La nostalgia è una brutta bestia, ci immerge nella malinconia, trasfigura i ricordi e soprattutto ci fa riempire casa di oggetti di cui, spesso, non se ne sentiva proprio la mancanza.
Ecco PlayStation Classic è proprio uno di questi. Chi scrive non parte prevenuto su tutto quello che è retrogaming, anzi chi mi conosce sa che ho in casa un buon numero di console degli anni ‘80 e ‘90 e che amo alla follia Nintendo Switch non tanto per Mario e Zelda, quanto per la possibilità di giocare alle migliori proposte “2D”, classiche o inedite che siano. Attenzione poi, in questa recensione non mi interessa discutere della “questione morale” che riguarda l’emulatore open source che muove PlayStation Classic né tanto meno confrontarla con quanto offre la scena dell’emulazione tout court. A me interessa giudicare l’offerta e come viene proposta. In tal senso la piccola console Sony si pone da subito dietro alle mini Nintendo e addirittura anche al mezzo fiasco (se guardiamo i freddi numeri) di NeoGeo mini.
Ma prima le note positive iniziando da una cosa tanto ben fatta quanto ininfluente, anche se i collezionisti sapranno apprezzarla: il packaging. PlayStation Classic si trova all’interno di una vera e propria matrioska di cartone, uno scrigno esterno, riproduzione perfetta di quello originale che cela al suo interno con apertura “a fiore” la piccola console, i due pad USB, il cavo HDMI (lungo due metri) e uno USB Micro – A per l’alimentazione. Tutto come da manuale, non c’è alimentatore separato insomma. Qui c’è stato però il primo intoppo. Di norma NES e SNES Mini funzionano egregiamente se alimentate dalle porte USB della mia TV, un Sony Full HD del 2014. Con PlayStation Classic non c’è stato verso di alimentarla nello stesso modo visti i 5V richiesti. Poco male, ho utilizzato una presa con ingresso USB del mio iPhone e ho risolto il problema. Una volta accesa, selezionata la lingua, una schermata ci mostra come “si usa” la console.
Reset ci permette di tornare alla schermata di selezione giochi (unico modo per farlo) e contestualmente di salvare in tempo reale il gioco. Opzione questa davvero comoda e intuitiva, peccato che ogni gioco presenta un solo slot di salvataggio rapido, fermo restando che una Memory Card virtuale è sempre a disposizione per chi volesse salvare alla vecchia maniera. Una limitazione questa che ha poco senso, alla luce anche dei quattro slot presenti su SNES Mini. Purtroppo però le magagne del software non finiscono qui. PlayStation Classic non offre nessun tipo di filtro video per cercare di smussare il 3D primordiale, anzi preistorico sparato a video, magari su una TV 4K di generose dimensioni. Insomma c’è poco da stare allegri in tal senso. Immagine 4:3 con belle bande nere ai lati, una risoluzione e un aliasing che non lasciano scampo e che spesso e volentieri non ci permettono di distinguere bene la profondità e gli oggetti sullo sfondo, complice anche una qualità video, che in assenza di una terminologia tecnica migliore potremmo definire sin troppo “slavata”. Il tempo insomma non è stato galantuomo con i primi giochi tridimensionali dalla risoluzione massima di 576i che arrivano sulle nostre TV con un 720p upscalato senza abbellimenti di sorta. E cosa ancor peggiore nove giochi girano a 50HZ, più lenti rispetto alle loro controparti americane. L’operazione 1994 continua anche con la necessità di alzarsi dal divano per cambiare disco spingendo il tasto di (non) apertura dello sportello di inserimento CD. E sempre per rimanere in tema “vecchi tempi”, ma questo non è certamente un difetto, l’assenza degli stick analogici sui pad può risultare sconcertante inizialmente, visto che le nostre dita andranno automaticamente a cercarli. Il risultato è che in partita bisogna di fatto dimenticare abitudini sedimentate da diversi anni. E che una gemma come Ape Escape non può essere ovviamente presente.
Dove però PlayStation Classic fallisce del tutto l’operazione nostalgia è nella lista giochi (quasi tutti in inglese) che, vuoi per una questione di diritti, vuoi per remastered uscite o in uscita, è davvero deficitaria. Non mancano alcuni classici, su tutti Metal Gear Solid, Tekken 3, Final Fantasy VII e Resident Evil Director’s Cut, e certamente spiccano titoli molto amati come Syphon Filter e Oddworld: Abe’s Oddysee, per il resto però vi sono mancanze gravi. Impossibile in questa sede fare una disamina gioco per per gioco, ma ad esempio non c’è un titolo calcistico, c’è Ridge Racer Type 4 e non c’è Gran Turismo, ci sono i misconosciuti Mr. Driller e Intelligent Qube, non c’è Silent Hill e sono presenti gli invecchiatissimi e dimenticabili Jumping Flash, Cool Boarders 2 e, incredibile ma vero, Tom Clancy’s Rainbow Six! Inutile dire che una lista giochi è per sua natura la cosa meno oggettiva possibile in sede di giudizio, soprattutto quando c’è di mezzo la nostalgia, ma è difficile parlare di una parco giochi che metta a fuoco quanto di meglio PlayStation seppe offrire all’epoca. E che date le limitazioni visive non invoglia molto ad una fruizione occasionale ne tanto meno ad una continuativa per riscoprire nella loro interezza perle del passato. Senza poi dimenticare che buona parte di essi risultano davvero indigesti a causa di un gameplay che, come per il lato tecnico è tanto “antico” da essere a volte quasi irritante.
Sony non ha però sbagliato nella qualità costruttiva. PlayStation Classic è davvero un bell’oggetto, minuscola (poco meno della metà di quella originale) ma nello stesso tempo solida. La prima accensione è davvero un tuffo al cuore, con quel logo e soprattutto quel jingle che ci portano indietro di oltre venti anni. I pad sono in tal senso perfetti, piccoli e leggeri come quelli d’epoca. Avremmo voluto magari un filo un po’ più lungo del circa metro e mezzo presente. Peccato veniale comunque.
In definitiva questa PlayStation Classic non mi ha proprio soddisfatto. Probabilmente le console che per la prima volta hanno portato nelle nostre case la grafica tridimensionale sono invecchiate tanto, ed anche per questo si sente molto l’arretratezza tecnologica, sia da un punto di vista tecnico che di meccaniche di gioco vere e proprie. Cosa invece non avvenuta con le console 8 e 16 bit, grazie ad un’impostazione bidimensionale ancora valida, che nonostante le sue intrinseche limitazioni ha saputo mantenere inalterato il suo fascino e le sue dinamiche.
Ma tutta questa disamina non può nulla contro il potere della nostalgia. Da questo punto di vista Sony ha realizzato un prodotto davvero ineccepibile, un feticcio dei tempi andati perfetto nel riprodurre i suoni e i colori degli anni ‘90. Peccato solo per un’offerta ludica sotto le aspettative ad un costo, cento euro, decisamente alto.