Editoriale di gmg215
Fallout 76 è uno dei titoli più importanti rilasciati sul mercato post-Red Dead Redemption 2. Rarissimo esempio di esponente in completa rottura con la serie di cui porta il nome, questo survival cooperativo segna la discesa in campo di Bethesda nel macrocosmo online. Forte della promessa solenne di un supporto massiccio da attuarsi nel futuro a corto e medio termine, il gioco è arrivato sugli scaffali in condizioni che tanti non hanno esitato a definire indegne persino di una beta.
Non che la beta stessa, inaugurata qualche settimana dell’uscita, lasciasse presagire diversamente. Bethesda non è rinomata per la cura dei bug, perlomeno non al momento del lancio. Chi ha la curiosa abitudine di precipitarsi a giocare i loro prodotti, si ricorderà ad esempio delle condizioni in cui tergiversava The Elder Scrolls V: Skyrim nel lontano 2011. Ad onor del vero, in tempi recenti l’intera industria videoludica ha cambiato il proprio atteggiamento verso il controllo qualità. La corsa alla digitalizzazione ha portato con se un uso smodato delle patch che ha parzialmente derogato il controllo qualità ad attività facente parte del supporto al gioco. Tanto per non limitare il discorso a Bethesda, si ricordi The Witcher 3 ed i suoi problemi all’uscita: in quel caso, grazie anche ad un’attenta opera di interfaccia con la comunità di giocatori, CD Projekt RED riuscì a ripulire discretamente il proprio mondo da sporcizie grafiche di varia natura, arrivando persino a proporre dei DLC nettamente superiori al gioco base in tal senso.
Tuttavia, tornando a Fallout 76, rimane indubbio che siano presenti delle criticità tecniche ben superiori alla media dei tripla A al momento del loro impatto sul mercato. Su tutte spicca il frame rate ballerino. Per molti giocatori ciò potrebbe risultare secondario rispetto alla pochezza di contenuti che ancora rende il mondo di gioco fascinoso solo per eredità genetica e non per merito. Eppure, la questione dell’attuale arretratezza tecnica in casa Bethesda va affrontata, se non altro, alla luce dei grandissimi progetti che sono stati annunciati in pompa magna per la prossima generazione. Parliamo di Starfield e di The Elder Scrolls VI. A tal proposito sono state ripescate da molti siti videoludici le dichiarazioni di Todd Howard al sito tedesco GameStar lo scorso luglio. Nella suddetta intervista, il deus ex machina di Bethesda aveva dichiarato che l’avvento delle nuove console non avrebbe comportato il cambio dell’attuale Creation Engine, motore di gioco di Fallout 76.
“Per Fallout 76 abbiamo cambiato molto. Il gioco usa un nuovo sistema di rendering, un nuovo sistema di illuminazione ed un nuovo sistema per la generazione dei paesaggi. Per Starfield abbiamo previsto altri cambiamenti. Per The Elder Scrolls VI altri ancora. Ci piace però il nostro editor. Ci permette di creare mondi rapidamente ed è ben conosciuto dai modder. Ci sono alcune procedure semplici che ci consentono di creare i nostri giochi e che non verranno cambiate poiché ci consentono di essere efficienti e di creare prodotti che per noi sono i migliori possibili.”
Todd Howard [intervista concessa a GameStar, Luglio 2018]
Il Creation Engine, di proprietà della casa di sviluppo del Maryland, fu introdotto per The Elder Scrolls V: Skyrim ed, in particolare, nacque dalle ceneri del Gamebryo. Quest’ultimo aveva partorito i tre precedenti capolavori della casa: The Elder Scrolls III: Morrowind, The Elder Scrolls IV: Oblivion e Fallout 3. Sebbene il Gamebryo non fosse un asset di proprietà (tante altre software house lo hanno utilizzato, ad esempio Rockstar per la remaster di Bully), l’esperienza con esso accumulata da Bethesda era tale da giustificare la decisione di infondere il nuovo Creation Engine con la medesima architettura del Gamebryo. I motori di gioco, infatti, hanno la tendenza ad essere legati per lunghi periodi al gruppo di lavoro che li utilizza e, in un certo senso, possono solamente essere aggiornati e mai cambiati del tutto poiché la quantità di lavoro necessaria sarebbe enorme e non vi sarebbero alcune garanzie sul risultato. Cosa stava esprimendo dunque Todd Howard nella sua intervista a GameStar?
In un certo senso, i motori di gioco possono solamente essere aggiornati e mai cambiati del tutto.
A mio parere, nulla che si discosti particolarmente dall’ovvietà. Tuttavia, se lo scorso luglio le sue parole non avevano avuto particolare risonanza, adesso, nel bel mezzo del dibattito su Fallout 76, una buona fetta del pubblico (e della stampa specialistica) le ha reinterpretate come l’annuncio di una calamità. Ci si è cominciato a chiedere se valesse la pena rassegnarsi al fatto che il seguito di Skyrim sarebbe nato sotto la stella dell’arretratezza tecnologica. Sono iniziate speculazioni che anticipano l’uscita del gioco di cinque o più anni!
Cosa è dunque un motore di gioco?
Come avrete senz’altro intuito, chi vi scrive sostiene convintamente che si tratti di un dibattito fondato sulla cattiva interpretazione di parole che, presumibilmente, esprimevano il pensiero “in codice” di un tecnico del mestiere. Questo mio parere non si estende a ritenere che la diffidenza nei confronti di Bethesda sia inopportuna. Semplicemente per interpretare correttamente le parole di Howard ed assegnare loro il giusto peso servirebbe essere dei programmatori. Più precisamente dei game engine programmer. Cosa è dunque un motore di gioco? Perché le case di sviluppo più importanti insistono nell’averne uno proprio, invece di usufruire di validi prodotti esterni?
Lo si può pensare come l’architettura che va ad innestarsi sulla fondazione hardware per permettere ad un gioco di funzionare.
Senza sbandierare tecnicismi, si può pensare al motore di un gioco come alla complessa e variegata architettura che va a posarsi su un qualsiasi hardware per permettere al gioco di funzionare. Ogni sviluppatore costruisce i propri strumenti allo scopo di rendere il processo di creazione dei mondi e delle meccaniche il più fluido possibile. Tornando a citare l’intervista di Howard a GameStar, si può dedurre che il Creation Engine soddisfi la necessità, evidentemente ritenuta prioritaria dalla software house del Maryland, di creare ambienti velocemente piuttosto che di agevolare le attività di modding della comunità di appassionati. In fin dei conti ogni motore di gioco è un codice. Riscrivendone parti estese se ne modifica sensibilmente l’output, a prescindere dal fatto che se ne cambi o meno il nome. Si pensi al RED Enginein uso presso CD Projekt RED: introdotto fin dalla seconda avventura di Geralt di Rivia, verrà usato per Cyberpunk 2077. Questo tipo di tecnologia è un’entità fluida, in continua evoluzione. Il Creation engine che ha portato nei nostri PC e nelle nostre console un Fallout 76 tremendamente problematico ed instabile potrebbe non avere nemmeno una linea di codice in comune con quello che ci presenterà il mondo di Starfield o Tamriel.
In conclusione, alcune polemiche riguardo Fallout 76 sono interessanti e centrate sui problemi che, ad oggi, possiamo giudicare con cognizione di causa (posto di avere speso un numero congruo di ore a giocare). Circolano in rete delle validissime disquisizioni a riguardo, la cui lettura è genuinamente interessante e consigliata. Tra le questioni più spinose spicca la richiesta di scaricare un quantitativo di patch così ingente da rendere la copia fisica in sé del tutto insignificante. Tuttavia, altre polemiche sono semplicemente pretestuose, come peraltro sostiene anche questo approfondimento di Kotaku. Non lasciamo dunque che le speculazioni pessimiste e allarmiste rovinino la nostra attesa per i titoli a noi cari. Non so voi, ma io a Tamriel ho sempre voglia di tornare.
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