In meccanica razionale, un corpo viene definito in equilibrio stabile se, in seguito ad una leggera perturbazione, esso tende a ritornare nella sua posizione. Al contrario, si parla di equilibrio instabile quando, in seguito ad una lieve perturbazione dalla posizione di equilibrio, il corpo tende ad allontanarsi sempre di più. Immaginatevi un masso in perfetto equilibrio sulla cima di una montagna. Se gli date una piccola spinta questo rotolerà fino a raggiungere una nuova posizione di equilibrio, verosimilmente a valle. La posizione iniziale del masso è sicuramente di equilibrio instabile, mentre quella finale, a valle, è di equilibrio stabile. Fatta questa breve introduzione per i meno avvezzi alla fisica, come la si lega al prestigioso franchise Nintendo? In effetti, The Legend of Zelda può essere considerato in una condizione di equilibrio instabile perenne. In questo articolo di approfondimento analizziamo i delicati equilibri che da sempre contraddistinguono l’epica saga Nintendo.
Fin dai suoi albori, le avventure di Link sono state caratterizzate da due elementi preponderanti: il senso di esplorazione e avventura e il level design dei dungeon (nonché, in alcuni casi, dell’intero mondo di gioco). Con buona pace di chi chiede a gran voce un maggior focus sulla componente action (in particolar modo sul combat system), sulla componente RPG o su altri elementi considerati tremendamente secondari da Nintendo stessa nell’ottica di questa saga, Miyamoto prima e Aonuma poi hanno sempre fatto pendere l’ago della bilancia verso l’uno o l’altro elemento, senza mai trovare un equilibrio idilliaco tra le parti. Non a caso, i capitoli più apprezzati da critica e pubblico sono sempre stati quelli che hanno saputo garantire un giusto compromesso tra le due fasi.
Non sempre tutto è stato perfettamente bilanciato
Escludendo il primissimo The Legend of Zelda, che per motivi tecnologici non ha potuto offrire un level design troppo evoluto (al netto di un senso di esplorazione ineguagliato per più di trent’anni), capitoli come A Link to the Past, Ocarina of Time e Breath of the Wild hanno definito, nelle loro rispettive epoche storiche, i punti di riferimento di un’avventura a mondo aperto, sfruttando appieno la tecnologia a disposizione. A sottolineare il fatto che The Legend of Zelda viva di equilibrio instabile lo è la natura dei tre titoli, così estremamente diversa tra loro. Se A Link to the Past introdusse per la prima volte dungeon “oggettocentrici” e un’esplorazione non completamente libera, Ocarina of Time estremizzò tali concetti in una terza dimensione aprendo, in teoria, ad una miriade di possibili evoluzioni, ma paradossalmente accompagnando il franchise verso un punto di non ritorno (la cosiddetta posizione di equilibrio instabile). Così, quell’equilibrio apparentemente perfetto trovato da Miyamoto e soci nel capolavoro epocale del 1999 sfociò in una sorta di masochismo creativo che portò Nintendo a concepire tutti i capitoli successivi attorno ad un unico grande elemento: il level design dei dungeon. Questa scelta, in parte dovuta alla non adeguata tecnologia delle macchine da gioco che hanno ospitato i capitoli principali della saga, portò a quello che possiamo drasticamente definire un vicolo cieco: Skyward Sword. Il canto del cigno del Wii estremizzò la visione di Aonuma e propose quello che, di fatto, può essere considerato un unico, sconfinato dungeon, azzerando quasi completamente la componente esplorativa. Il masso era stato spinto con troppo impeto dalla cima del monte e riportarlo in equilibrio avrebbe richiesto uno sforzo incredibile. Per l’ennesima volta, quindi, i talentuosi game designer della casa di Kyoto avrebbero dovuto trovare un nuovo equilibrio per riportare in auge una saga storica.
Ed eccoci arrivati a Breath of the Wild. Un sorprendente ribaltamento degli schemi e la perdita quasi totale dell’esperienza accumulata sul franchise nel periodo “Post Ocarina”: abbandono della classica struttura dei dungeon introdotta con A Link to the Past e focus totale sulla struttura a mondo aperto come non avveniva dal lontano 1986 (con l’uscita del primissimo episodio su NES). Al centro dell’immenso lavoro di EPD c’è un elemento focale che ha permesso a Nintendo di uscire dall’impasse: l’esaltante motore fisico presente nel mondo di gioco ha permesso di creare un universo che, per la prima volta nella storia della saga (e forse nella storia dei videogiochi), sembrasse vivo ed esplorabile in ogni suo centimetro quadro, a patto di sottostare a poche e semplici regole. Per quanto il nuovo approccio ai dungeon non sia stato apprezzato da tutti, soprattutto dall’ala più estremista dalla fanbase, è evidente che le soluzioni adottate dal team capitanato da Aonuma abbiano un’eleganza e un potenziale senza precedenti. Le mappe 3D dei colossi sacri ammaliano per la loro genialità e per la carica innovativa. Pur nella loro brevità, riescono a proporre una “reale” terza dimensione al level design come mai prima d’ora. Nonostante il periodo “Post Ocarina” vanti molti capitoli con i dungeon più belli e complessi della saga (da Twilight Princess a Skyward Sword), questi erano stati concepiti sulla falsariga di A Link to The Past (un titolo del 1991).
Breath of the Wild ha ridato nuova linfa al franchise
Per la prima volta in trenta anni, dunque, la software house giapponese sembra aver trovato un equilibrio straordinariamente vicino alla perfezione e, soprattutto, sembra aver conferito stabilità lì dove non c’era mai stata. Nonostante questo nuovo approccio abbia rivoluzionato gran parte delle fondamenta dell’intera saga, ad oggi The Legend of Zelda sembra posare su basi più solide che mai. Affermare che il nuovo corso abbia registrato una regressione in termini di level design dei dungeon è una palese forzatura di chi non accetta la nuova pelle di Link. Bisogna invece inquadrare Breath of The Wild nell’ottica di una vera e propria evoluzione/rivoluzione ed essere consapevoli del fatto che le possibilità offerte da questa nuova struttura sono pressoché infinite.
Nintendo ha finalmente trovato un equilibrio?
Chi si aspetta un ritorno alla formula di Ocarina of Time nel breve periodo rimarrà alquanto deluso. La nuova strada percorsa da Nintendo ha dato modo di sprigionare nuovamente quella scintilla creativa dirompente che difficilmente verrà accantonata per i capricci di qualche fan di vecchia data. Potremmo aspettarci un perfezionamento della formula, nonché un’evoluzione esponenziale negli anni a venire, ma sarebbe un’enorme sorpresa se nel sequel di BOTW ci trovassimo nuovamente di fronte a dungeon “oggettocentrici” e ad un’esplorazione parzialmente guidata. Questo ritrovato equilibrio (che sembrerebbe addirittura di natura stabile) andrà ovviamente confermato nel futuro prossimo. Per farlo, bisognerà aspettare la prossima grande perturbazione: se il masso tornerà indietro, avremo avuto ragione, altrimenti bisognerà tornare di nuovo indietro nel tempo, magari, chissà, con un’Ocarina.
Devi essere connesso per inviare un commento.
Da ingegniere ho apprezzato tantissimo l’incipit. Visto anche il “sangue” che ho buttato personalmente su quell’esame. Seppur il mio punto di vista sia drogato dal fatto che incredibilmente mi sono avvicinato alla serie solo con breath of the wild (ma sto piano piano recuperandoli tutti), credo in tutta franchezza che sarà difficile tonare ad un struttura in cui i dungeon siano una componente centrale del gioco come era nel passato. Ho trovato i sacrari di BoW una piacevole divagazione dall’incessante e travolgente continua esplorazione del titolo.
Nota a margine, segnalo che la mappa qui inserita mi sembra quella di Link’s awekeing e non quella di Link to the past come scritto nella didascalia
Si è quella di awakening. Gran occhio per non averlo mai giocato.💒
Grazie per la segnalazione. Ora dovrebbe esserci la giusta mappa 😀
D’accordo in pieno col tuo punto di vista. Sarà impossibile tornare indietro dopo BotW, almeno per quanto mi riguarda.
Si è quella di awakening. Gran occhio per non averlo mai giocato.💒
ovviamente me ne sono accorto perchè ho approfittato del remake e l’ho recuperato