Sono settimane che cerco di scrivere questa recensione, senza riuscirci mai. Per un motivo o per l’altro non appena mi ci metto vedo quel cursore lampeggiare su campo bianco e mi blocco. È come se Starlink: Battle for Atlas parlasse a due Roberti differenti: quello del 1997/98, costretto due mesi in una casa di campagna in compagnia di un Lylat Wars per Nintendo 64 spolpato fino all’ultimo segreto, con partite perfette, e quello di quasi quarantanni con figli a carico, una moglie bellissima – latu sensu – e un lavoro appassionante. Nel secondo Roberto, ormai tornato al suo primo amore, la strategia a turni, il fuoco che ardeva per Fox McCloud e la sua squadra divampa ancora. Dietro alle sue spalle, in questo preciso istante, campeggia l’intera collezione delle navi prodotte da Ubisoft per Starlink, comprese le edizioni limitate ai mercati stranieri e l’Airwing per Switch nonostante lui non possieda quella console. Di Battle for Atlas ha giocato sia la versione PlayStation 4 ché quella PC via Uplay, innamorandosi ogni volta di quel sistema di controllo tanto semplice quanto immediato, di quei paesaggi saturi di colori e bestie selvatiche, dei personaggi che danno voce alla storia diretta da Laurent Malville, Creative Director di Ubisoft Toronto e, più in generale, da quel clima arcade caricaturale da sempre selling point del brand Nintendo.
Battle for Atlas è il videogioco perfetto per incarnare il famigerato 75
Al contrario, il Roberto di diciassette anni non aveva un backlog sterminato, non veniva risucchiato da dozzine di annunci e news come accade oggi grazie a internet… ma soprattutto attribuiva a ogni IP acquistata un valore che ormai è andato perduto ed era riassumibile in “quello avevi e a quello giocavi”. Il mio non riuscire a scrivere di Starlink nasce da questa forte contrapposizione emotiva: la nostalgia per un tempo fatto di ripetizione forzata ma carica di significato versus la pulsione di cui siamo tutti vittime che ci spinge alla ricerca del nuovo, del diverso, dello sconosciuto un po’ come spiegava Jacques Lacan (1901 – 1981) per giustificare l’aumentare delle separazioni coniugali con la post-modernità. Dopo il trailer cercherò di spiegarvi perché, secondo me, Battle for Atlas è il videogioco perfetto per incarnare il famigerato 75: il voto che si dà a quei titoli che hanno il potenziale per sbaragliare la concorrenza ma che lo nascondono in attesa che qualcuno lo scopra.
A otto mesi dalla pubblicazione credo sia poco utile dilungarmi sul particolare segmento di mercato in cui Starlink avrebbe voluto piazzarsi, ossia quello dei toys to life già occupato dai vari Skylanders di Activision, Disney Infinity e Lego Dimensions di Warner Bros., foss’anche solo perché nessuno di questi competitor (ché gli Amiibo di Nintendo fanno gara a sé) navigava già allora in buone acque e che la stessa Ubisoft, a causa delle vendite scarse, si è trovata costretta a interrompere la produzione delle astronavi e degli accessori da agganciare ai pad di PlayStation 4, Xbox One e Switch lo scorso aprile. Altrettanto marginale è lo specificare che Starlink non è uno sparatutto tout court, bensì una sorta di No Man’s Sky zippato e farcito di una narrativa ben sceneggiata. Il contesto è quello di una scoperta aliena in Antardite che porta il professor Victor St. Grand a costruire un’astronave a curvatura – la Equinox IV – per esplorare il sistema Atlas alla ricerca di un oggetto misterioso. Alle sue calcagna c’è il Comandante Grax e la sua Legione Maledetta, intenzionato a rubare il segreto della produzione del Nova: una nuova forma di energia sintetizzata da St. Grand. Le cose finiscono male per la spedizione terrestre e il professore viene rapito, lasciando agli altri membri della squadra il compito di salvarlo e scoprire il mistero della fuga dei Guardiani dai sette (otto?!) pianeti di quel sistema solare.
In termini di scrittura il lavoro di Ubisoft Montreal non si discosta dal canone del genere: una trama leggera, con protagonisti caricaturali, sicuramente efficace nel solleticare l’immaginario del giocatore fatto di archetipi: dall’ufficiale occidentale disciplinato al guerriero orientale con il senso dell’onore e della giustizia, passando per la meccanica punk tutta muscoli e l’adolescente scapestrato che guida una nave blu elettrico con lo stemma di una scimmia. Funziona? Sì, funziona, è immediata, incuriosisce quel tanto necessario a tenere viva la curiosità complici anche delle missioni secondarie che approfondiscono aspetti laterali dei personaggi, fornendo un contesto dal senso più allargato. Niente di paragonabile allo storytelling di un Mass Effect a caso, sia chiaro, ma nel suo seguire le orme di Star Fox è pacifico affermare che Starlink faccia il suo (e bene).
nel suo seguire le orme di Star Fox, la trama di Starlink fa il suo dovere
Per quanto riguarda le meccaniche di gioco, se escludiamo le scene di intermezzo, il tempo trascorre a bordo dell’astronave scelta per affrontare la missione. Si può cambiare con le altre a disposizione quando si vuole, compreso l’armamentario composto da una trentina di gingilli differenti per cadenza di fuoco, danni, portata, consumo di energia ed elemento di appartenenza che incide, secondo il principio della “forbice, carta e sasso”, nella capacità di offendere o meno un avversario. Non è un approccio esclusivo, in realtà, quindi nella maggior parte dei casi scegliere armi del ghiaccio per abbattere nemici che lo soffrono è solo consigliabile. Nella versione vanilla ci sono abbastanza personalizzazioni da potersi sbizzarrire fino alla nausea, quindi le eventuali microtransazioni per acquistare tutte le combinazioni possibili resta a discapito di chi è solito farsi prendere dal completismo più spinto. Anche su questo aspetto, se la domanda fosse “funziona?” la risposta sarebbe affermativa, pur nei limiti di un gameplay arcade molto superficiale e senza una vera sfida.
Dopo aver accennato alla trama e alla peculiare facoltà di cambiare tutto in corsa, è bene spiegare che Starlink è un open world che concede al giocatore la libertà di visitare la superficie di sette pianeti estremamente curati nell’aspetto e girovagare per una, seppur limitata, porzione di spazio interplanetario carico di punti di interesse e risorse da recuperare. Tutto il sistema di gioco si basa infatti sul recuperare risorse, mod, artefatti, minerali da scambiare o barattare per migliorare le statistiche della nave o della Equinox IV. Anche il personaggio selezionato in principio ha delle statistiche che migliorano col tempo, ivi compresa l’affinità con le armi montate esplicitata da una barra dei progressi. A conti fatti non si tratta di nulla degno di nota o innovativo, se non fosse che parametri quali la resistenza al fuoco nemico o la velocità di recuperare l’energia consumata sono fondamentali per avere la meglio su alcune missioni secondarie già dal secondo pianeta scoperto.
ogni corpo celeste è letteralmente imbottito di cose da fare
A lato di queste, ogni corpo celeste è letteralmente imbottito di cose da fare, tipo avamposti che vanno salvati dalla presenza della Legione, centri minerari da foraggiare per ottenere crediti, nidi di alieni bellicosi che vanno epurati per garantire alle istallazioni di ricerca di esplorare la superficie senza interruzioni, bestie sconosciute di cui leggere il DNA così da classificarle e, più in generale, decine di altri elementi di contorno insignificanti per il viaggio verso i titoli di coda ma forieri di una longevità che va a raddoppiare quella richiesta per portare a termine la main quest. In tutto questo ben di Dio si annida il più grande difetto di Battle for Atlas, ossia la sua ripetitività: al terzo avamposto ripristinato, al decimo nido di Imp fatto brillare, all’ennesimo animale autoctono scannerizzato uno perde il gusto della scoperta e si accorge di giocare solo per sbloccare un obiettivo o potersi dire allo specchio di aver scoperto “tutto, tutto, tutto”.
Arrivati fin qui vi riporto allora al punto di partenza, spiegandovi meglio quello che intendevo quando scrivevo che non riuscivo a superare il blocco della pagina bianca. Starlink: Battle for Atlas è un videogioco curato in ogni dettaglio, lo si vede ogni qualvolta si scorge un elemento dello scenario in lontananza o si guida la propria nave tra le costole di un animale morto sulla superficie di quel pianeta chissà come, chissà quando. Il sistema di controllo, forse eccessivamente semplificato da feature quali il salto orizzontale e l’armatura energetica da usare come uno specchio per riflettere particolari tipi di colpi, se anche non fa gridare al miracolo permette di gustarsi ogni scontro senza impazzire con particolari richieste di precisione e mira (o meglio: solo in alcuni casi). Gli ambienti sono ricchi, colorati, gonfi di hotspot e tutti da indagare per scoprire i segreti di quell’universo narrativo. I personaggi sono sufficientemente carismatici da risultare simpatici, pur senza mietere vittime a causa dell’immedesimazione. Insomma: tutto funzionerebbe a dovere… a patto di trovarmi rinchiuso in una casa di campagna con il PC senza internet e davanti a me ci fossero tre mesi estivi da cui fuggire.
Ho giocato Starlink: Battle for Atlas su PlayStation 4 e PC, via Uplay, grazie ai codici forniti dal publisher e possiedo tutte le astronavi prodotte da Ubisoft Montreal, comprese le edizioni limitate ai paesi stranieri.
Struttura
Collezionabili e Extra
Scheda Gioco
La verità è che nel mio SSD ci sono 300 GB di giochi da provare, mentre nelle mie librerie online riposa qualche terabyte ancora vergine e non ho alcuna spinta o voglia di perdermi sui pianeti di Starlink per esaminare tutte le loro spigolosità. In larga parte questa mancanza di grip sul mio (poco) tempo libero è dovuta alla leggerezza di un gameplay che se anche presenta molte variabili resta troppo semplice, andandosi a ripetere settore dopo settore. Avete presente Red Faction Guerrilla? Ecco: toglietegli quella patina da “gioco per rivoluzionari duri di cuore” e otterrete qualcosa di simile a uno Starlink senza astronavi. Ciò che mi resta, allora, è una sfida lineare e un po’ di grinding per affrontare al meglio i boss. Se il gameplay avesse avuto un ritmo paragonabile a quello di Lylat Wars, con sequenze e pattern di attacco da imparare a memoria per una run perfetta, forse la mia esperienza con Battle for Atlas sarebbe stata differente… ma come scrivevo all’inizio Starlink non è uno sparatutto e nemmeno un 4X in cui la libertà di azione avrebbe potuto sorreggere l’intera infrastruttura di gioco, quindi quel 75 usato per etichettare i prodotti a cui manca qualcosa per eccellere è l’unico voto possibile.
Questo articolo contribuisce a sostenere la ricerca scientifica sulla sindrome di Rett. Trovate i dettagli dell’iniziativa a questo link.
Su PC è una piccola meraviglia di colori e forme. Non so fino a che punto la mia nostalgia di un tempo che non c'è più incida sull'effetto che quella saturazione produce ai miei sensi, ma ogni pianeta mi ha donato tanta gioia in stile Nintendo.
La colonna sonora è dimenticabile, mentre al doppiaggio italiano bisogna riconoscere un certo mestiere. Le stringe di dialogo sono interpretate, non ci sono errori e davvero non si può muovere alcuna critica al team che lo ha localizzato.
Il sistema di controllo è semplice e arcade, le mssioni principali sono sufficientemente accattivanti così come quel vagare tra lo spazio fuggendo dalle trappole della Legione Dimenticata per raggiungere un pianeta o un ammasso di detriti... però tutto si ripete in maniera quasi ridondante fin da subito, senza una sfida degna di essere approfondita con la pratica.
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Ma si gioca solo in terza persona?
Sì. Niente dogfight a là X-Wing, putroppo.