Lo smartworking è diventato una delle parole chiave del 2020. La pandemia mondiale ha portato all’attivazione forzata ed accelerata di tutta una serie di pratiche lavorative intelligenti e interconnesse volte a ridurre il numero di dipendenti negli uffici. Come in Italia, in tutti i Paesi del mondo si è perseguita questa strada. A quanto pare, però, in Giappone Capcom sarebbe andata contro a questa tendenza, forzando i suoi impiegati a lavorare in presenza anche nel pieno dell’emergenza. A riportare la notizia è il Japan Business Journal, che cita una fonte anonima, e un approfondimento di Kotaku.
A inizio gennaio il Primo Ministro giapponese Yoshihide Suga aveva dichiarato lo stato di emergenza in diverse prefetture, compresa quella di Osaka in cui ha sede Capcom. Lo sviluppatore di Resident Evil e Monster Hunter ha però deciso di andare contro a questa prescrizione, pretendendo che i suoi dipendenti lavorassero fisicamente in ufficio. Alla base della decisione ci sarebbe il cyber attacco subito da Capcom lo scorso novembre, il quale avrebbe mostrato la vulnerabilità di un sistema di lavoro in remoto. Nell’incapacità di creare infrastrutture sicure da questo punto di vista, la decisione è stata quella di evitare lo smartworking. Ciò avrebbe causato “ansie e malcontento all’interno dell’azienda.”
Capcom ha replicato in merito alla questione assicurando che si preoccupa seriamente della salute e della sicurezza dei suoi dipendenti. Le ore di lavoro sono state riorganizzate, le mascherine sono obbligatorie negli uffici e il distanziamento sociale è assicurato. A tutti i dipendenti viene misurata la temperatura all’ingresso e le leggi sul lavoro giapponese vengono pienamente rispettate. D’altro canto, il report sottolinea come i lavoratori di Capcom non possano avere un sindacato che li rappresenti e come la possibilità di avere orari flessibili sia concessa solo a chi copre posizioni di rilievo. Il tutto per affermare che non c’è piena certezza sulla correttezza e sull’effettiva applicazione delle norme elencate.