“Ground Control to Major Tom… “: per ovvi motivi appena ho iniziato il mio viaggio in compagnia di Journey to the Savage Planet mi è subito tornata in mente questa canzone, che come un martello pneumatico ha iniziato a battere fortemente nelle mie meningi durante le sessioni di gioco. Del resto, la sensazione di vuoto, quell’attanagliante malessere del sentirsi soli e spaesati all’interno di un mondo completamente sconosciuto è proprio la sensazione principale che riesce a trasmettere la produzione targata Typhoon Studios, le cui radici affondano in un format bizzarro e dal forte taglio caratteriale. Senza rivoluzionare e senza esagerare, senza stravolgere o reinventare, la missione del team di sviluppo di mescolare una formula complessivamente già vista ma con un forte piglio in termini di scrittura e realizzazione estetica può dunque considerarsi riuscita? La risposta è probabilmente sì. Perché dopo aver portato a termine il viaggio interspaziale in compagnia del silenzioso alter ego che il gioco ci lascia impersonare, la voglia di viaggiare e di scoprire si è lentamente annidata nella mia testa, senza paura e senza ripensamenti di sorta.
Non ho mai pensato di “perdere tempo” prendendomi intere sessioni di gioco a stare fermo e limitandomi ad osservare. In silenzio. Anzi, no. Con “Space Oddity” nella testa e, sopratutto, un sorriso quasi involontario stampato nel cuore.
Cos’è cos’è? Ma che colore è?
Come dice il titolo stesso Journey to the Savage Planet è proprio questo, un lungo viaggio alla scoperta di un mondo tutto nuovo, una realtà ben diversa da quella a cui siamo abituati, da vivere in religioso silenzio mentre si butta l’occhio in una o nell’altra direzione. Lasciarsi trasportare dalla fame di conoscenza è di fatto l’elemento cardine di una produzione che fa della direzione artistica una delle sue armi principali, una produzione dalle possibilità economiche e in termini di forza lavoro tutt’altro che invidiabili, di cui tutti i limiti si notano, certo, ma vengono sapientemente mascherati da soluzioni vincenti e convincenti. Fondamentalmente, l’opera del coraggioso team di sviluppo porta su schermo un plot narrativo molto semplice: per ragioni che presumiamo affondino la loro genesi in una dimensione legata all’aspetto economico, un esploratore si lascia convincere da una gigantesca multinazionale a viaggiare nello spazio, alla scoperta di un pianeta la cui flora e fauna sono completamente avvolte nel mistero.
Voglio subito chiarire un punto fondamentale: la trama di Journey to the Savage Planet non è certamente il punto più alto della produzione, giacché non riesce mai a risultare veramente memorabile o sorprendente sul piano tematico. E no, non basta la presenza di una misteriosa civiltà presente sul pianete di cui i nostri datori di lavoro sembrano voler sapere tutto ad ogni costo per cambiare questa situazione, in verità però tutt’altro che spiacevole. Il vero trionfo è infatti la grande libertà nell’esplorazione, che sin dalle prime battute si avverte fortemente come vero e proprio ago della bilancia del titolo. La missione è in realtà semplice: una volta conclusa l’esplorazione bisogna mettersi al lavoro per trovare un modo per tornare a casa, non prima appunto di aver messo gli occhi su quelli che sono i segreti e gli elementi predominanti di una pianeta splendido e letale nello stesso momento. Appena atterrati, infatti, lo scenario che ci è parso davanti ci ha subito rapito. In un’esplosione cromatica con pochi precedenti, Journey to the Savage Planet ha saputo mostrare i muscoli, offrendoci una vasta landa da circumnavigare in lungo e in largo, esaminando ogni cosa (o quasi) e appuntandola in un diario di viaggio iper tecnologico, figlio di un’intelligenza artificiale che ci fa da guida durante tutta l’avventura e che, più o meno, ci indirizza verso uno o un altro obiettivo.
Journey to the Savage Planet mescola gli elementi da gioco di ruolo a quelli di un Metroidvania con stile
Va detto, però, che l’esplorazione – seppur elemento fondamentale del titolo – non è del tutto libera. La formula ludica, pur affondando buona parte delle sue radici in una formula sostanzialmente ruolistica che si palesa maggiormente se si prende ad esempio in esame il crafting, si lega fortemente ad aspetti più cari ad altre produzioni di generi diversi. La discretamente vasta mappa di gioco è infatti divisa in quattro macro aree, esplorabili però previo ritrovamento e successiva creazione di oggetti legati alla tuta o alla strumentazione in generale, abbracciando così con convinzione una formula da metroidvania molto marcata. Numerosi angoli del pianeta, già dalle prima fasi, sono infatti inaccessibili o non raggiungibili a causa proprio della strumentazione e, dunque, va di per sé che tornare sui propri passi dopo aver creato l’uno o l’altro strumento diventa una della soluzioni più ovvie e se vogliamo obbligatorie della formula ludica imbastita dal team di sviluppo. La struttura del gioco, però, si apre anche ad altre diramazioni, decisamente più “pratiche”. Il mondo di gioco, e ciò si avverte avanzando man mano, pullula di creature di ogni sorta, non tutte docili e divertenti come gli uccelli palla iniziali, le quali provano ad attentare alla vita del giocatore in più modi e senza troppa pietà. Di conseguenza, armati di una bocca da fuoco potenziabile man mano con l’avanzare della progressione e con la scoperta di nuovi oggetti, è necessario passare all’azione più diretta, seppur questo non risulti mai la parte più riuscita del gioco.
Va detto che in Journey to the Savage Planet sono presenti anche alcuni boss, tutti molto particolari e spesso legati ad una ben precisa scelta di level design, e la cui sconfitta richiede al giocatore una buona dose di padronanza anche di elementi come il platforming. Sostanzialmente, la forza di Journey è proprio questa: l’abilità di mescolare con un piglio strampalato e frizzante diverse tipologie di gioco, con un risultato finale molto soddisfacente, chiaramente considerando anche il prezzo budget di vendita e, come dicevamo in apertura, le risorse prime alle spalle della produzione stessa. Dulcis in fundo, la struttura ludica si affaccia con timidezza anche nei sempreverdi meandri del survival: ogni strumentazione va creata attraverso l’utilizzo di una stampante 3D in dotazione sulla navicella, che fa un po’ da hub centrale, ma per poter procedere è necessario trovare in giro i vari materiali necessari. Carbonio, Silicio, Alluminio e simili sono ritrovabili sia in bella mostra esplorando il pianeta sia nascosti dalle particolari secrezioni dei curiosi animali che popolano il mondo di gioco, un mondo come dicevamo prima ostile e che, appunto, la cui esplorazione richiede una buona dose di attenzione per evitare di finire rapidamente all’altro mondo. Nel caso, non c’è problema. Il simpatico sistema di clonazione istantanea fa sì che il personaggio ritorni in vita uguale a prima, recuperando anche in parte gli oggetti persi durante la dipartita. La combinazione di tutti questi elementi ha confezionato, per ovvie ragioni, un titolo stravagante, una perla grezza ma allo stesso tempo irradiante, capace di accompagnarmi nel corso delle quindici ore circa necessarie per arrivare alla conclusione nel modo più divertente, irriverente e appagante possibile.
Divertimento in co-op…
In questa disamina, in cui ho evidenziato i punti di forza di un titolo che fa dall’inno alla curiosità e alla voglia di esplorare la propria arma principale, ho lasciato per ultimo un aspetto che definirei fondamentale. Journey to the Savage Planet è un titolo always online e, soprattutto, può essere giocato interamente in co-op online con amici. Pur non avendo avuto modo di provare tale funzione, sono pronto a mettere una mano sul fuoco sul fatto che giocato in compagnia il tutto avrebbe avuto un sapore ancora più dolce e particolare. Chiaramente, comunque, Journey to the Savage Planet non è un titolo privo di difetti, anzi. I principali limiti risiedono principalmente proprio nella natura low cost del gioco, che si palesa procedendo nella storia. La formula generale, infatti, diventa via via sempre un tantino ripetitiva, smorzando inevitabilmente quell’entusiasmo iniziale che ovviamente va lentamente scemando col passare del tempo. Il tutto si ripercuote in parte anche sulla direzione artistica, eccellente ma meno ispirata sul lungo andare.
Le spettacolari lande iniziali, piane verdeggianti e apparentemente incontaminate, riprodotte con una soluzione cromatica carica di sentimento e ispirazione, offrono nuove soluzioni stilisitche (ma sempre coerenti) sul lungo andare, perdendo un po’ di quell’incredibile fascino impossibile da non notare durante le prime ore di gioco. I limiti della produzione si notano anche proprio sull’aspetto tecnico, in cui i modelli poligonali, la densità di pixel e in generale la riproduzione degli scenari mostrano una qualità meno potente sul fronte qualitativo rispetto alla controparte artistica. Niente di clamoroso, anzi, ma chiaramente diventa più facile notare i limiti di partenza della produzione se si fa un discorso strettamente tecnico, chiaramente meno rilevanti nella valutazione di un prodotto che ha come obiettivo, principalmente, quello di stupire e affascinare per ben altre ragioni. In questo contesto si sposa perfettamente anche un livello di difficoltà ben bilanciato, in cui la combinazione di puzzle ambientali e gli scontri coi nemici risultano sempre ben congegnati, seppur senza la mancanza di qualche momento meno riuscito e se vogliamo sbilanciato in termini di livello di difficoltà, dovuto principalmente alla natura fin troppo “debole” (giustamente) dell’alter-ego, rapidamente messo al tappeto dai colpi dei nemici più ostici.
Ho giocato al titolo dei ragazzi di Typhoon Studios sulla mia Xbox One X collegata ad un televisore Ultra HD con HDR 10 plus da 43" per circa venti ore.
DurataJourney to the Savage Planet mi ha fatto sentire veramente un’astronauta abbandonato a sé stesso in una natura completamente sconosciuta e potenzialmente minacciosa. Ho amato esplorare il misterioso pianeta, ma ho anche imprecato a causa di alcuni momenti in cui non riuscivo a proseguire, probabilmente per una mia scarsa attitudine verso i titoli del genere. In ogni caso, comunque, rimane un’esperienza che va assolutamente vissuta, un’esperienza da vivere con gusto, lasciandosi trasportare dagli eventi e, soprattutto, dalla sete di andare alla ricerca di ogni singolo segreto nascosto all’interno di un agglomerato variopinto, la cui esplorazione è legata fortemente all’utilizzo di una strumentazione tutta da scoprire e realizzare. In definitiva, voglio premiare il lavoro di Typhoon Studios. Lo spazio, dopo Journey, non è mai stato così affascinante, al netto di tutti gli ovvi limiti di una produzione lontana da ogni mira dei più ingombranti tripla A.
Seppur povero in termini di densità poligonale, il titolo si dimostra splendido da vedere già dalle prime battute. Coloratissimo e scanzonato più che mai, il prodotto di Typhoon Studios perde un po' della sua originalità estetica col passare del tempo, ma rimane comunque uno dei prodotti più piacevoli alla vista dell'ultimo periodo.
Suon ambientali e doppiaggio di medio livello, senza infamia e senza lode. Il tutto, comunque, funziona discretamente bene.
Divertente da giocare ma allo stesso tempo povero di grandi idee rivoluzionarie. I Vari elementi da cui è composta la sua struttura ludica, comunque, ne confezionano un prodotto frizzante, ottimamente amalgamato e dalla forte carica autoriale.