Tanti come me saranno cresciuti a pane e CSI Las Vegas (non me ne vogliano gli amanti di Criminal Minds), una serie dall’incrollabile fede nella scienza dove un omicidio si risolve scovando tracce ematiche, impronte digitali e fibre che collegano l’assassino alla scena del crimine, il tutto nel tempo di una pausa caffè. Immaginate ora di prendere il metodo scientifico di Gil Grissom e proiettarlo nel tech noir futuristico di The Signifier dove le indagini si svolgono direttamente nel cervello della vittima, avvicinandoci più a una seduta di In Treatment che non a un bel poliziesco.
In un’epoca sull’orlo della rivoluzione delle intelligenze artificiali The Signifier si pone come una sorta di Minority Report alla rovescia che non prevede gli omicidi tramite l’uso dei Precog ma indaga sugli ultimi ricordi della mente della vittima, a patto che il cervello non sia stato ridotto in poltiglia. All’analisi tradizionale della scena del crimine si affianca il rivivere l’ultima, terribile, esperienza vissuta dal soggetto prima di morire, operazione utile a far salire a galla traumi particolarmente segnanti del passato della vittima che ne hanno condizionato paure e rimorsi lunghi una vita.
Le indagini condotte da Frederick Russell non sono la solita caccia al colpevole fatta di raccolta prove e unione dei puntini ma uno scavare a fondo nella psiche della vittima per estrapolarne la verità, o meglio la realtà. Imparerete rapidamente quanto fumosi siano questi concetti nell’ambito di The Signifier, titolo che ama stravolgere paradigmi come oggettività e soggettività cercando di rinfrescare la formula fissa degli investigativi in prima persona incappando però in diversi inciampi. Per un compito tanto delicato quale quello di scandagliare un animo turbato, il solito detective rude e alcolizzato non faceva al caso di Playmestudio, casa cilena all’esordio, che ha preferito caratterizzare il proprio protagonista con una lavagna piena di equazioni ed una libreria di scritti psicoanalitici piuttosto che col solito impermeabile giallo.
A metà strada tra psicoanalista e detective
L’essere un ingegnere esperto in intelligenze artificiali e psicologia ha permesso a Russell la messa a punto di un avveniristico quanto controverso scanner dell’attività cerebrale profonda chiamato “Dreamwalker“, l’esploratore dei sogni, una macchina che elabora e ricostruisce tramite centinaia di migliaia di simulazioni al secondo i ricordi rimasti impressi nella corteccia cerebrale alla ricerca delle emozioni più significative vissute nelle ultime ore di vita della vittima.
Per capire l’essenza di The Signifier bisogna visualizzare i due (più due) autori che fungono da pietra angolare del mondo di gioco: Ray Kurzweil il cui La singolarità è vicina è sparso per buona parte delle librerie del gioco, e lo psicoanalista Jacques Lacan che postulò la cosiddetta “fase dello specchio”, secondo cui il bambino sviluppa l’idea di sé perché diversa da quella degli altri. Il primo è noto per aver predetto l’imminenza della singolarità tecnologica, ovvero quel punto in cui il progresso tecnologico (le IA) sia vicino a superare il punto di comprensione e previsione da parte degli esseri umani.
A Lacan si deve la nozione di significante (signifier per l’appunto), un’entità astratta che simboleggia il concetto concreto e assume senso solo se messo in relazione ad altri significanti, riprendendo la terminologia del linguista de Saussure che parlava di langue (concetto in sé, come l’idea di albero ad esempio) e parole (l’associazione di lettere “a-l-b-e-r-o” che noi ricolleghiamo a quella specifica entità fatta di foglie, corteccia e quant’altro). L’enfasi sul concetto di significante è resa palese dal poster gigante che trionfa sul laboratorio del protagonista, una stampa del celebre dipinto di René Magritte che ritrae una pipa e la didascalia «questa non è una pipa», un controsenso apparente che si spiega col fatto che quella è la rappresentazione dell’oggetto, non la cosa in sé.
Immancabile, quando si tratta di avanzamento tecnologico e corporazioni, è George Orwell, che viene citato con 1984 e La fattoria degli animali, opere distopiche (a cui abbiamo dedicato una puntata della rubrica Viaggi Mentali) i cui semi sono percepibili all’interno del mondo di The Signifier tramite articoli di giornale, gossip e relazioni personali sempre più ridotte all’individualità.
Al centro di tutto c’è il rinvenimento del cadavere della vicepresidentessa del colosso informatico Go-AT, l’azienda più importante al mondo in ambito tecnologico. Russell è chiamato a indagare su quello che in apparenza sembrerebbe un suicidio sotto mandato della TSB, un super ente governativo che racchiude in sé le tre maggiori agenzie statunitensi: CIA, FBI e NSA. Muovendo i primi passi nel laboratorio di Russell entriamo in confidenza con il gioco che ci lancia suggerimenti tramite articoli di giornale, il quadro di Magritte ed il dossier sulla vittima e con la società di The Signifier sia estremamente dominata dai social media mentre il confine tra IA e uomo diventa sempre più labile.
In un mondo sempre più interconnesso e smart per sopravvivere è vitale essere un passo avanti a una concorrenza letteralmente spietata, e in questo gioco di forza tra Go-AT e TSB avremo nelle nostre mani il potere di scegliere dove far pendere l’ago della bilancia della rivoluzione tecnologica in base a quali saranno le nostre scelte nel corso dell’indagine.
Dopo aver familiarizzato col nostro tugurio e aver letto il file di Johanna Kast, è arrivato il momento di inserire quel che resta dell’attività cerebrale della donna nello scanner del Dreamwalker, una sorta di Animus controllato dalla rassicurante voce dell’IA EVEE che governa il macchinario e si occupa di razionalizzarne i dati. Ma prima di addentrarci nella psiche di una delle personalità più influenti della contemporaneità del mondo di The Signifier il nostro contatto alla TSB ci ricorda che c’è ancora spazio per un’indagine vecchio stampo, consigliandoci di fare un salto nell’appartamento della Kast mentre lasciamo EVEE a processare terabyte su terabyte di dati grezzi.
La capatina all’appartamento della vittima è utile soprattutto per avere un quadro reale dell’abitazione e delle cose al suo interno, un modo per orientarsi nelle opache e metafisiche ricostruzioni dei ricordi del soggetto. È importante chiarire come The Signifier agisca su tre piani paralleli: il mondo reale, lo stato oggettivo e quello soggettivo. Entrambi gli stati mentali sono espressione dei ricordi e dei sentimenti della vittima accessibili tramite il Dreamwalker che per ogni scena elabora sia uno stato oggettivo, per come l’ha vista e la ricorda la vittima, che uno soggettivo, in cui le emozioni giocano un ruolo primario con manifestazioni quali rabbia, vergogna e rimorso che diventano elementi concreti che stravolgono lo scenario.
Premendo il tasto Q è possibile passare da uno stato all’altro risolvendo degli enigmi ambientali che aiuteranno Russell a interpretare i dati grezzi sfuggiti al controllo di EVEE o a disabilitare delle emozioni e sentimenti così forti da bloccare l’avanzamento verso la fine del ricordo, aggiungendo così un altro tassello al nostro mosaico da poter sfruttare nel mondo reale o in un altro ricordo.
Al primo colpo d’occhio The Signifier non affascina per i suoi paesaggi o qualità delle texture, tutt’altro, risultando anzi molto legnoso nei movimenti e sufficiente nelle animazioni dei (pochi) personaggi, ma la musica cambia quando entriamo nei ricordi. Gli artifici grafici che impastano, destrutturano e fondono i ricordi sono incredibilmente suggestivi e surreali, stravolgendo quelle che altrimenti sarebbero comuni ambientazioni come una cucina o un salotto e trasformandole in luoghi onirici in cui perdersi e rimanere sbalorditi.
Ottima perciò la direzione artistica che riesce a stravolgere e a coinvolgere il giocatore usando tanti stili diversi che caratterizzano superbamente lo stato mentale di Johanna a seconda dell’occasione. Un esempio sono le violente pixellizzazioni degli ambienti nello stato oggettivo mentre in quello soggettivo le figure diventano più chiare ma anche distorte e provocanti, oltre che essere più facilmente fraintendibili da EVEE generando così dei glitch (voluti), ma purtroppo anche tanti(ssimi) non voluti.
Risolvere enigmi ambientali manipolando la prospettiva, servirsi di avatar, oggetti grezzi e linee temporali per scoprire un nuovo nodo della trama dà molta soddisfazione per via dei tanti colpi di scena e dell’estrema unicità del viaggio.
L’incrocio delle storie di Russell e Johanna è sì suggestivo e certamente poco banale, ma ha una carenza alla base: la componente investigativa. Questo perché il gioco promette tre macro finali da sbloccare esclusivamente in base alle scelte nei dialoghi ignorando totalmente qualsivoglia componente investigativa autonoma, che a conti fatti non emerge quasi mai, perché semplicemente non c’è spazio per errori di percorso. The Signifier è la storia di un’indagine su binari, il cui unico elemento sul quale il giocatore non è tenuto per mano è il ritrovamento e l’eventuale comunicazione di un determinato codice numerico.
Non fidatevi dunque dei paralleli campati in aria che trovate in giro con Sherlock Holmes per dirne una, dato che qui siamo molto più vicini a un What Remains of Edith Finch o The Vanishing of Ethan Carter. Nonostante la quasi totale linearità della trama i Playmestudio hanno saputo comunque mettere in piedi una storia che convince per la maggior parte del tempo, lasciando sul finale più di qualche perplessità, andando in parte a rovinare il buon feeling creatosi con i personaggi – che peccano in modelli e animazioni troppo goffe – ma che rimangono comunque mediamente interessanti, sebbene spesso inconcludenti.
Nonostante la chiusura finale della storia che dà l’impressione di essere fatta in fretta e furia, The Signifier regala un’atmosfera davvero interessante che non tutti gli esponenti del genere riescono a restituire tenendo il giocatore sulle spine per quasi tutta l’esperienza sfruttando il fascino e il mistero che la mente umana riesce a suscitare (con persino un piccolo jumpscare sul finale, una bella nota). Per completare i cinque capitoli non saranno necessarie più di 8 ore per la prima run, mentre se siete dei completisti e volete sbloccare tutti e tre i finali dovrete contarne altre 4 o 5 a run se non volete passare per la selezione manuale dei capitoli già giocati.
In conclusione The Signifier ha diversi pregi ma altrettanti difetti. La storia nonostante quell’alone di incompletezza dato dal finale intrattiene bene ed è genuinamente interessante e poco anticipabile, questo nonostante la componente investigativa sia ridotta all’osso e le scelte a disposizione dell’utente non sembrino avere peso, se non in un paio di occasioni che hanno effetto sul finale. L’alternanza tra stato oggettivo e soggettivo è un tocco davvero ben riuscito che rappresenta il vero punto di forza del titolo dato che difficilmente troverete qualcosa di così immersivo ed introspettivo in altre produzioni.
Ed è proprio sul lato tecnico che l’opera prima dei Playmestudio dà la sensazione di essere acerba data la presenza di diversi bug che ne appesantiscono notevolmente la giocabilità. Prima di aggiornare la mia RX580 da otto giga di VRAM sono incorso in un paio di crash e diverse compenetrazioni con i muri sprofondando anche nel pavimento (quasi tutti in una certa zona di gioco tra l’altro), problemi che sono notevolmente diminuiti dopo l’ultimo aggiornamento di Radeon Adrenalin del nove ottobre, ma in ogni caso confrontandomi con gli sviluppatori hanno già annunciato una corposa patch Day1 per correggere numerosi problemi. Non fatevi spaventare da questo aspetto perché potrebbero essere problemi legati al mio hardware, o mal che vada avete l’opzione rimborso su Steam.
Questa inesperienza si ripercuote anche sull’uso non perfetto del motore di gioco, soprattutto per quanto riguarda le animazioni degli NPC ed i movimenti del protagonista, aspetti poco rifiniti che possono far storcere il naso ma risultano passabili, mentre nel comparto grafico The Signifier si salva grazie alla straordinaria capacità di restituire ambienti psichedelici e distorti che rendono perfettamente l’idea di un viaggio nella mente.
Il sonoro è di buonissimo livello sia nelle musiche (molto azzeccate) che nel doppiaggio, nonostante non sia presente l’italiano né per i dialoghi né per i testi, quindi dovrete dare una spolverata al vostro inglese e già che ci siete fatevi una ripassata dei manuali base di informatica e psicologia.
L'indagine mi è stata possibile grazie ad un codice gratuito usando i miei fidati Ryzen 1600 ed una RX580 8Gb al posto del solito kit da investigatore fatto di lente d'ingrandimento e taccuino
DurataA chi è consigliato The Signifier? A tutti e a nessuno, in primis perché al momento della recensione non è stato annunciato il prezzo sulla pagina Steam – presumo i classici venti euro -, in secundis per la mole di bug che possono scoraggiare ma che saranno sistemati a breve, a detta degli sviluppatori. Il quadro che viene fuori da questa recensione è di un gioco interessante, che tocca tematiche relativamente nuove per il medium con meccaniche davvero inusuali e particolari (si può ridurre la vita di una persona ad una simulazione computerizzata?), ma nel farlo si perde in un bicchier d’acqua inciampando a ridosso del finale.
Non aspettatevi la delicata irruenza con la quale Ninja Theory ha raccontato la mente di Senua (che abbiamo coperto in lungo e in largo) ma state pur certi che se siete appassionati di psicologia rimarrete difficilmente delusi dall’aver giocato The Signifier, anche fosse solo per gli interrogativi etici che propone. Ma se invece siete dei fan hardcore delle detective story, potreste voler passare oltre.
The Signifier non ha i cavalli di una fuoriserie da investire nel comparto grafico nudo e crudo (texture dall'altissimo livello di dettaglio o volti iper espressivi), affatto. La vocazione indipendente della produzione cilena si nota soprattutto in questi dettagli che denotano l'estrema rigidità delle animazioni o la risoluzione non irreprensibile di alcuni fondali, ma data la natura onirica del gioco i Playmestudio si sono inventati alcuni effetti psichedelici dal forte impatto suggestivo che ben caratterizzano l'esperienza e rendono fede ai processi mentali della vittima. Una volta accettato il compromesso il gioco riesce a regalare dei colpi d'occhio molto disturbanti ed evocativi
Assente il doppiaggio italiano, quello anglosassone è di buonissima qualità e riesce a dare una sensazione di realtà che aiuta ad immergersi nella storia provocando qualche brivido disatteso durante i momenti in cui EVEE non riuscirà ad elaborare ricordi limpidi ed avremo a che fare con immagini e suoni corrotti. D'impatto la colonna sonora che riesce a restituire il mood giusto a seconda che sia un ricordo triste o felice, ma non manca di qualche sporadico bug
The Signifier è poco più di un walking simulator che mette alla prova il giocatore con enigmi più o meno immediati utili a completare un ricordo e far emergere nuove prove alla luce. Il gioco è meno lineare di quanto si possa pensare ma i finali rimangono non eccessivamente dissimili l'uno dall'altro e giustificano al massimo un altro replay