Il piano sequenza – ovvero più o meno lunghe sequenze senza stacchi/tagli – è da sempre stato un mezzo estremamente suggestivo per il medium cinematografico, un virtuosismo tecnico tanto evidente da poter essere apprezzato da chiunque, ma per ovvi motivi estremamente complesso da costruire sul piano produttivo. Abbiamo visto di recente Alejandro González Iñárritu mettere al centro dei propri film questa tecnica (su cui ha costruito Birdman), e abbiamo avuto modo di apprezzare anche nel videogioco con il God of War di Cory Barlog su PlayStation 4 il fascino per questo approccio alla continuità. Sam Mendes con 1917 decide però di strafare e superare ogni possibile limite piazzato a riguardo in precedenza, dando vita ad un unico – ovviamente montato ad hoc – piano sequenza di due lunghe ore, che accompagna la modesta impresa di due giovani soldati nel mezzo del terribile fronte occidentale della prima guerra mondiale.
É un cinema stupefacente, che nel contesto bellico – e non sono né il primo né l’ultimo a fare questo paragone – avvolge e coinvolge quasi allo stesso modo di una narrazione videoludica, immergendo in un racconto in tempo reale per evidenti necessità studiato al millimetro con attenzione maniacale già in pre-produzione.
Prima di proseguire con la recensione, vi ricordo che 1917 arriva nelle sale italiane da oggi 23 gennaio, distribuito da 01 Distribution.
É l’aprile del 1917, la prima guerra mondiale infuria sul fronte occidentale, dove al confine tra Francia e Germania, tra Intesa ed Alleanza, si combatte un terribile conflitto di posizione
Il nocciolo di 1917 sta tutta nella propria fluidità, con una storia per necessità rigorosamente lineare nata per supportare la tecnica e gli incredibili virtuosismi annessi e connessi. É l’aprile del 1917, la prima guerra mondiale infuria sul fronte occidentale, dove al confine tra Francia e Germania, tra Intesa ed Alleanza, si combatte un terribile conflitto di posizione che non fa che impilare torri di cadaveri tra l’inferno di lunghissime trincee. A seguito della battaglie di Verdun e della Somme, le forze tedesche si vedono costrette a ritirarsi sulla fortificata linea Hindenburg, da tempo preparata per tendere una trappola agli eserciti nemici.
Avuto notizia della fortificazione tedesca da una ricognizione aerea, i due soldati inglesi Tom Blake (Dean-Charles Chapman, il Tommen de Il Trono di Spade) e William Schofield (George MacKay) sono improvvisamente incaricati dal Generale Erinmore (Colin Firth) di attraversare la terra di nessuno per salvare la vita a 1600 soldati britannici, isolati dalle linee telefoniche e pronti ad attaccare perché appunto non a conoscenza della minaccia della artiglieria della nuova linea nemica.
Le due ore di 1917 scorrono quindi in questo modo, seguendo senza ellissi/salti temporale (o quasi) il viaggio dei due ragazzi prima tra le trincee alleate, poi in quelle nemiche (desolate) ed infine negli spazi aperti delle campagne al nord del territorio francese, in un continuo lavoro di elusione rispetto alla morte che li segue ad ogni passo, nei villaggi bombardati, nelle fattorie razziate, tra i topi che fanno man bassa nel fango più squallido.
Sam Mendes fa leva su una scenografia di spazi molto aperti e su un sonoro al limite del miracoloso per non rinunciare mai alla tensione
Nonostante le ovvie difficoltà nel gestire il ritmo senza stacchi e senza dunque i ritocchi consistenti possibili con la magia del montaggio, Sam Mendes fa leva su una scenografia di spazi molto ampi/aperti e su un sonoro al limite del miracoloso per non rinunciare mai alla tensione e al costante senso di minaccia invisibile che percorre il grosso del film. Immedesimazione pura in questa missione disperata quindi anche grazie alle tracce composte da Thomas Newman, che – eccetto per un paio di momenti di pura suggestione artistica – si limita a sottolineare la cadenza di quanto avviene a schermo, sostituendo il ruolo che normalmente avrebbero le transizioni tra le singole inquadrature.
Ovviamente sotto tutto questo c’è un lavoro di regia e quindi di coordinazione di ciascun reparto sostanzialmente immenso, da premiare con una statuetta, alimentato insieme alla fotografia di Roger Deakins (Blade Runner 2049, Skyfall), che – tra i tanti evidenti meriti – sceglie una gamma cromatica molto variegata. Dai colori spogli, sporchi e ripugnanti della terra di nessuno, a meravigliosi giochi di luce quasi onirici, dalla tendenza al grigio e al bianco degli ultimi straordinari minuti fino al rossiccio di fuoco e distruzione, come del tepore di un sussulto di vita. Quello che per necessità tecniche viene messo da parte da una sceneggiatura che dopotutto è un pretesto, quasi filtra in un linguaggio esclusivamente di immagini, che trasmette ben più dei limitati dialoghi.
Se c’è una macchia evidente in 1917 sta proprio nella sua essenziale sproporzione
Se c’è una macchia evidente in 1917 sta proprio nella sua essenziale sproporzione. Magnifico ad ogni livello tecnico, ma costretto a comprimere la propria linea narrativa per necessità di coerenza cronologica. Per carità, ci sono momenti emozionanti, simbolici e carichi dal punto di vista drammatico e mentirei se dicessi di credere che il film non abbia un’anima. Tuttavia, senza la minima ombra di dubbio il parto di Mendes soffre della sua stessa natura e delle sue stesse intenzioni nel presentare vicende e personaggi, a cui deve dedicare per forza di cose minutaggio minimo.
Il primo nemico di 1917 è il tempo, tanto per Blake e Schofield, quanto a fronte delle scelte stilistiche intraprese
Così ciascun membro illustre del cast, da Andrew Scott a Benedict Cumberbatch, passando per Richard Madden e Colin Firth, si limita ad essere una sorta di guest star con pochissime linee di dialogo, perché il primo nemico di 1917 è il tempo, tanto per Blake e Schofield, quanto a fronte delle scelte stilistiche intraprese. Poi certo, nomi così altisonanti sono stati scelti per ruoli secondari proprio per colmare il gap con i pochi minuti a schermo, ma il risultato è uno strano effetto di contrasti dove stupisce la bravura dei singoli interpreti nel caratterizzarsi, senza però una reale elaborazione del loro personaggio.
A contrasto, sempre per le stesse ragioni, Chapman e MacKay brillano e danno prova entrambi di un’ottima performance, che mi ha sorpreso specialmente guardando alla loro relativa poca esperienza passata. Entrambi con poco dipingono, come visivamente la minuziosa attenzione al dettaglio nei costumi e nella scenografia, un profondo spaccato del primo conflitto mondiale, del massacro fisico e psicologico proprio dello scontro, della sua brutalità indiscriminata, del magari ingenuo attaccamento alla volontà di fuggire da quella alienazione.
Il simbolismo del film, che mi porta in parte a riscattare la sceneggiatura, scorre parallelo ai due protagonisti, e se la purezza dei fiori di ciliegio sposa la bontà di Blake, la struttura ciclica del racconto abbraccia i timori di Schofield e l’essenza di una guerra consumata in un ciclo senza fine di speranza.
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Gli ultimi 25 minuti del film,non mi hanno fatto gridare al capolavoro…mentre buona parte del film è assolutamente sopra la media..buon film sulla prima guerra mondiale.
Ho visto film migliori candidati agli oscar 2020.