Recensione di gmg215
Shenmue 3 esiste in una dimensione autonoma e senza tempo, scolpito e cristallizzato con cura e con amore. Costruito grazie alle donazioni dei fan attraverso Kickstarter, ripaga con l’illusione che questi andavano cercando, ovvero la possibilità di proseguire l’avventura di Ryo Hazuki come se i diciannove anni passati dalla sua brusca interruzione non fossero mai passati. Sarebbe tuttavia inesatto ridurre a una mera questione sentimentale quella che in realtà è una crociata in favore di una determinata idea di cosa è un videogioco e di cosa deve fare: le idee che la animano non sono certamente maggioritarie nel presente dell’industria, ma non per questo sono errate.
Shenmue è stato fondamentale per gli open-world, anticipando di poco GTA 3
Moltissimi titoli che godono degli onori della cronaca odierni dovrebbero imparare da Shenmue elementi quali l’importanza di un mondo di gioco vibrante, auto-gestito ed indipendente dalle scelte del giocatore, poiché questo ha la forza di generare l’immersione emotiva che trasforma l’intrattenimento interattivo in un vero e proprio viaggio virtuale attraverso lo spazio ed il tempo.
La storia di Shenmue 3 riprende esattamente dove il predecessore datato 2001 aveva lasciato. In un piccolo villaggio rurale sito nella regione di Guilin in Cina, Ryo incontra Shenhua, la figlia dello scalpellino locale, ed insieme scoprono la grotta da cui provengono due specchi molto preziosi, detti della Fenice e del Dragone. Quest’ultimo era stato rubato dal perfido Lan Di al padre di Ryo nell’incipit del primo gioco della saga: nel dojo di famiglia, a Yokosuke, si consuma infatti l’omicidio che scatena la sete di vendetta del giovane liceale giapponese.
Ryo, sebbene solo un ragazzo, è consumato dal desiderio di vendetta
Questa furia ceca lo consuma e lo rende un personaggio tragico nella sua bidimensionalità: Ryo rinuncia alla sua vita di adolescente, lasciando amici e familiari, per inseguire a testa bassa l’assassino del padre. Molte scene, soprattutto nei primi due capitoli, sono commoventi nel raccontare con discrezione questo passaggio traumatico alla vita adulta.
Il gioco è diviso in due macro-aree molto grandi ma frammentate da numerosi caricamenti: il villaggio di Bailu nel Guilin e la cittadina di Niawou, sempre in Cina. In entrambe si devono svolgere dei compiti primari e secondari. A differenza di altre serie storiche come The Elder Scrolls, Shenmue ha continuato a rigettare l’utilizzo della mappa con gli obiettivi: per orientarsi occorre necessariamente chiedere alle persone che si incontrano per strada. Al solito, ognuna di esse ha svariate linee di dialogo e le domande che Ryo automaticamente pone sono aggiornate col proseguo della narrazione.
Negli anni, Shenmue non si è piegato alla dittatura della mini-mappa. Orientarsi è compito del giocatore
Questo escamotage contribuisce in maniera determinante ad aumentare il coinvolgimento, ed allo stesso tempo costringe il giocatore ad aguzzare l’ingegno ed osservare con attenzione i dintorni alla ricerca di punti di riferimento. La missione principale coincide con la storia medesima, mentre le attività secondarie consistono semplicemente nel compiere piccoli favori ad NPC in cambi di denaro oppure oggetti particolari. Tuttavia, Shenmue non sarebbe completo senza una sostanziosa gamma di mini-giochi: dalla pesca al lavoro da taglialegna, dall’allenamento di kung-fu al gioco d’azzardo. Ancor dippiù che nei primi due episodi, il giocatore è incoraggiato, ed in alcuni casi forzato, a partecipare a questi passa-tempi durante la storia principale. In due occasioni il gioco impone di racimolare una notevole somma di denaro al fine di avanzare nella trama, bloccando cosi il ritmo della storia. In generale, una scelta di game design di questo tipo, ovvero che prevede del grinding obbligatorio, tende a risultare controversa (vedi numerosi casi targati Ubisoft). Nel caso di Shenmue 3, tuttavia, essa si integra in maniera abbastanza organica nel mondo di gioco, grazie ad una serie di meccaniche “iper-realistiche” che contribuiscono ancor dippiù a far calare i giocatori nei panni di Ryo.
Vi è libertà assoluta nello scegliere come far soldi, anche se il gioco non è parco di indizi su quali siano le modalità più efficienti: si possono raccogliere erbe curative da rivendere in farmacia, oppure farsi consigliare numeri e colori fortunati da un preveggente, giocarseli al casinò, racimolare fiches (chiamate token nel gioco) e scambiarle per un premio da rivendersi al negozio dei pegni. Non esistono scorciatoie a questo percorso guidato che, per come le mappe sono (astutamente) progettate, implica necessariamente esplorazione ed interazione continue con tutti i dintorni.
Ryo deve mangiare ogni giorno per ripristinare la stamina, che viene usata sia nell’esplorazione che nei combattimenti
Ryo ha anche bisogno di denaro per comprare alimenti da mangiare al fine di tenere alta la stamina, che funziona da salute durante i combattimenti e diminuisce col semplice camminare o correre. Questa meticolosa laboriosità del gioco, che tende ad imporre la “giornata-tipo virtuale al giocatore, è tipica della saga e rispecchia l’idea di intrattenimento coraggiosamente e coerentemente portata avanti dal suo creatore, Yu Suzuki. In barba a qualunque moda odierna, Shenmue predilige sempre un ritmo compassato e sereno, che richiede al giocatore trasporto ed abbandono volontario di ogni appiglio alla realtà.
Pur avendo smussato qualche ruvidezza, il gameplay rimane abbastanza legnoso in fase esplorativa (si corre col tasto dorsale!), ma è sorprendentemente vibrante in fase di combattimento. Collezionando libri di abilità, si ha accesso a molteplici set di mosse da attivare con combinazioni di tasti, come in origine era nel picchiaduro SEGA Virtua Fighter. Allenandosi con uno sparring partner o con un fantoccio di legno si aumenta il livello di ogni mossa, fino ad arrivare ad un massimo grado di padronanza. Gli scontri sono sempre preceduti da filmati oppure dai famigerati quick-time event (QTE), i quali non sono certo della fattura di Naughty Dog ma risultano comunque piacevoli per fascino ed ironia delle scene mostrate.
Sviluppato con l’Unreal Engine, Shenmue 3 non ha la pretesa di disporre di un comparto tecnico all’avanguardia. La resa grafica aggiunge un maggior livello di dettagli e qualche tocco di grazia alla veste delle due iterazioni per Dreamcast. D’altra parte, l’arte del gioco risulta ispirata come non mai, coadiuvata anche da una colonna sonora assai gradevole che riprende molti temi storici della saga: colori vivi ed allegri sono stesi su scenari incantevoli che non possono non conquistare l’istantaneo affetto del giocatore curioso e paziente.
Shenmue è un gioco profondamente giapponese e questo è parte del suo fascino
I paesaggi sono interamente cinesi e, sebbene si tratti di una preferenza personale, esiste la speranza che la storia riporti presto Ryo in patria nipponica, cosicché il gioco possa riproporre la “giapponesità” autentica di Dobuita. Infatti, la saga del giovane Hazuki non si conclude con Shenmue 3 (non è spoiler, lo ha dichiarato lo stesso Yu Suzuki durante molteplici interviste) e questo è un punto delicato da sottolineare: esisterà un ulteriore seguito o rimarremo con una storia incompleta ed ancora lungi dall’essere conclusa? Il desiderio degli appassionati di terminare il viaggio assieme a Ryo deve ancora realizzarsi e, al momento, sperarci pare ancora troppo ottimista. Tuttavia, questo terzo capitolo riesce a risultare gradevole pur senza chiudere il cerchio: a conti fatti, lascia anche la voglia di qualcosa in più. Nel mercato videoludico ci deve essere posto per prodotti coraggiosi, caparbi e polarizzanti come Shenmue, perché la storia ci insegna come siano proprio questi ad abbattere nuove barriere e ad iniziare nuove tendenze.
Ho giocato a Shenmue 3 su PS4 Pro con copia digitale acquistata su Playstation Store. Ho portato a termine la campagna in circa quindici ore, incluse alcune attività secondarie e molti ciocchi di legno tagliati. Ottima resa audiovisiva. Il gioco è sottotitolato in italiano.
DurataIn conclusione, Shenmue 3 riesce ad essere anacronistico e pionieristico allo stesso tempo, poiché la sua originalità di fondo è rimasta largamente intatta negli anni. Si tratta di un gioco che tutti gli appassionati dei capitoli originali dovrebbero giocare (mentre non ha senso giocarlo se manca la conoscenza della premessa narrativa), per nostalgia ma non solo: alcune meccaniche sono ancora brillanti e garantiscono molte ore di divertimento. Non capita tutti i giorni di viaggiare in posti come Yokosuke o il Guilin e la possibilità di farlo dal divano di casa andrebbe colta.
Sviluppato con Unreal Engine, il gioco presenta una grafica datata che tuttavia segna una continuità meravigliosa e senza tempo con i primi due capitoli per Dreamcast. Il comparto artistico brilla per autenticità e fascino.
Molti temi vengono ripresi da Shenmue I e II: adesso come venti anni fa risultano assolutamente gradevoli, rilassanti e suggestivi. Il doppiaggio (almeno quello in inglese) non è di primissima qualità ma anche questo è deliziosamente in linea con la tradizione della saga.
Gameplay moderatamente legnoso in fase di esplorazione, con una mappatura dei comandi che tradisce una visione antiquata del videogioco. Tuttavia, il ritmo compassato impedisce che questo diventi molesto: se si privilegiano la fluidità e la responsività dei comandi rispetto all'arguzia delle meccaniche di game design, allora giocare a Shenmue è un errore concettuale.
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Lunga vita a Yu Suzuki. Questo gioco mi ha trasportato nuovamente negli anni 90.
Un prodotto da conservare ed apprezzare
Sicuramente fa parte dei titoli che hanno fatto la storia dei videogiochi.. purtroppo però non avendoli mai giocati non riesco ad avere ad oggi l’interesse per metterci le mani su!
Ho recuperato i primi due l’anno scorso perche’ ero incuriosita. Ti devi far trascinare dall’atmosfera e poi avere un pochino di pazienza in determinate fasi di grinding