Il clamoroso rinvio di Starfield e Redfall da parte di Bethesda è solo l’ultimo di una lunga serie di ritardi che gli sviluppatori di tutto il mondo hanno accumulato rispetto alle date di uscita promesse. Non si può neanche parlare di un fenomeno legato alla pandemia, alla guerra o alle dimensioni dei giochi delle nuove generazioni di console, che richiedono tempi di lavorazione sempre più lunghi e fasi di test complesse, perché gli spostamenti delle date di lancio erano un fatto comune anche negli anni passati. Ormai la community dei videogiocatori si è abituata, anche se episodi particolarmente significativi riaccendono periodicamente lo sconforto e/o la derisione.
Analizzare in modo serio e oggettivo la questione non è facile, per questo di recente abbiamo pubblicato un articolo con 5 Domande a Microsoft, relative al rinvio di Starfield. Di sicuro il coinvolgimento di publisher che devono rendere conto ai loro azionisti e far quadrare i conti nei report fiscali ogni anno, la necessità di monetizzare quanto prima con meccanismi psicologici che solo l’hype da data di uscita può generare, la volontà di stimolare i preordini per fidelizzare il cliente con i trailer di presentazione prima ancora che con il gioco stesso sono elementi con un peso non indifferente. Viene spontaneo chiedersi se valga davvero la pena perdere la faccia ritardando all’ultimo momento giochi che tutti attendono con trepidazione, soprattutto perché ormai la vecchia scusa del “vogliamo garantirvi la miglior esperienza possibile” non regge più. Ma, per l’appunto, parlare senza essere addetti ai lavori non è del tutto corretto.
Quel che aiuterebbe a digerire meglio i ritardi sarebbe la correlazione tra aumento delle tempistiche di sviluppo e qualità del prodotto finito. Sappiamo fin troppo bene, però, che questa legge non è sempre rispettata, con giochi che escono comunque in condizioni difficili da accettare, o che comunque non portano quel carico di novità e quelle funzionalità evolute che i fan si aspettano in seguito alle dichiarazioni pre-lancio e alle motivazioni date per giustificare i ritardi di sviluppo.
Consapevoli dell’impossibilità di trattare la questione in modo oggettivo e comprensivo di tutte le diverse variabili in campo, abbiamo pensato di divertirci ripercorrendo alcuni dei casi più eclatanti di posticipi degli ultimi anni e stilando pagelle ironiche per ogni gioco coinvolto. Se siete arrivati a leggere fin qui e se continuerete, come si dice in questi casi, “vi ringraziamo per il supporto costante e per la pazienza!“.
Di Cyberpunk 2077 si è iniziato a parlare addirittura nel 2012, anche se il primo, famosissimo teaser con la ragazza circondata da proiettili risale al 2013. Fu niente meno che un Keanu Reeves “mozzafiato” ad annunciare la data di uscita iniziale, il 16 aprile 2020. Il primo rinvio spostò la X sul calendario di qualche mese, al 17 settembre, con CD Projekt Red che giustificava lo spostamento scrivendo che Cyberpunk 2077 doveva segnare il loro coronamento per la generazione videoludica attuale e che il posticipo avrebbe garantito preziosi mesi aggiuntivi “per rendere il gioco perfetto”. Forse per superare la perfezione lo sviluppatore polacco rilanciò con un 19 novembre come nuova data di lancio e poi con un tondo tondo 10 dicembre.
I comunicati su sfondo giallo erano ormai diventati presagio di sventura, uno di quei simboli universalmente riconosciuti come il segnale di STOP, tanto che persino Trenitalia pensò di adottare quella codifica cromatica per annunciare i ritardi dei suoi treni. La battuta trita e ritrita che diceva che “2077” sarebbe stato l’anno di lancio, ormai meno divertente dei meme WhatsApp che ci fa vedere lo zio durante il pranzo di Natale, cominciava ad assumere i tetri contorni di una mezza verità.
Invece il gioco entrò in fase Gold (ma forse era pirite, l’oro degli stolti, visti gli esiti) e arrivò nei negozi e negli store online, anche se il Day One fu l’inizio della fine per la reputazione di CD Projekt Red. A conti fatti, sembra che i mesi di sviluppo aggiuntivi siano serviti ai membri del team per cercarsi un nuovo lavoro in previsione della disfatta, altrimenti è difficile spiegarsi alcune prestazioni disastrose sulle console old-gen.
Lo sviluppo della seconda parte di uno dei titoli più apprezzati di sempre iniziò poco dopo il lancio dell’originale. Nel 2014 i lavori su The Last of Us – Parte II cominciarono a impegnare i ragazzi di Naughty Dog, che non vedevano l’ora di tornare a fare del sano crunch di dodici ore al giorno. Per avere le prime informazioni si è dovuta attendere la PlayStation Experience del 2016. Neil Druckman era poi stato tanto bravo da dire che una data di uscita non sarebbe stata annunciata prima che il gioco fosse prossimo al completamento, in modo da non deludere i fan. Poi, per percularli dall’alto del suo chignon, aveva twittato che il gioco sarebbe stato ritardato di cinque minuti per ogni volta che qualcuno ne avesse richiesto la data di uscita. La realtà non fu molto diversa.
Il Day one del 21 febbraio 2020, fissato con largo anticipo, slittò al 29 maggio, manco a dirlo per rifinire il titolo e arrivare alla qualità che ci si attendeva da Naughty Dog. Gente che si era presa le ferie al lavoro fingendo di aver prenotato una settimana a Cortina dovette cambiare i propri piani, puntando tutto sul ponte del 2 giugno. Ma la pandemia (quella nel mondo reale, s’intende) sparigliò le carte, costringendo a un ulteriore rinvio del gioco a data da destinarsi. Mentre i gamer chiusi in casa dal lockdown si tatuavano #maiunagioia sulle braccia, i leak spoileravano la trama a destra e a manca, causando una delle peggiori crisi dei social network, su cui nessuno ormai andava più per evitare anticipazioni. Arrivò poi il nuovo Day one del 19 giugno, che non venne più modificato, anche se molte coppie gamer-non gamer furono prossime alla separazione perché un coniuge spingeva per restare a casa a giocare anche ora che le restrizioni da Covid erano finite.
A conti fatti, non si può negare che i ritardi di The Last of Us – Parte II siano stati utili. Ovviamente non possiamo sapere se le rifiniture dell’ultim’ora abbiano riguardato elementi minori, magari la definizione dei muscoli di Abbie o la decisione di far girare Hotline Miami sulla PlayStation Vita di uno dei nemici, e se il gioco sarebbe stato godibile anche uscendo a febbraio. In ogni caso il gameplay e la storia non hanno tradito le aspettative, neanche quelle di chi accusava uno dei primi, famosissimi video di gameplay di essere completamente scriptato e pompato a livello grafico. Anche se un pochino lo era, dai…
Presentato al mondo con il nome in codice di Project Athia (perché fa sempre figo, diciamocelo), Forspoken ha catturato da subito l’attenzione dei giocatori, anche perché il trailer si era inserito in uno State of Play nel quale il gioco più interessante era Le Avventure di Peppa Pig, o giù di lì. Scherzi a parte, Square Enix è stata in grado di far valere la sua esperienza confezionando trailer e rilasciando le prime informazioni, tra cui lo stesso nome del gioco, e proiettandone l’uscita in un futuro molto ravvicinato. Da un generico 2022 si è passati alla data del 24 maggio, ma se ve lo foste perso è arrivato anche qui un fatidico slittamento. Ecco allora che le avventure di Frey Holland dovranno attendere fino all’11 ottobre per vederci protagonisti.
Il messaggio di rinvio cita, ovviamente, la volontà di rifinire il gioco per creare una storia e una protagonista che i giocatori possano amare per gli anni a venire. La speranza è che Square Enix intervenga nel processo di ottimizzazione meglio di come ha fatto con Babylon’s Fall, per citarne uno, i cui giocatori attivi sono attualmente meno degli Stati NATO che parteggiano per Putin. E per quanto riguarda la creazione di un franchise per il futuro, bisogna sperare che gli incassi di Forspoken raggiungano le aspettative degli azionisti, per evitare di fare la fine di Marvel’s Guardians of the Galaxy. Chissà che non sia proprio Frey la “avenger” del nome di Square Enix, messo a dura prova dopo le performance non brillanti delle ultime uscite e dopo le notizie dell’acquisizione da parte di Embracer Group.
È presto, insomma, per dire se Forspoken trarrà giovamento dal rinvio. Di sicuro i mesi aggiuntivi consentiranno di allargare la platea di pubblico, considerata l’esclusività console sui PlayStation 5. Di questo passo, infatti, entro ottobre saranno state piazzate almeno altre quattro o cinque console nel mondo, alla faccia dei semiconduttori, e Frey potrà far fare cassa a Square Enix a suon di vendite.
In confronto ad altri giochi, non si può dire che l’annuncio di Horizon Forbidden West sia arrivato troppo in anticipo rispetto alla data di uscita. Svelato a giugno 2020, infatti, il seguito delle avventure di Aloy, ampiamente preannunciato dal finale del primo capitolo, era previsto entro la fine del 2021. Non solo, ma Guerrilla Games, nel giugno dello scorso anno, aveva assicurato che i lavori procedevano secondo i piani, nonostante il leggerissimo ostacolo rappresentato dal Covid. Nel mese di agosto, però, l‘inevitabile rinvio è stato reso ufficiale, con lo slittamento del Day one al 18 febbraio 2022.
Nel comunicato di annuncio del ritardo veniva citata, per l’appunto, la pandemia, con tutte le problematiche legate ai ritmi e alle condizioni di lavoro che essa comportava. Non solo, ma il famigerato “livello qualitativo che gli utenti si aspettano” (apparentemente da ogni software house e da ogni singolo gioco, NdR) richiedeva mesi aggiuntivi per le rifiniture del caso. Dopo il dispiacere per dover attendere qualche settimana in più e dopo la pillola amara rappresentata dalla notizia dell’upgrade a pagamento da PlayStation 4 a PlayStation 5, poi corretta da Sony, tutti ci siamo chiesti la stessa cosa: assodato il rinvio, perché posizionarsi a una settimana di distanza da Elden Ring?
Evidentemente i ragazzi di Guerrilla Games erano tanto fiduciosi nel potere della loro eroina da non temere la sfida contro il blockbuster annunciato di From Software. Ecco allora che Horizon Forbidden West è uscito in una condizione effettivamente ottimale, come hanno confermato le recensioni da tutto il mondo, ma è finito nel dimenticatoio (almeno in quello della rete e dei social) con la stessa rapidità e con la stessa ineluttabilità con cui un giocatore medio ha incontrato la prima morte nell’Interregno di Elden Ring.
I lavori di Team Bondi su quello che sarebbe diventato L.A. Noire iniziarono addirittura nel 2003, quando molti di noi stavano scoprendo la vita criminale per le strade di Liberty City, un’enormità se si pensa che l’uscita definitiva del gioco arrivò il 17 maggio 2011. Nel mezzo ci furono anni di finanziamenti e passaggi di diritti per la pubblicazione, ma soprattutto di rinvii. Annunciato ufficialmente per la prima volta nel 2005, infatti, il gioco si mostrò con un trailer cinematico nel 2006 e la sua uscita venne fissata da Take-Two nell’anno fiscale 2008. Ma se Take-Two fosse stata una dei protagonisti di L.A. Noire sarebbe stato necessario scoprirne le menzogne, visto che dal 2008 si passò al 2009, poi a settembre 2010 e infine alla prima metà del 2011, per poi stabilire con precisione il 17 maggio 2011.
In occasione dell’ultimo rinvio i risultati finanziari di Take-Two giocarono un ruolo importante. Nell’anno fiscale 2010, infatti, i guadagni di una robetta da niente come Red Dead Redemption, uniti a quelli di Mafia 2, NBA 2K11 e Civilization V, resero meno urgente portare sul mercato una nuova IP. I soldi facevano la differenza anche ai tempi, insomma. Curioso notare che, nel comunicato, Take-Two si vantò di aver registrato un anno di forti guadagni anche in assenza della gallina dalle uova d’oro rappresentata dalla serie Grand Theft Auto, un’affermazione che riletta oggi ci fa ripensare a quanti anni senza un nuovo capitolo sono già trascorsi. Ma soprattutto ci fa riflettere su cosa avremmo tra le mani se GTA Online non avesse fatto il successo che conosciamo.
Tornando a L.A. Noire, il gioco fece breccia nei cuori dei videogiocatori. Anche se non si toccarono le vette rappresentate da Grand Theft Auto – dopotutto, se non sei Super Mario, hai poche speranze di riuscirci – né quelle che oggi vanta lo stesso Red Dead Redemption, le novità a livello di gameplay introdotte da Team Bondi si fecero notare. Nel complesso, quindi, i rinvii giocarono a favore del team di sviluppo e degli utenti, senza contare che l’opzione “doubt” negli interrogatori ha dato origine a un sacco di divertenti meme.
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