La tecnologia è un’opzione che ci facilita la vita, che ci permette di fare delle cose prima impensabili. Ci permette ad esempio di vivere in tempo reale delle situazioni che prima potevano essere vissute solo dietro un racconto o un filmato; a oggi, con la tecnologia, abbiamo annullato le distanze, possiamo giocare in modi che prima erano fuori dal tempo e dall’immaginazione, possiamo, anche in caso di pandemia, continuare a lavorare e studiare.
I videogiochi, ora, ci permettono di vivere delle esperienze dall’interno, circondati dal virtuale. Si è passati dalla scrivania al divano per, finalmente, arrivare all’immersione quasi totale nell’ambiente di gioco.
Ma questi mezzi e strumenti vengono usati anche in campo lavorativo, così come in quello medico e militare e didattico: lo abbiamo letto prima in alcuni racconti di fantascienza, poi visto in televisione e sul grande schermo, ora è realtà. La realtà virtuale ci permette dunque di approcciarci alla “realtà” in maniera diversa, nuova, forse troppo nuova, anche lontana da quella che è la nostra biologia, fisiologia e struttura anatomica.
Tutto questo poteva risultare fantascientifico, spaziale, ma, fortunatamente, ora è reale e lo sarà sempre di più, e alla portata di tutti. In un futuro prossimo ci si allontanerà sempre di più dal classico interfacciarsi con mouse e tastiera (o schermo) per arrivare a usare le mani, o altre parti del corpo, gesticolando e muovendosi nello spazio circostante. E ripeto, è una cosa che già oggi stiamo imparando a fare sempre di più; se anche solo pensiamo alla tecnologia dietro i nostri smartphone o tablet.
Ma siamo sicuri che questa tecnologia sia adatta a noi?
Abbiamo trattato tanti temi riguardanti il potenziale uso e l’attuale uso dei videogiochi e della tecnologia ad essi vicina per migliorare il nostro stato di salute, anche psicofisico. Ma forse è arrivata anche l’ora di mostrare, con prove sul campo, che alcuni tipi di interfacce possono, alla lunga, portare ad avere problemi, magari non gravissimi, ma pur sempre limitanti. Quali possono essere i problemi legati all’uso, in questo caso, di un visore di realtà virtuale?
Un uso saltuario può far pensare a pochi problemi, probabilmente nessuno ma, se ci pensate bene, già solo il fatto di avere in testa un oggetto non leggerissimo, per un po’ di ore, può portare alla comparsa di problemi al collo. È come indossare un casco vero e proprio.
Oppure, problemi legati all’equilibrio, ai giramenti di testa. Questo fenomeno è dovuto al fatto che gli occhi e il cervello elaborano informazioni in un mondo (virtuale) in movimento mentre però i piedi sono ben piantati per terra o, peggio ancora, si è seduti sul divano. Facendo un passo indietro e lasciando da parte per un attimo la Realtà Virtuale, già negli anni ’80 e successivamente nei primi anni 2000, si parlava del “Braccio da Gorilla” o “Gorilla Arm Syndrome”, una delle prime problematiche di tipo biomeccanico legata al mondo della tecnologia.
Una dei primi problemi legati alla VR
Il problema nasceva dal fatto che la tecnologia a schermo si stava dirigendo sempre più verso il pannello verticale. Cominciavano ad essere pensati schermi a tendenza longilinea, schermi da attaccare al muro, oppure, più avanti negli anni, schermi da portarsi dietro e da tenere di fronte ai propri occhi (tablet, smartphone?). Ai classici problemi come vista affaticata, indolenzimenti del collo, mal di testa e tunnel carpale, ora si notavano e si prevedevano dolori a livello della spalla e del gomito.
La Sindrome del Braccio da Gorilla ci indicava che questo tipo di tecnologia, oggi comunque molto diffusa (vedi i vari totem negli aeroporti, nelle stazioni o da Burger King) poteva essere sfruttata, ma non per molto tempo perché, a differenza del gorilla vero e proprio, non siamo capaci, biomeccanicamente, di tenere per molti minuti uno schermo parallelo ai nostri occhi, ad altezza occhi, che sarà toccato con l’indice della mano. Esperimenti e prove mostravano la comparsa di intorpidimenti e formicolii alle braccia e alle dite tanto da spingere, ad un certo punto, quasi verso l’abbandono di questo tipo di interazione.
Addirittura Apple, che dell’innovazione faceva il proprio vanto, nella persona di Steve Jobs, ripropose il tema di questa sindrome, tanto da non essere sicuri del successo dei laptop touchscreen, visti come oggetti per un uso troppo intenso che difficilmente si sarebbero potuti adattare alla morfologia del corpo umano, tanto da investire tempo e denaro per sviluppare device adatti alla tenuta a due mani e alla possibilità di passare dalla visuale in verticale a quella in orizzontale e viceversa, estendendo il concetto di “touch”, rendendolo più ergonomico.
Da Corvallis (Oregon), per la precisione dalla Oregon University State, arriva uno studio che ha potuto valutare come l’utilizzo di questa tecnologia, anche per pochi minuti, possa indurre difficoltà motorie e come si potrebbe migliorare l’utilizzo di questo mezzo, soprattutto a livello di programmazione. Per evitare lesioni neuro-muscolari e muscolo-articolari, gli scienziati vogliono capire quali dovrebbero essere le linee guida base per la programmazione di giochi, strumenti e tutto ciò che può e che sarà legato alla Realtà Virtuale.
Alcune linee guida base per una programmazione migliore
Capire come migliorare i range di movimento, dove piazzare i target nei giochi, come proporzionare il movimento degli arti rispetto alla distanza degli oggetti nell’ambiente circostante, dove sistemare l’interfaccia nello spazio intorno e come evitare di affaticare il senso della vista e dell’equilibrio. Lo studio è stato pubblicato su Applied Ergonomics e vedeva due team di ricerca lavorare simultaneamente, con i ragazzi di Oregon State affiancati e supportati dagli scienziati della Northern Illinois University.
Sono state selezionate 20 persone (10 uomini e 10 donne), con un’età media di 24 anni, che si son visti valutati, ripetutamente, gli angoli delle giunzioni (spalla, gomito, polso, collo), la tensione muscolare e la rigidità di collo e schiena, oltre alla valutazione delle proprie impressioni legate alla fatica alla fine delle prove e la velocità di esecuzione. Le sessioni di VR erano due; una prevedeva un puntamento omni-direzionale mentre nell’altra bisognava dipingere. Tutte e due le prove venivano affrontante in maniera sempre diversa, spostando, nello spazio virtuale circostante, gli obiettivi di volta in volta, ora sopra, ora sotto, ora all’altezza degli occhi.
I risultati hanno mostrato che la flessione del collo, l’angolo di estensione e movimento così come l’angolo di flessione e abduzione della spalla, l’attività muscolare di collo e spalla e il disagio soggettivo nel collo e nella spalla variavano significativamente in base alle posizioni target. Le due sessioni, ripetute cinque volte, prevedevano l’utilizzo di Oculus VR e il raggiungimento di un punteggio limite basato su tempo e precisione, per far si che ci fosse un minimo di impegno da parte del soggetto in studio. Fra ogni mini sessione e la successiva bisognava attendere due minuti, per riposarsi.
Nella stessa stanza dove i ragazzi “giocavano”, erano fissate 8 camere motion capture, focalizzate sui movimenti di testa, collo, spalle e gomiti. Inoltre, per avere dati ancora più precisi, i partecipanti allo studio avevano, su trapezio e deltoidi, vari elettrodi. Di base, gli oggetti a schermo comparivano in posizione diverse, sessione dopo sessione. Le posizioni erano 15° sopra il livello degli occhi, 15° sotto, 30° sopra e 30° sotto e una a scelta del partecipante.
Lo studio ha scoperto che a tutti gli angoli, l’estensione del braccio verso l’esterno ha causato disagio alla spalla in meno di 3 minuti. Nel lungo termine, gli utenti della realtà virtuale sono a rischio di lesioni alla cuffia dei rotatori e ad una forma di affaticamento muscolare simile a quella che era la Sindrome del braccio di gorilla. Inoltre, il peso delle cuffie per realtà virtuale può esercitare pressione sulla colonna vertebrale e causare affaticamento del collo, come confermato dopo analisi precise.
Se un programmatore volesse utilizzare i risultati di questo primo studio dovrebbe partire dall’idea che i target e tutta l’interfaccia dovrebbero essere posizionati ad altezza occhi o, al massimo, 15° al di sotto di essi. I risultati suggeriscono che è il caso di cominciare a programmare seguendo questi dati appena citati, così da evitare affaticamenti inutili e deleteri, così da rendere questa specifica tecnologia alla portata di tutti e sicura per la salute.
Potrebbe sembrare una perdita di tempo e denaro ma, partendo dal presupposto che la tecnologia fa passi da gigante anno dopo anno e che, senza quasi accorgersene, questa è sempre più in simbiosi con il nostro organismo, capire come creare una realtà virtuale sicura e sana è un obiettivo presente e futuro. Grazie alla scienza possiamo e dobbiamo sviluppare una tecnologia che si sposi alla perfezione con il nostro essere biologici e che favorisca la nostra quotidianità, senza dare adito a presunte critiche denigratorie.