più approfonditamente. Nonostante i mille e più difetti del titolo Piranha Bytes, a volte ancora mi chiedo perché ho scelto di installarlo dopo averlo avuto su Steam per anni, ho trascorso settanta e più ore sulla Baia dei granchi cercando di sviscerare ogni segreto del gioco, e questo anche perché avevo la sensazione di provare un qualcosa di diverso rispetto a qualsiasi altro giocatore al momento.

Le dinamiche tempo-backlog si fanno ancora più curiose quando compiamo dei salti temporali forti tra un gioco e l’altro, nel mio caso quando questa estate sono passato da Risen al fantastico Vampyr di Dontnod (ad un anno dal lancio) grazie al Game Pass. Il passaggio dal tema piratesco a quello vittoriano è già forte di suo, contiamo anche la distanza temporale delle due pubblicazioni: 2014 e 2018, uno a cavallo tra la generazione PlayStation 3/PlayStation 4 e l’altro sul finire di quella attuale. Compiere questi salti anche tecnologici acuisce la sensazione di “viaggio nel tempo”, passatemi il termine, aumentando lo stupore che si prova dal passare da un’opera all’altra tramite mondi diversi. Il backlog in fin dei conti è proprio questo, un contenitore di emozioni e sensazioni regolato dal nostro gusto personale in cui possiamo perderci creando una nostra nozione di spazio e tempo, non un accumulo indiscriminato di cose alla quale non giocheremo mai.

La smania di accumulo è sempre dietro l’angolo, persino mentre vi scrivo del mio impressionante backlog: due indie che puntavo da tempo ad un prezzo irrisorio con l’aggiunta della cifra sbarrata sul prezzo pieno, col sito che mi sbatte sotto al naso il mastodontico (rispetto al prezzo di listino) risparmio.

Il bello del backlog è che spesso è imprevedibile, cioè accumuliamo videogiochi che in condizioni normali snobberemmo. Questo succede soprattutto ai giocatori PC, che tra bundle e sconti vari finiscono per recuperare fior di indie a 1-3-5€ aumentando a dismisura la propria libreria, ma è un discorso valido anche per i giocatori di One, PS4 e Switch (per non parlare di chi gioca su console di generazioni passate) particolarmente attivi nella compravendita dell’usato o che si sono imbattuti nei mitologici scatoloni degli sconti di qualche grossa catena che liquida la qualunque a prezzi stracciati.

La lista dei miei giochi (e mi fermo ai soli videogiochi) ammonta a circa trecentonovanta titoli su Steam più una ottantina spalmati tra Origins, Epic Games Store, Uplay, GOG eccetera eccetera, un numero enorme che verosimilmente non completerò mai e poi mai e che aumenta letteralmente ogni minuto (nuova carrellata di indie sul sito Fanatical, nello screenshot qui sopra potete apprezzare gli ultimi arrivi sul mio scaffale virtuale: il power ranger simulator Chroma Squad ed il f******ssimo Pony Island di Daniel Mullins), se poi ci si mette persino GameStop a “regalare” giochi PC a due e cinque euro, allora significa che proprio non c’è speranza. Di questi quasi cinquecento titoli ne avrò giocati un numero ampiamente sotto ai duecento, contando anche quelli provati e poi disinstallati, che nell’arco di sette anni (cioè da quando ho assemblato il mio primo PC da gaming) fanno circa trenta giocati ogni settanta acquistati, in pratica meno della metà.

Realizzare che verosimilmente non giocherò mai tutti i titoli compresi nella mia libreria mi mette una certa tristezza, ma nonostante io sia a tutti gli effetti un accumulatore seriale (della gentaglia come me ne ha parlato il nostro Claudio Albero nella sua rubrica Il giocatore tipo) il pensiero di perdermi in questo oceano di videogiochi a mia disposizione mi fa sentire davvero un naufrago felice, e mi perdoni Leopardi se ho scomodato i suoi immortali versi per parlare della mia sindrome da accumulo, ma dopo tutto questo chiacchierare di Death Stranding ed arte mi è sembrato opportuno. E voi che rapporto avete col vostro backlog? Vi sentite anche voi viaggiatori del tempo o pensate solo ad accorciare la lista quanto più potete? Fatecelo sapere nei commenti!

Giuseppe Pirozzi

Napoletano sui 25. Studente di lettere, giornalista pubblicista, racconto la Campania ma di professione faccio l'accumulatore seriale di libri, fumetti e videogiochi.

View Comments

  • Io tra titoli digitali e titoli fisici (addirittura ancora incellophanati) ho ancora tantissima roba da finire.
    E' come se facessi a gare con i giochi!
    non faccio in tempo a finirne uno che gia ne esce un atro.
    Per non parlare poi delle altre piattaforme: pc, xbox, console portatili, e ps4 (la mia cosole preferita).
    Proprio con quest'ultima vado ad accumolare tantissimi giochi che ogni mese regala il playstation plus,
    non riuscendo nemmeno ad iniziarli, figuriamoci finirli (a meno che un titolo non mi piace forte).
    Io personalmente sono arrivato ad una conclusione:
    Non mi importa di quanti titoli accumolerò, o se non riesco a stargli dietro e finirli tutti;
    mi giocherò solo quelli che mi attirano maggiormente! lasciando gli altri al loro triste destino di prendere polvere sullo scaffale nell'attesa (magari un giorno) di essere spolverati come u grandissimo e prezioso tesoro.😄

    • E' una visione un po' rassegnata ma che cerca di guardare il bicchiere mezzo pieno, quindi mi piace! Anche perché bello scoprire di avere una vera e propria perla nella propria libreria e magari giocarci quasi per caso 😁

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