La prima stagione di Altered Carbon non mi aveva convinto.
Il tentativo targato Netflix di portare nel suo catalogo un prodotto seriale di fantascienza pur lodevole negli intenti, si era rivelato non del tutto riuscito alla prova dei fatti. Colpa di una scrittura davvero troppo sfilacciata e di una messa in scena sbilanciata sull’azione piuttosto che sull’approfondimento tematico.
Un vero peccato, poiché le premesse narrative del mondo creato dallo scrittore inglese Richard K. Morgan hanno un potenziale davvero notevole.
Ci troviamo, per chi non lo sapesse, intorno all’anno 2384 e l’umanità ha sostanzialmente sconfitto la morte grazie all’invenzione della cosiddetta pila corticale, un piccolo dispositivo impiantato alla base del collo e contenente l’intera coscienza dell’individuo.
All’eventuale morte del corpo, infatti, la pila può essere trasferita in una nuova “custodia”, in pratica un nuovo corpo da abitare, allungando così a dismisura la vita di chi può permettersi questa procedura.
A distanza di due anni, dunque, la showrunner Laeta Kalogridis prova ad aggiustare il tiro con un nuovo ciclo di episodi e con una nuovo custodia per il protagonista Takeshi Kovacs, ora interpretato da Anthony Mackie (il Falcon dell’MCU) in sostituzione di Joel Kinnaman.
Sono passati circa cinquant’anni dagli eventi della prima stagione e Takeshi Kovacs è disperatamente alla ricerca del suo amore perduto, Quellcrist Falconer, leader della rivolta contro il Protettorato nonché inventrice della pila corticale.
La sua ricerca lo porterà su Harlan’s World, il pianeta dove Kovacs aveva conosciuto Falconer e che abbiamo imparato a conoscere nei numerosi ed estenuanti flashback della prima stagione.
Qui uno dei Meth del pianeta, preoccupato per la propria incolumità, chiederà protezione all’ultimo Spedi in cambio di una nuova e tecnologicamente avanzata custodia. Ben presto però Kovacs scoprirà che tutti i più potenti Meth del pianeta, i cosiddetti “padri fondatori”, sono in pericolo in quanto oggetto di una spietata vendetta la cui origine è forse più antica dell’umanità stessa.
Il cambio di ambientazione, oltre ad una nuova linea narrativa, ci porta alla scoperta di nuovi comprimari ed antagonisti.
Tra questi spicca senza dubbio la cacciatrice di taglie Trepp, interpretata da un’ottima Simone Missick, volto noto al pubblico di Netflix per aver interpretato il personaggio di Misty Knight nella serie Luke Cage. Combattiva ma materna, Trepp è sicuramente la new entry più interessante del pacchetto e avrebbe probabilmente meritato maggior centralità nel racconto.
I due antagonisti di questa seconda stagione sono poco convincenti
Meno convincenti invece i due principali antagonisti. Il colonnello Carrera, vecchia conoscenza di Kovacs ai tempi della milizia del protettorato, interpretato da Torben Liebrecht, risulta tutto sommato convincente nell’interezza dell’arco narrativo assegnato al personaggio, sebbene l’interpretazione da caratterista di Liebrecht sia a tratti troppo carica.
Piuttosto scialbo invece il personaggio di Danica Harlan, governatrice di Harlan’s World interpretata dall’affascinante Lela Loren, che dà la sempre spiacevole sensazione di essere “cattiva” senza delle reali motivazioni. Un personaggio che avrebbe sicuramente meritato maggiore attenzione in fase di scrittura.
Purtroppo convince poco anche la Quellcrist Falconer di Renèe Elise Goldsberry, anche in questo caso forse più per una sciattezza di scrittura che per una mancanza interpretativa.
Torna, per la gioia di tutti i fan della prima stagione, l’intelligenza artificiale Poe interpretata da Chris Conner, ora molto più centrale negli eventi e tra i personaggi meglio scritti della stagione. Probabilmente quello con cui instaurerete maggior empatia.
Infine il nuovo Kovacs di Meckie funziona e, almeno per il sottoscritto, non fa sentire più di tanto la mancanza di Kinnaman. Certo, pensare allo stesso personaggio con volti differenti è faticoso, ma dopotutto il concept alla base di Altered Carbon lo prevede (in barba alle lamentele di qualche leone da tastiera) e Meckie offre una performance credibile e in linea col personaggio.
Tra le note di merito va annoverata sicuramente una finalmente trovata compattezza narrativa.
Purtroppo questa seconda stagione, come la prima, presenta elementi ottimi e scivoloni abbastanza evitabili.
Tra le note di merito va annoverata sicuramente una finalmente trovata compattezza narrativa. Le infinite digressioni della prima stagione sono un lontano ricordo e lo spazio dedicato al passato dei protagonisti e alle storyline secondarie è decisamente limitato. Tutto è più organico e comprensibile e il minor numero di episodi (otto, due in meno dello stagione uno) aiuta in tal senso.
Di contro la scrittura pecca non poco di originalità. Si parte da una premessa analoga a quella della scorsa stagione, vale a dire l’omicidio di un meth, per poi affastellare una serie di cliché fantascientifici gettati alla rinfusa, da Matrix ad Alien.
In generale la scrittura è pigra e si ha l’impressione che le tematiche dell’opera originale non vengano adeguatamente approfondite e sfruttate.
Probabilmente si è cercato di non appesantire il prodotto con scene meramente esplicative del contesto, come avveniva in stagione uno, ma si è esagerato nella direzione opposta e ora si ha una fastidiosa sensazione di scollamento tra il plot e l’universo raccontato. Un vero peccato, poi, che non si sia deciso di spingere di più sull’approfondimento psicologico dei protagonisti piuttosto che sugli aspetti sociologici e antropologici del mondo rappresentato.
Tra le note positive, invece, le scene d’azione e i combattimenti, coreografati in maniera esemplare nella maggior parte dei casi e ora meno frequenti e pretestuosi che in passato. Decisamente apprezzabile anche la scelta di non esacerbare, come in passato, il ricorso alle scene di tortura.
L’impatto visivo è vitale per ogni mondo fantascientifico che si decide di portare sullo schermo. Da Blade Runner a Ghost in the Shell, da Tron a Strage Days, la caratterizzazione estetica svolge un fondamentale ruolo di identificazione di quel determinato universo narrativo.
Da questo punto di vista, anche in questa seconda iterazione, Altered Carbon non riesce a spiccare particolarmente.
La direzione artistica non convince infatti fino in fondo e, colpa anche di un valore produttivo a dir poco altalenante, una spiacevole sensazione di “posticcio” aleggia spesso nelle scenografie e nei costumi. Questo, in talune circostanze, finisce per minare il patto fruitivo con lo spettatore.
Ci sarebbe stato bisogno di un budget di altro livello
Anche regia e fotografia sono discontinui e per lo più scolastici, così come gli effetti visivi che talvolta non convincono affatto.
In generale si ha la sensazione che un prodotto di questo tipo avrebbe bisogno di un budget di altro livello per poter rendere al meglio.
Nel complesso questa seconda stagione di Altered Carbon prova ad aggiustare il tiro senza riuscirci fino in fondo. Risolve alcune criticità strutturali della prima stagione ma non compie quel salto di qualità che l’opera originale meriterebbe.
Rimane un prodotto leggero e godibile. Tuttavia il cuore action del prodotto non rende giustizia alle interessanti tematiche sociali di questo particolare mondo cyberpunk e, in generale, si ha l’impressione di trovarsi al cospetto di un progetto indirizzato ad un pubblico non troppo interessato a disquisizioni antropologiche di stampo asimoviano.
Un vero peccato data l’assenza pressoché totale di prodotti analoghi sul piccolo schermo.