Mi appresto a scrivere questa recensione di Anna con sentimenti contrastanti e ancora un po’ stordito dalla visione della nuova serie Sky firmata dallo scrittore e regista Niccolò Ammaniti, tratta dal suo omonimo romanzo. Questo perché c’è stato un momento, durante la visione di Anna, in cui ho davvero creduto nel capolavoro, assorbito com’ero dal fascino devastante di una Sicilia post pandemica e dai drammi dei giovani protagonisti.
Purtroppo però, a visione conclusa, alcune crepe nel dipinto si sono fatte evidenti, impedendo ad Anna di raggiungere quell’eccellenza che eppure sembrava a portata di mano ma che invece ha finito per offuscare un lavoro per ampi tratti straordinario.
All’inizio di ogni episodio di Anna un disclamer ci ricorda che le riprese della serie sono iniziate sei mesi prima dell’inizio della pandemia di Covid 19. Non vi sono quindi, idealmente, influenze dirette tra la situazione mondiale dell’ultimo anno e la serie, nonostante questa sia ambientata in un’Italia del 2020 falcidiata da “la rossa”, una malattia che colpisce l’apparato respiratorio e ricopre il corpo dell’ammalato di evidenti macchie rosse, appunto.
La rossa ha azzerato la popolazione adulta, perlomeno nella Sicilia in cui tutto l’arco narrativo è ambientato, lasciando spazio a una società di soli bambini destinati a non diventare mai adulti: all’approssimarsi della maturità, infatti, i sintomi della rossa si manifestano inesorabilmente.
Le riprese della serie sono iniziate sei mesi prima dell’inizio della pandemia di Covid 19
La nostra protagonista Anna e il suo fratellino Astor vivono reclusi in una villa insieme ai resti della compianta madre che, durante gli ultimi inesorabili giorni di malattia, ha scritto per loro “il libro della cose importanti”, un libro di istruzioni per la sopravvivenza che Anna custodisce gelosamente.
Il compito di Anna, affidatole dalla mamma sul letto di morte, è quello di badare ad Astor e proteggerlo dai pericoli del mondo esterno, un compito che porterà Anna in giro per la Sicilia quando Astor verrà rapito dai Blu, una tribù di bambini capitanata dalla perfida, e quasi adulta, Angelica.
Ammaniti descrive con mirabile maestria questa società di bambini (sì, impossibile non pensare a Il Signore delle Mosche di Golding) che degli adulti hanno il cinismo, la cattiveria e la necessità di stabilire un ordine gerarchico, di far valere il proprio peso e i propri privilegi. Si macchiano di atrocità indicibili i piccoli protagonisti di Anna, eppure mantengono un’ingenuità tipica dell’infanzia, capace di incutere nello spettatore tenerezza e terrore allo stesso tempo.
Particolarmente angosciante è il rapporto che gli stessi hanno con la morte, un elemento costantemente e inevitabilmente presente nelle loro vite di sopravvissuti, alla quale sembrano non dare il giusto peso, consci come sono dell’estrema brevità della loro esistenza. Uccidono con facilità, torturano, mutilano, come se il corpo non fosse altro che un involucro cui dare relativa importanza, come se i loro simili fossero bambole di pezza.
Non fa sconti da questo punto Ammaniti, che decide spesso di indugiare senza eccessivi pudori sulla violenza e sulla morte di questi giovani protagonisti. Una scelta coraggiosa e che sicuramente infastidirà i più sensibili ma che si rivela assolutamente funzionale alla descrizione di un mondo palpabilmente reale. Lo scrittore e regista romano riesce infatti a far vibrare con veemenza le corde emotive dello spettatore, portandolo a empatizzare tanto con i protagonisti quanto con gli occasionali e numerosi antagonisti.
Sono molteplici, infatti, le storie che Ammaniti decide di raccontare, grazie soprattutto a un sapiente e cospicuo uso del flashback, che permette al pubblico di conoscere la realtà pre-pandemica di svariati personaggi, compresi comprimari e antagonisti. Questo finisce per arricchire senza dubbio l’opera di temi e significati: dalla libertà sessuale all’accettazione del proprio corpo, dall’isolamento alla reputazione, fino ad arrivare alla perifericità, geografica e politica, del Sud rispetto al Nord.
In questo turbinio di storie, forse, a risultare meno convincente e parzialmente incerto è proprio il percorso della protagonista Anna, interpretata da una convincente ed esordiente Giulia Dragotto, e del suo fratellino Astor, interpretato da un altrettanto bravo e giovane Alessandro Pecorella. Se inizialmente, infatti, l’equilibrio tra passato e presente è bilanciato e riuscito, negli ultimi due dei sei episodi è soprattutto il passato a essere protagonista, approfondendo ulteriormente il rapporto tra i due protagonisti e la compianta madre, ma perdendo di vista, purtroppo, l’arco narrativo contemporaneo, che finisce per perdere di forza e ritmo, sfilacciandosi inesorabilmente.
Ammaniti decide spesso di indugiare sulla violenza e sulla morte dei giovani protagonisti
L’antagonista principale finisce per uscire frettolosamente di scena, così come alcuni personaggi chiave come la Picciridduna, interpretata dall’enigmatico volto di Roberta Mattei. In mano allo spettatore rimangono così le singole sequenze di approfondimento di questo o di quel personaggio, ma si avverte inevitabilmente una mancanza di scopo, di direzione, che finisce per disorientare e minare l’interesse per il finale della storia.
Inoltre qualche passaggio risulta piuttosto forzato e poco credibile, come alcuni incontri un po’ troppo fortuiti.
Quello che sicuramente ci preme sottolineare, in questa recensione di Anna, è lo straordinario lavoro di caratterizzazione visiva di questa Sicilia distopica, che risulta straordinariamente peculiare, originale nonostante i molteplici esponenti del genere post apocalittico approdati al cinema, in televisione o nei videogiochi negli ultimi anni, da The Walking Dead a The Last of Us (qui la nostra recensione del secondo capitolo). Lo splendido barocco siciliano si sposa perfettamente con la decadenza di un mondo in rovina, regalando scorci selvaggi e donando all’intera opera un lirismo encomiabile.
Spesso come spettatori avrete la sensazione di trovarvi in una sorta di “piacevole incubo”, in una dimensione magica per quanto terribilmente reale. Questa sorta di realismo magico è merito, oltre che di uno stile registico riconoscibile e ispirato, dell’eccelso lavoro sulle scenografie di Mauro Vanzati. In Anna i luoghi sono spesso più protagonisti dei protagonisti stessi e riescono a raccontare senza parole il loro grandioso passato e il drammatico presente.
a risultare meno convincente e parzialmente incerto è proprio il percorso della protagonista Anna
Nella stessa direzione lavorano i costumi della francese Catherine Buyse (Anna è infatti una co-produzione internazionale), quasi fiabeschi ma perfettamente coerenti nel contesto “infantile” dei personaggi.
Anna oscilla sempre tra un macabro realismo e il fiabesco, l’onirismo di alcune situazioni fa da perfetto contrappunto alla drammaticità e alla violenza di alcune situazioni. Perfetta, in tal senso, anche la direzione della fotografia ad opera di Gian Enrico Bianchi.
Ottimo anche il montaggio dell’esperto Clelio Benevento, al netto di qualche problematica negli ultimi due episodi, come già detto più che altro figlia della scrittura. Forse in alcuni passaggi si abusa di montage musicali, validi nel donare alla produzione un respiro e un linguaggio internazionale, anche grazie ad una meravigliosa scelta di brani pop italiani e internazionali, ma talvolta un po’ furbi.
Concludiamo quindi la recensione di Anna con una promozione piuttosto piena. Se è vero che la macro-narrazione risulta più debole delle singole storie personali, il mondo presentato brilla per originalità e forza espressiva. Forse è proprio questo il più grande successo di Anna, insieme ad un valore produttivo altissimo per una produzione nostrana, che restituisce finalmente lustro ad un cinema di genere che è nel nostro dna ma che fa spesso fatica ad emergere.
Verosimilmente il mondo post apocalittico di Anna ha ancora molto da dire e da raccontare, anche al di là della sua protagonista. Chissà quindi che questa miniserie non possa avere un seguito o magari trasformarsi in una serie antologica.
Anna ci consegna anche un’altra ormai consolidata realtà: l’Ammaniti scrittore, alla sua seconda esperienza dopo Il Miracolo del 2018, è anche un talentuoso regista.
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Complimenti per la recensione davvero ben scritta e che va dritta al punto; mi ha fatto venire parecchia curiosità sulla serie. Cercherò di vederla quanto prima.
Grazie mille Frau! Secondo me è una visione da fare, al netto di qualche inciampo è davvero un prodotto italiano come non se ne vedono spesso.
Vista interamente in anteprima una settimana fa; davvero ben fatta.
Grande! Sarebbe interessante discuterne con spoiler libero :). Ti ha convinto fino in fondo?