Ogni tanto, leggendo su qualche sito internet sia generalista che di settore o magari scrollando la propria bacheca social, ci imbattiamo in notizie in cui viene raccontato di come un giovane atleta, magari promettente, abbia dovuto interrompere la propria carriera. Altre volte purtroppo, leggiamo di giovani morti in campo oppure di campioni, non più giovanissimi, trovati morti in stanze di albergo per cause apparentemente sconosciute.
Spesso dopo opportuni accertamenti, si viene a sapere che la causa o il problema che ha portato il soggetto a questa nefasta conclusione è stato un problema di tipo cardiaco. Si rimane scioccati, subito si pensa al fatto che magari i controlli medici non siano stati così precisi ed accurati, magari si pensa che un’atleta già affermato possa ricevere un trattamento di élite rispetto ad uno che sta ancora costruendo la propria carriera; il popolo, l’appassionato, l’utente medio, diventa medico, e via di polemiche e sgomento.
In realtà, analizzando i vari casi, si capisce che le problematiche cardiache possono essere tante, spesso subdole e nascoste. La cardiologia è uno dei rami della medicina più complessi, tanti fattori che si intrecciano e senza particolari avvisaglie.
Tutti questi episodi, soprattutto quelli legati e vicini alla medicina sportiva, servono poi per fare statistica e per prevenzione nella popolazione generalizzata. Il “sacrificio” di questi atleti ci pone la questione che ancora poco sappiamo di questo tipo di patologie ma che, con l’esperienza e la tecnologia sempre più avanzata, si può prevenire la stessa problematica, salvando la vita di un’altra persona. Gli episodi che allarmano i medici di famiglia, i cardiologi e i medici sportivi, quelle evidenze che spesso portano all’interruzione dell’attività agonistica e sportiva nel giovane atleta, spesso sono chiari.
Giramenti di testa improvvisi, momenti di “cecità” acuti, visione appannata, iperventilazione, difficoltà respiratorie, dolori acuti in mezzo al petto, eccessiva sudorazione, tutti episodi che possono accadere sia dopo un’espressione atletica intensa di breve o lunga durata, sia durante la visione dell’evento sportivo, della gara, sia legati a tensione o preoccupazione.
Grazie allo sport, grazie alle tragedie legate a questo mondo, tante altre vite sono state salvate. È una cosa difficile da accettare e da capire, ma è così. Tutto ciò, però, cosa ha a che fare con il mondo della tecnologia e dei videogiochi? È innegabile come i videogiochi moderni abbiano raggiunto un livello tecnico talmente alto da portare il giocatore a essere “dentro” al videogioco. Grafica, sonoro, storia, periferiche, tutto tende a esasperare il realismo e ciò che ne consegue.
Io, ad esempio, è da anni che non riesco più a godermi un gioco horror. Quando ero più giovane non avevo nessun tipo di problema; ora invece, l’immedesimazione eccessiva non mi consente di godere a pieno del titolo. Questo non accade per un film, una serie televisiva o un libro: è come se, proprio col videogioco, scattasse qualcosa che mi blocca. Qualche settimana fa ho provato Resident Evil con il VR. Senza fare spoiler, sono arrivato ad un punto dove veramente ho percepito delle sensazioni fisiche negative e sono stato costretto a togliermi di scatto il visore e staccarmi dalla console.
Come me e peggio di me, tante persone raccontano di esperienze simili durante le loro avventure virtuali e molti medici e scienziati si sono dunque posti il problema se con i videogiochi si possa morire di crepacuore. Non alziamo subito le barricate, cerchiamo di capire cosa c’è dietro a tale preoccupazione.
Come scritto, le sensazioni che possiamo avvertire mentre siamo immersi nel mondo virtuale sono intense, di conseguenza l’organismo umano si adatta a livello fisiologico e ormonale per affrontare tale situazione. Se in ambito sportivo gli episodi che precedono il fattaccio sono quasi del tutto conosciuti, in questo nuovo settore no, ma, come vedremo, le cose possono essere paragonate tra loro.
Negli ultimi anni, grazie al videogioco, alcuni ragazzini si sono visti salva la vita.
Come spiegato in un recente articolo comparso sul New England Journal of Medicine (settembre 2019), anche il videogioco nei soggetti a rischio (che magari non sanno di esserlo) può provocare sincope, cioè quel sentore di perdita di coscienza transitoria dovuta a sfasamento del ritmo cardiaco e respiratorio. Secondo il cardiologo Peter Aziz, MD, della Cleveland Clinic Children: “lo sport, si sa, comporta dei rischi, ma ci sono delle attività al di fuori dello sport che possono anche essere altrettanto rischiose. Quando spieghiamo alle famiglie quali possono essere i fattori di rischio nei bambini ad alto rischio di arresto cardiaco, penso che includere anche il gioco come fattore di rischio sia necessario”.
Sempre secondo il Dott. Peter Aziz, all’ambiente videoludico si aggiunge un ulteriore problema, quello della mancanza di testimoni oculari che può anticipare e raccontare gli eventi che porteranno alla difficoltà cardiaca: “Agli eventi sportivi c’è molta gente in giro. Se un bambino sviene durante la partita, è probabile che l’evento sia assistito e le persone spesso sanno già cosa fare. Il parco giochi, il campo sportivo e il palazzetto sono probabilmente i luoghi più sicuri dove avere un evento di aritmia potenzialmente letale rispetto ad averlo a porte chiuse, nel seminterrato, nella propria stanza, quando sei tutto solo a giocare ai videogiochi”.
L’articolo, a firma di Clare M. Lawley, MBBS, dell’Università di Sydney in Australia, descrive quattro casi di sincope associati ad aritmia ventricolare o fibrillazione ventricolare che si sono verificati in tre ragazzini, fra i 10 e i 15 anni. Un bambino di 10 anni ha sperimentato una sincope dopo aver vinto una partita online in un gioco di guerra: ha poi ripreso spontaneamente conoscenza, ma in seguito ha avuto un arresto cardiaco a causa di fibrillazione ventricolare mentre era a scuola. Successivamente gli è stata diagnosticata una tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica.
Un secondo paziente ha manifestato due volte una tachicardia ventricolare. A questo ragazzo di 15 anni era già stato diagnosticato un difetto del setto ventricolare, trattato chirurgicamente. Un giorno, mentre era seduto sul proprio letto a giocare, ha improvvisamente sperimentato presincope. È stato portato d’urgenza al pronto soccorso, gli è stata diagnosticata una tachicardia ventricolare monomorfa acuta ed è stato sottoposto a cardioversione e così è stato salvato. Due mesi dopo ha vissuto un altro episodio quando ha rigiocato allo stesso gioco ma stavolta, è stato salvato grazie al cardiovertitore-defibrillatore impiantatogli dai medici. Il terzo paziente, un ragazzo di 11 anni, ha manifestato palpitazioni mentre giocava a un gioco di guerra con un amico, svenendo. Ha ripreso conoscenza spontaneamente. Successivamente, a lui e a diversi membri della sua famiglia è stato diagnosticato sindrome del QT lungo, una rara malattia cardiaca che causa aritmie improvvise, fino a morte.
Il Dott. Aziz, dopo aver letto l’articolo, ha associato questi episodi alla sua realtà clinica, parlando di episodi simili sia in ambito sportivo, sotto sforzo e tensione, sia in ambito domestico, come un episodio che ha visto protagonista un tifoso durante un touchdown in uno degli ultimi Superbowl.
Se è stato dimostrato che i videogiochi aumentano significativamente la frequenza cardiaca dei partecipanti, se il forte stress mentale ed emotivo riducono il potenziale d’azione ventricolare e questi sono noti fattori scatenanti l’aritmia cardiaca, se l’attivazione adrenergica è paragonabile a quella di un evento sportivo, sia partecipato che non, perché allora non si devono vietare i videogiochi?
Perché quando muore qualcuno su un campo non si può invitare un’intera collettività a non praticare sport perché lo sport migliora la salute.
E grazie allo sport e all’attività fisica, in associazione a questi eventi nefasti, abbiamo una cardiologia all’ avanguardia. Prima di fare attività fisica si consiglia sempre una visita medica specializzata che, alle volte, per puro caso, può portare alla scoperta di situazioni congenite ed a quel punto si è salvata una vita.
Stessa cosa, ora, lo si può fare con il videogioco.
Fare sport è importante per la salute ma anche il videogioco, preso nelle giuste dosi, può essere utile per il morale e lo spirito di un soggetto, visto che rientra in un’attività ludica a tutti gli effetti. Sono i genitori, responsabili per i più piccoli, che devono avere un occhio di riguardo quando il loro figlio decide di accendere la console. Perché non giocare insieme e controllare le reazioni del bambino? Perché non assisterlo e divertirsi insieme, invece che lasciarlo giocare da solo?
Alcuni potrebbero dire che con il videogioco si muore di crepacuore mentre altri, me compreso, potrebbero dire che con il videogioco si può scoprire una malformazione cardiaca, una malattia genetica, un “difetto” ereditario che magari avremmo scoperto troppo tardi, inutilmente. Magari grazie a un Resident Evil qualsiasi o grazie ad una vittoria in una partita di Call of Duty, ci accorgiamo di avere qualcosa che non va, prevenendo la nascita di un qualcosa di peggiore.
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