Non ho mai… nasce con l’idea di parlare al videogiocatore disposto ad aprirsi un po’ man mano che si prosegue con la lettura, curioso d’interfacciarsi con le idee e – sono certo non ne mancheranno i casi – con l’emotività di chi è dall’altro lato dello schermo; per chi è disposto a guardare indietro e fare mente locale tra le proprie esperienze, ricordare tra ciò che si è vissuto e ciò che invece “non ho mai…”.
“Non ho mai” non vuol dire solo riferirsi a ciò che non si è fatto, visto o vissuto; vuol dire anche non aver mai superato questo, accettato quest’altro, scoperto altro ancora. Un po’ come il mio “non ho mai avuto occasione di parlarne”, che è anche il mio punto di partenza, vero, qui su Gameplay Café.
E allora ecco che vi parlo di un mio importante spaccato di vita da videogiocatore: Mafia II, la sua musica, gli occhi sognanti su di una città che – se non stai attento – ti mangia vivo.
Mafia II e le sue stazioni radio rappresentano una vera e propria eccezione per il panorama videoludico delle ultime tre generazioni. Parliamo infatti di un videogioco in cui la scelta dei brani (che sarebbero poi stati posti a corredo di varie fasi di gameplay, per lo più legate a doppio nodo alle seppur abbozzate fasi di free roaming) non mirava solo ad una selezione che cozzasse bene con la direzione artistica del prodotto, bensì puntava a utilizzare l’ascolto di musica come uno tra gli strumenti utili per contestualizzare e arricchire lo sfondo del racconto e, in alcuni frangenti, anche contribuire a mandare avanti la narrazione stessa tramite un incontro, una comunicazione, uno scambio diretto tra la dimensione musicale e i protagonisti del racconto.
“Vito, lo sai che ore sono? è l’ora di andarti a prendere una macchina.”
La colonna sonora di Mafia II, che si compone di ben cinquanta composizioni strumentali (splendidamente suonate dalla Prague Philharmonic Orchestra, e di cui si può avere un assaggio nel menù di gioco – sfido chiunque abbia giocato il titolo a non ricordare le prime note di pianoforte che risuonano all’avvio del titolo) ma anche e soprattutto delle centotrenta canzoni su licenza che si distribuiscono tra le tre stazioni radio del gioco (Empire Central Radio, Empire Classic Radio e Delta Radio) e che trovano origine in un periodo che approssimativamente va dagli anni ’20 ai pieni anni ’50 – per dovere di cronaca, infatti, va detto che la selezione dei brani è spesse volte ricaduta su incisioni risalenti addirittura a ben oltre il 1951, anno in cui è ambientata la seconda fase del gioco, andando difatti a risultare anacronistiche e creando così un errore logico che riusciamo a giustificare solo in virtù della bontà dei brani proposti.
Difatti, le scelte dei ragazzi di 2K Games e dell’allora creative director Jack Scalici ricaddero su dei veri e propri mostri sacri come Chuck Berry, Louis Prima, Dean Martin e Rosemary Clooney. Una selezione musicale che saliva nettamente di livello rispetto al primo capitolo della saga e che, soprattutto, trovava ben pochi rivali nelle produzioni dell’epoca (ma anche oggi viene facilmente ritenuta una tra le più ragguardevoli collezioni di copyright songs sentite in un videogioco).
Tuttavia, al di là dell’opulenza della raccolta di brani a disposizione, ciò che ancora oggi suscita attenzione e che mi spinge a parlarvene – oltre ad un forte amore personale sia verso quelle splendide musiche sia verso i ricordi che mi suscitano – era la cura con cui venivano distribuite e riproposte nel gioco e l’alto valore culturale che, conseguentemente, riuscivano a trasmettere al giocatore – sia che il giocatore fosse, o non fosse, legato per gusti o preferenze a quel dato periodo storico e a quella data cultura.
La distribuzione musicale – prendendo spunto dalle parole spese proprio da Jack Scalici all’epoca dell’uscita del gioco (ne parla qui) – era pensata in modo tale da richiamare l’evoluzione che effettivamente ci fu in quegli anni e che portò al Rock’n’Roll così come lo conosciamo: si partiva, nella prima metà del gioco ambientata nel 1945, con l’R&B, il Rockabilly, il Jazz e il Blues fino poi ad arrivare al “full-blown Rock’n’Roll” degli anni ’50, che abbiamo infatti modo di sentire nella seconda parte di Mafia II, quando il setting si sposta nel 1951. Persino le tre stazioni radio stesse avevano delle leggere differenziazioni in quanto a generi proposti, tra una Delta Radio più votata al Jazz e Blues e l’Empire Central Radio pullulante di Rock e Pop.
“If every time it rains, it rains pennies from heaven (Shooby Dooby)
Don’t you know each cloud contains pennies from heaven (Shooby Dooby)”
Da qui, ovviamente, la riflessione sull’alto valore culturale. Alla base del nostro discorso, infatti, dobbiamo assolutamente fissare in mente la nozione che le tre stazioni radio di Mafia II – sia per contenuti che per strutturazione degli stessi – fornisce un vero e proprio compendio sulla musica e la cultura di quei decenni. Un compendio ricco, vario, completo per un primo – ma comunque impegnato – approccio a quella parte della storia della musica che ad oggi appare più come una reminiscenza, da richiamare opportunamente con qualche rimando qui e lì nella produzione musicale odierna.
E qual è la chiosa perfetta a tutto questo? Che i videogiocatori hanno (ma per certi versi sarà più corretto dire “avevano”) a disposizione un accesso diretto ad una testimonianza culturale così ricca mentre passano il tempo a divertirsi, ascoltando la radio dell’officina in cui modificano i propri bolidi, bevendo una birra al pub in città, o proseguendo lungo la trama che il gioco propone. Non c’è attività, in Mafia II, che non lasci trasparire un legame profondo tra questa produzione e la musica che lo accompagna.
La musica si faceva dama protagonista in questo gioco come non accadeva in diversi altri competitor, e soprattutto come non avveniva ancora nel primo capitolo e come, sfortunatamente, non sarebbe avvenuto nel terzo, malriuscito episodio della trilogia.
Ecco perché questo assodato protagonismo della dama musica va approfondito. C’è altro che possiamo dire.
Abbiamo accennato pocanzi di come la musica fosse impattante nel proseguo dell’avventura, nel susseguirsi dei contesti che il gioco offre. Concentriamoci, dunque, proprio su questo aspetto, partendo da un presupposto: se è vero che la musica, come detto, accompagna il giocatore in quasi ogni sua azione all’interno del mondo di Mafia II, non è solo perché si guida tanto, e allora ascolto tanto la radio. La Musica, in Mafia II, è un sottile filo rosso che rinsalda il rapporto tra i personaggi e il mondo che abitano, l’epoca in cui sono immersi. Ci racconta le loro abitudini, ne scandisce le azioni, è argomento di conversazione o, più semplicemente, si declina in maniera abbastanza lampante come hobby, tanto dei nostri protagonisti quanto delle effettive genti dell’epoca, che trovavano nell’ascolto musicale una vera e propria attività ricreativa.
“E dai Vito, la conosci questa canzone, no?”
Ecco che quindi in Mafia II abbiamo momenti di gameplay come quello in cui Vito e Joe (i due protagonisti, ndr.) vendono sigarette di contrabbando e tengono la radio del loro furgone accesa che, fino poi al successivo timeskip, ci racconta la giornata di lavoro dei due protagonisti. Ancora, abbiamo la spassosa scena in cui Joe ed Eddie, in auto, cantano (sbiascicando) quella meraviglia di Return To Me di Dean Martin (“ora arriva la parte più bella, quella in italiano!”) – il tutto, tra l’altro, con un doppiaggio italiano che era e rimane allo stato dell’arte.
Tutto questo, unito ad una cura nelle ambientazioni e nel look dei personaggi, garantisce un’immedesimazione totale in quell’epoca e nell’aria che si respirava in quegli anni: un aspetto, questo, da non sottovalutare, specie se si considera che ben pochi erano i titoli che puntassero al raccontare così dettagliatamente un setting come quello e che fossero dunque in diretta concorrenza a Mafia II. Tant’è che, se proprio vogliamo sbottonarci un po’ di più, non possiamo non accennare al fatto che, tanto il pubblico quanto la critica, dinanzi a una assenza di titoli realmente adatti a un confronto col prodotto di 2K Games, si lanciavano in impari paragoni con quell’open world effettivo che in tanti già all’epoca vedevano come indispensabile – e che in Mafia II si traduceva in un free roaming insoddisfacente – e che trovava, per ovvie ragioni, una delle punte massime in quel GTA IV che aveva invaso i negozi solo due anni prima, nel 2008. La maturità di oggi credo ci porti serenamente ad affermare quanto fossero diversi e distanti i core dei due giochi, e quanto diversamente volessero raccontare le loro storie, declinandosi in due tipi di gameplay solo in apparenza sovrapponibili.
Insomma: hobby, abitudine, arte, compagnia, sottofondo, protagonista. La radio, in Mafia II, è tutto questo. E tutto questo, ad oggi, è messo in crisi da un problema che non fa sconti a nessuno, e che viaggia passo passo con la modernità: la bestia nera, il copyright.
Proprio con una breve parentesi sul copyright decido per ora di chiudere il discorso, riflettendo sul fatto che rimodernare, incredibilmente, può dover significare anche privare.
Il copyright è l’elefante nella stanza di ogni videogiocatore che si affaccia a determinate produzioni: sa che prima o poi quel prodotto sarà diverso da come l’ha acquisito. Basta avere Steam, riscaricare un gioco che si è giocato tempo addietro e… ecco lì, qualcosa è cambiato. Magari nulla di indispensabile, solo qualche canzone alla radio, come è successo allo stesso Mafia II, che ad oggi vede mancare all’appello brani come Ain’t That a Kick in The Head o i vari singoli di Louis Prima di cui un esempio potrebbe essere la storica Che La Luna, o come abbiamo visto nella recente GTA Trilogy, che vede tutti e tre i titoli Rockstar privati di diversi brani su licenza.
Poco male per qualcuno, lo capisco, lo accetto. Ma tutto ciò non cambia in maniera decisamente percepibile tutto il discorso di prima sul compendio musicale, sul suo valore culturale, sull’incredibile meraviglia del divertirsi e contemporaneamente scoprire sempre di più? In che misura percepiremo come svalutato il lavoro, dato da scelte creative e stilistiche precise, che c’è dietro a queste produzioni nel momento in cui perderanno pezzi?
E che vita avranno prodotti videoludici la cui identità creativa si costruisce quasi interamente su lavori sotto licenza, come nel caso dell’indimenticato Brutal Legend (di cui sono in molti a ritenere una riedizione del gioco ai limiti dell’improbabile, oltre a considerarla un argomento assai spinoso).
“Vieni con me, Vito. Abbiamo molto di cui parlare.”
Certo, sono io in primis cosciente che questo è un problema che lascia più interrogativi che effettivi spazi di manovra e possibilità di azione, ma certe riflessioni sono comunque necessarie, poiché ritengo che la memoria storica passi anche da qui. Il medium videoludico contribuisce al racconto della nostra cultura, della nostra epoca, del nostro mondo e non c’è un singolo aspetto del videogioco che non sia rilevante in questo continuo raccontare.
Ecco perché può essere interessante tornare a parlare di Empire Bay e dei suoni che ne riempivano l’aria. Ecco perché vale la pena chiedersi dove finiranno quelle note. Ecco anche, però, che una volta sollevati gli interrogativi e scaturite le riflessioni, vale la pena anche di metterci comodi, sederci tutti e rilassarci, gamepad alla mano.
Io torno subito, vado a riaccendere quella vecchia radio…