Xbox Game Pass Ultimate, sostenibilità degli abbonamenti e il caso Bleeding Edge: è davvero tutto oro quel che luccica?

Editoriale di Giacomo Bornino

A monopolizzare l’attenzione della conferenza Microsoft è stato senza ombra di dubbio l’annuncio di Xbox Game Pass Ultimate. L’abbonamento definitivo ed onnicomprensivo che a un prezzo irrisorio di 14,99€/mese garantisce l’accesso a un catalogo enorme di titoli che comprende, e comprenderà, tutte le esclusive Xbox di prossima uscita, oltre a decine e decine di prodotti terze parti.

Difficile trattenere le urla di giubilo di fronte a un servizio così ricco e vantaggioso e, prima di procedere oltre, sia chiara una cosa: anch’io, come voi, sono corso in estasi a sottoscrivere l’abbonamento non appena ricevuta la notizia. Meraviglioso, potrò finalmente giocare a tante produzioni first party che in passato mi erano precluse non avendo mai acquistato una console Microsoft (sì, sono un fedele Sonaro). Forza, Gears, Ori, fighissimo… sono tutti in download pronti per essere giocati.

Eppure, smaltito l’inebriante entusiasmo iniziale, una domanda ha cominciato ad assillarmi. Una domanda che – spoiler –  non ha ancora trovato risposta, ma che, nonostante tutto, mi sembrava degna di essere condivisa e discussa con voi. Ma andiamo con ordine.

Prima di addentrarci nel merito della questione, partiamo da un dato inconfutabile: fare i giochi costa. Un sacco. I cosiddetti Tripla-A che tanto amiamo richiedono budget astronomici, cifre che una volta erano appannaggio esclusivo del cinema sono ora diventate la norma. E seguendo il trend esponenziale degli ultimi 20 anni, i costi di produzione saliranno ancora e ancora. Dai 50 mila dollari richiesti per sviluppare un titolo nell’era 16-bit si è passati a quaranta, ottanta milioni, in media, per l’attuale generazione. Questo escludendo mostri come Red Dead Redemption 2 che, si vocifera, potrebbe aver sfondato il tetto dei 600 milioni. E non mi è scappato uno zero di troppo, stiamo proprio parlando di un numero a nove cifre.

Questa è una (brutta) slide recuperata dalla GDC 2008 che riassume più o meno quanto detto.

Ora, fatta questa necessaria premessa, possiamo improvvisare qualche semplice conto. Prendiamo un titolo di cui conosciamo dati certi: Horizon Zero Dawn, l’esclusiva PlayStation 4. Stando a un’intervista rilasciata da Guerrilla a un giornale olandese, per lo sviluppo dell’avventura di Aloy sarebbero stati stanziati 47 milioni di dollari, budget usato per coprire le spese di circa 250 lavoratori nell’arco di sei anni. Benissimo, ora sorge spontanea una domanda: quanto deve vendere un gioco del genere per rientrare dei costi di sviluppo? Per mia fortuna, l’operazione è abbastanza semplice da fare. 47.000.000/70 = 671.000 copie circa, poco più di mezzo milione. Quisquillie se pensiamo che Horizon ne ha vendute più di dieci milioni. Bisogna però considerare altri due fattori. Uno, la base installata di Sony è circa il doppio della concorrenza. Due, nel nostro ragionamento abbiamo trascurato una variabile che potrebbe essere fondamentale: i giochi, soprattutto quelli esclusivamente single player, tendono a svalutarsi in fretta, riducendo così il guadagno netto di sviluppatori e produttori. Okay, nel caso specifico poco importa, Horizon è stato un campione d’incassi, un successo senza se e senza ma, sequel in cantiere e avanti tutta.

Prima di procedere, datemi però ancora qualche minuto e consideriamo un altro caso, il più recente Shadow of The Tomb Raider. Secondo Eurogamer.com, il costo stimato totale di questa produzione si aggirerebbe intorno ai 135 milioni di dollari. Una cifra spaventosa, ma in linea con molti altri tripla A di questa generazione. Rifacciamo il conto: 135.000.000/70 = 2.000.000 di copie necessarie per coprire le spese. Di nuovo però il risultato non tiene in conto le fluttuazioni del prezzo di vendita. I più attenti di voi ricorderanno a tal proposito che dopo nemmeno un mese dal lancio, il gioco si poteva acquistare a circa il 50% del prezzo originale. Questo ha fatto si che l’ultima avventura di Lara Croft vendesse circa quattro milioni di copie, il doppio di quelle richieste. Obiettivo raggiunto quindi? Assolutamente no! Square Enix si è infatti dichiarata delusa dai dati di vendita e con buona probabilità parcheggerà la serie per qualche anno in attesa di un nuovo reboot. Da questi dati iniziamo insomma a intravedere come il prezzo di vendita di un videogioco sia una variabile significativa e non trascurabile.

Con calma e qualche dato alla mano possiamo quindi avvicinarci a una questione già ampiamente dibattuta, anche su queste pagine: i tripla A sono ancora economicamente sostenibili? La risposta, se esiste, richiederebbe una trattazione separata, ma in linea di massima è chiaro che i nuovi budget imposti dallo sviluppo stiano creando non pochi grattacapi alle software house. Ciò nonostante, i blockbuster single-player piacciono a fette importanti di pubblico e se sviluppati e pubblicizzati con raziocinio possono garantire guadagni importanti, Horizon docet. Tutto questo discorso sembra però stare in piedi solo a patto di fissare il prezzo di vendita ai canonici 70€ per un limite ragionevole di tempo. O almeno, questo è quello che mi suggeriscono i numeri sopra e il buon senso. E’ vero, oggi ci sono altri modi per monetizzare: DLC, Loot-Box e pubblicità in-game sono alcuni esempi lampanti. Tuttavia queste pratiche sono ancora aliene, per il momento, ai prodotti a cui ci stiamo riferendo: le belle e tradizionali avventure per giocatore singolo. Dei prodotti questi ultimi che, in genere, esauriscono il loro ciclo vitale nel momento stesso in cui approdano sul mercato. Quello è e quello si paga, fine.

A questo punto immagino sia chiaro dove voglia andare a parare: ma come diavolo si fa a sostenere uno sviluppo di quaranta o sessanta milioni (per mantenerci in una fascia di costo media) se il gioco al lancio viene inserito in un abbonamento da una decina di dollari? Dieci, quindici dollari che immagino, nella mia ignoranza, servano per mantenere il servizio e pagare i diritti dei third party, oltre che per pareggiare i costi di produzione. Con un catalogo attivo di duecento titoli, destinato ad espandersi nel tempo, quale percentuale potrebbe ritornare nelle tasche degli sviluppatori?

Ipotizziamo irrealisticamente che per ogni abbonamento da 14,99$ venduto, un dollaro vada a finire nella cassa dei debiti. Per ripagare Horizon in questo modo servirebbero quarantasette milioni di abbonamenti, mentre per Tomb Raider la bellezza di centotrentacinque milioni, ovvero circa tre volte il numero totale di One nel mondo. Eh, ma allora qualcosa qui non torna. La divisione Xbox è forse impazzita e vuole andare in bancarotta? Difficile da credere, giusto?

Il modello di business ad abbonamenti a livello economico deve essere evidentemente virtuoso, quanto basta almeno da spingere Microsoft a proporre così aggressivamente il suo servizio. Quindi a posto così e vissero tutti felici e contenti? Possibile che questa strategia non abbia alcuna conseguenza negativa? Bè, se me lo permettete, anche questo mi risulta difficile da credere. E in questo senso, temo proprio che dalla conferenza Microsoft siano emerse delle prime preoccupanti avvisaglie.

Mi spiego meglio. Il colosso di Redmond ha in cantiere per il 2019 ben tre esclusive (ammesso sia ancora lecito usare questo termine visto che tutti i titoli usciranno sia su PC che Xbox, ma tant’è, per ora atteniamoci alla tradizione): Gears 5, Blair Witch e Bleeding Edge. Ora, consideriamo proprio l’ultima IP sviluppata da Ninja Theory. Questo team di sviluppo fa parte della gloriosa campagna acquisti che Microsoft ha portato a termine lo scorso anno, annunciata al mondo con fare trionfale durante l’E3 2018. E con tutte le ragioni del caso, a mio modo di vedere. Il talento e la creatività del team inglese sono infatti sotto gli occhi di tutti e personalmente considero Hellblade una delle esperienze più potenti di questa generazione; un capolavoro che, pur con le sue imperfezioni, ha saputo spingere il nostro medium verso territori inesplorati, svelandone nuove potenzialità. Non voglio dilungarmi oltre nel celebrare l’avventura di Senua, ma questa parentesi mi serviva per introdurre il prossimo punto.

Considerate le ottime premesse, non posso quindi negare di aver storto un po’ il naso alla presentazione del nuovo gioco. Chiariamoci, con questo non voglio dire che Bleeding Edge sarà brutto, anzi. Il genere potrebbe persino rientrare nelle mie corde, il combat-system curato da Rahni mi piacerà al 101% e con buona probabilità ci spenderò sopra un discreto quantitativo di ore, ma ragazzi parliamoci chiaro: il progetto sembra avere delle ambizioni piuttosto modeste. Inutile girarci intorno. E i primi test, così come il gameplay off-screen qui sotto, sembrano confermare questa prima impressione.

Non che ci sia nulla di sbagliato di per sé in un progetto del genere, ben vengano anche i titoli che non rivoluzionano niente e/o che non hanno le mire di un Breath of the Wild o di un Red Dead Redemption 2, ma considerata la bravura degli sviluppatori in questione e la promozione a studio first party, era forse lecito aspettarsi qualcosa che puntasse un po’ più in alto. Se i Ninja Theory dovevano creare la cosiddetta killer app per Xbox, o comunque un titolo in grado di rivaleggiare con le esclusive Sony, la strada intrapresa non sembra essere quella corretta.

A questo punto però chiediamoci: ma è Microsoft che non riesce proprio a valorizzare i suoi team interni? E’ forse vittima di un maleficio lanciato dalla concorrenza? E’ vero che il titolo era già in cantiere prima dell’acquisizione, ma all’epoca Ninja Theory era uno studio indipendente che doveva confrontarsi con tutti i limiti del caso, economici e non. Una volta passati sotto l’egida verde, immagino siano stati presi degli accordi precisi sulla caratura che il progetto finale avrebbe dovuto assumere e questi sono i risultati preliminari. Nonostante sia ancora presto per sentenze definitive, la sensazione è che sia stata sprecata un’ottima occasione, accontentandosi di edificare una casetta al posto di un grattacielo sulle stesse ottime fondamenta. Direte voi: vabbè, magari si tratta solo di un progetto minore per tamponare questo ultimo anno di vita della console e ripartire in pompa magna con Scarlett. Probabile anche questo, non sapremo mai le reali intenzioni della società, prima però di arrivare alle conclusioni vi invito a considerare anche Gears 5.

A voi, in tutta sincerità, sembra che Microsoft creda più di tanto in questo progetto? Annunciato allo scorso E3, scomparso dai radar per un anno, torna qualche giorno fa sul palco della fiera losangelina con un paio di fiacchi trailer in computer grafica, la data di uscita e chi s’è visto s’è visto. A giudicare dai pareri del pubblico su social e forum, l’entusiasmo e le aspettative per questo quinto capitolo sono ai minimi storici per la saga. Ecco, tutto questo a me ricorda tantissimo un altro testosteronico brand che, arrivato alla sua quarta incarnazione, cominciava a generare nel pubblico i primi sintomi del terribile sfraccasamentus pallis. In quel caso però, l’operazione di rilancio effettuata per il capitolo successivo è stata di ben altro tenore: finanziamenti monster, ampliamento dello studio, nuovo director, stravolgimento delle fondamenta ludiche, innovazione, coraggio e strano a dirsi, vendita a prezzo pieno. Il risultato, bé, penso parli da sé, vero Kratos?

Sorvolando sui problemi comunicativi lampanti, cosa offre di nuovo questo Gears 5 oltre al solito gameplay e a una canzone di Billie Eilish? Poco o nulla, mi pare. Da qui una delle ultime domande che mi, e vi, pongo è la seguente: possibile che in Microsoft nessuno abbia percepito un po’ del malcontento serpeggiante tra gli appassionati e abbia cercato delle soluzioni per rilanciare una saga con un potenziale simile? Di nuovo, mi risulta difficile immaginare i capoccia di una multinazionale così ottusi e sprovveduti.

E allora cosa resta da fare se non assumere che anche questa sia stata una decisione presa consapevolmente? Poco o nulla, se non tirare le fila del discorso. Senza girarci troppo intorno, quello a cui penso da qualche giorno a questa parte è che Microsoft potrebbe aver deciso deliberatamente di tirare il freno, ridurre i budget e limitare le ambizioni dei suoi studi, facendo così quadrare le spese. Sono ovviamente speculazioni le mie, ma guardando quei due calcoli da osteria fatti sopra, sembra proprio che il proporre giochi al lancio in un abbonamento sia semplicemente insostenibile. E a meno che io non abbia dimenticato qualche variabile, i conti non tornano.

Dal punto di vista di Microsoft mi immagino insomma che le cose possano essere andate più o meno così: “Okay, dobbiamo lanciare un abbonamento perché è un modello di business che potenzialmente garantisce introiti enormi (pensate a Netflix). Come fare? Semplice, prendiamo studi e brand il cui solo nome possa garantire una buona risonanza e trainare le vendite, castriamo i loro lavori mantenendo bassi i costi, spingiamo la gente a iscriversi con una promo ai limiti dello scherzo (ragazzi il mensile è in offerta al costo di un caffè), fidelizziamo milioni di clienti, e poi stordiamoli con un fiume di contenuti, a prescindere dalla loro effettiva qualità (di nuovo, pensate a Netflix).”

Ora, è chiaro che ho voluto essere pittoresco nelle mie speculazioni, ma chissà, forse non sono andato nemmeno così distante dalla realtà. Lungi da me fare il cospirazionista o voler urlare al complotto ai danni di noi videogiocatori, ma volendo dare un senso alle cose, questa mi sembra una spiegazione verosimile che mette insieme tutti i pezzi in maniera più o meno logica.

Cosa succederà allora se questa pratica dovesse divenire la normalità? Questo apparentemente insostenibile modello di business decreterà la fine della creatività? Priverà il nostro medium di qualsivoglia ambizione artistica? Il futuro che si prospetta all’orizzonte è davvero così roseo come ce lo vendono? Bé, a tutto questo vi avevo risposto già 1800 parole fa: “cosa volete che ne sappia io, ultimo degli ignoranti?”. E’ per questo che siamo qui, per discuterne insieme: chissà che tra di voi non ci sia qualcuno che le risposte le ha per davvero. Nel frattempo:

  • Xbox Game Pass Ultimate (Xbox Live + Game Pass su Console): 14,99€/mese
  • Uplay+ (titoli al lancio più accesso a libreria giochi Ubisoft): 14,99€/mese
  • Stadia PRO (accesso a catalogo giochi da definirsi): 9,99€/mese

Ci sarebbero poi anche PlayStation Now (14,99€/mese) e EA Access (4,99€/mese) che però offrono un servizio leggermente differente, non aggiungendo al proprio catalogo le produzioni al lancio. Nulla esclude però che la situazione non possa mutare in futuro.

Prima di cedervi la parola, per tutti voi che siete arrivati fin qui, eccovi un piccolo regalo. Questi sono due lapidari tweet di Jason Schreier postati qualche giorno fa, ma scoperti a editoriale quasi terminato. Un tizio il buon Jason che in questo mondo, a differenza mia, non è propriamente l’ultimo arrivato e le cui parole, forse, sono degne di un minimo di credito.

Ed ora, a voi!

Ci sono 1 commenti

Chrislight

Sul poco budget stanziato,da parte di Microsoft,per lo sviluppo dei propri first party non sono pienamente d’accordo. Infatti non molto tempo fa era trapelata una notizia che vedeva Halo infinite il progetto più costoso dell’industria videoludica con 500 milioni di dollari, soldi investiti nel solo sviluppo e non campagna pubblicitaria. Sul modello economico da te enunciato non posso dare un parere in quanto non laureato in economia, sebbene si evince superficialità nella trattazione. Sulla sostenibilità di tripla A ed abbonamenti si dovrebbe interpellare un esperto del settore, che ci possa dimostrare con dati alla mano (e non con i conti della massaia) la sostenibilità o meno di questo modello di business nel mercato videoludico, altrimenti sono solo speculazioni.
Ps Il mio commento non vuole essere provocatorio, so bene che l’intento dell’articolo vuole essere quello di porre il problema senza dare una soluzione, al fine di stimolare il dialogo tra noi lettori. Spero che in un prossimo futuro ci possa essere un bell’articolo esaustivo su questo argomento.
Complimenti per il progetto che portate avanti con gameplay Cafe continuate così.

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