David Cage: volevo realizzare la mia versione di Matrix

Intervista al creatore di Heavy Rain e Detroit: Become Human

Editoriale di Giulio Baiunco

David Cage, il cui vero nome è David De Gruttola, è uno dei designer/sceneggiatori più famosi di avventure interattive. Alla fine degli anni ’90 la sua carriera videoludica è cominciata con Omikron: The Nomad Soul (in cui è presente David Bowie) fino ad arrivare a Detroit: Become Human, passando per Heavy Rain (il mio videogioco preferito in assoluto n.d.r). Fare la conoscenza di una delle persone che ti hanno cambiato davvero la vita è estremamente esaltante e, a pensarci, appare così illusorio. La possibilità di incontrare Cage si è avverata nel corso della terza edizione di GameRome, conferenza romana dedicata agli sviluppatori. L’eccitazione è stata tanta e l’attesa dell’incontro estenuante. Tuttavia, una volta stretta la mano con Cage, l’agitazione è passata. Per quanto se ne possa dire sui francesi, il game designer è una persona estremamente cordiale e affabile, che coinvolge l’interlocutore e lo mette a suo agio. Successivamente avergli raccontato che è stata la persona che mi ha reso ciò che sono e mi ha mutato l’esistenza, ci siamo accomodati per una breve intervista, alla ricerca di curiosità e nuove informazioni.

Sopratutto in Fahrenheit, hai preso ispirazione dai lavori di David Lynch?

Oh, certo. Sono un grande fan di Lynch, adoro i suoi lavori, ma credo che Fahrenheit sia stato principalmente ispirato da Matrix (come è lampante in una delle scene finali n.d.r.), il quale era molto popolare al tempo. Credo che volevo fare una mia versione del cult dei fratelli Wachowski. Tuttavia è vero che il lavoro di Lynch è stato molto influente e lavorare con Angelo Badalamenti (compositore che collabora con David Lynch dal 1986 n.d.r.) è stato sorprendente.

Se si creano opere in cui l’investigazione è preponderante e il giocatore interpreta poliziotti o agenti, non si rischia di creare esperienze troppo simili fra loro?

Si e no. No, perché in un’investigazione ciò che è più interessante non è sempre il caso, ma il più delle volte l’investigatore stesso. Puoi avere differenti personalità, penso che da Carla Valenti e Tyler Miles in Fahrenheit a Connor e Hank in Detroit gli investigatori sono diversi. Il risultato è veramente dissimile, riguarda più i personaggi e ciò che essenzialmente fanno.

Le avventure interattive, come abbiamo visto con Telltale, possono non funzionare. Ha senso rischiare su questo genere?

Sicuramente è un genere veramente rischioso. Noi siamo molto fortunati a Quantic Dream che li facciamo da venti anni e tutti i nostri giochi hanno generato profitto. Abbiamo avuto a nostra disposizione il vantaggio di realizzarli in buone condizioni e guadagnare da ogni opera. Ma è una tipologia di videogiochi fortemente aleatoria, perché non sai se al pubblico potrà piacere la storia o meno.  Se crei uno sparatutto, sai che le persone lo vogliono giocare, non assumi rischio realizzando prodotti di questa categoria. Creare uno storia è un azzardo.

Se attualmente sviluppate, state utilizzando un nuovo motore grafico? Su PlayStation 5?

Non posso proprio dirti su cosa stiamo lavorando adesso, ma Quantic Dream progetta un motore grafico per ogni titolo che realizza, anche se utilizza la stessa piattaforma. Abbiamo sempre lavorato su un nuovo motore grafico negli ultimi vent’anni: niente di nuovo.

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