Ogni buon appassionato (come il sottoscritto) del lavoro di Matt Groening (The Simpons, Futurama), non poteva non iniziare a strapparsi i capelli in previsione dell’uscita di Disancanto, dissacrante e irriverente serie animata curata proprio dal sopracitato genio. Con buona pace dei fan, però, i primi dieci episodi distribuiti da Netflix, emittente che detiene i diritti sull’opera, hanno portato sullo schermo un prodotto qualitativamente altalenante e mai veramente convincente. La prima stagione, infatti, distribuita nel corso dell’estate dello scorso danno, ha palesato quel dualismo ormai fin troppo diffuso nelle opere di recente concezione: tanti buoni spunti minati da altrettanti vuoti clamorosi. Complessivamente, comunque, complice un finale tutto sommato di forte impatto, la prima tranche di episodi aveva creato i presupposti per un salto qualitativo potenzialmente a portata di mano.
Per tal motivo, ci siamo avvicinati alla seconda stagione con grande curiosità e soprattutto con grandi aspettative, alla ricerca della pepita d’oro dopo aver scavato abbondantemente a fondo. Sfortunatamente, dopo aver divorato i nuovi – ulteriori – dieci episodi, ci troviamo ancora una volta nella medesima situazione di dodici mesi fa: buoni spunti, un cliffhanger finale promettente, ma ancora una volta tanti punti morti e momenti in cui la confusione regna sovrana. Per fortuna che c’è Luci…
Raccontami una storia
No, la profondità narrativa non è mai stata una caratteristica delle opere di Groening, a differenza dell’immaginario e della – passateci il termine videoludico – lore. La natura da “serie tv” e soprattutto il finale della passata stagione, però, ci avevano per certi versi illusi di ritrovarci per mano un racconto continuativo ed univoco. Non che questo sia per forza un demerito, certo, ma sicuramente risulta un piccolo tassello aggiuntivo del quadro tutt’altro che chiaro con cui sta venendo su la produzione. In verità, comunque, la trama della seconda stagione riprende esattamente da dove si era interrotta la prima: Bean ha sacrificato il fidato Elfo per resuscitare la madre, la regina Dagmar, rivelatasi poi una spietata despota assettata di sangue e di vendetta. Il ritorno della donna coincide con la caduta di Dreamland, divenuta ormai la patria di mere statue senza vita, la cui linfa vitale è rimasta intrappolata dal crudele incantesimo lanciato dalla megera.
Bean, ignara di tutto ciò, ha seguito la donna nel suo paese natio, con la speranza di iniziare una nuova avventura con la ritrovata madre, abbandonando così lo scapestrato padre, Re Zog, e il fratellastro, Derek. E così, tra una cospirazione e l’altra, ci si avvicina troppo rapidamente alla conclusione (seppur apparentemente non definitiva) dell’intreccio, che lascia con pericolosa velocità il campo al ritorno del format a “episodi autoconclusivi” in cui torna con forza tutto lo stile scanzonato e ilare della geniale mente di Groening. Il tutto complessivamente funziona, e le sotto trame sviluppate risultano abbastanza eccitanti e dalla piacevole pregustazione, ma offrono un quadro complessivo ancora una volta troppo promiscuo e che ha un forte bisogno di dimostrare seriamente la direzione che vuole intraprendere.
Bean + Elfo + Luci = amore puro
Non è un mistero che buona parte delle fortune dell’autore dell’Oregon siano basate prettamente sulla qualità nella creazione di character design di spessore incommensurabile. Alzi la mano chi non ricorda lo straripante cast dei Simpson o di Futurama, in cui quasi ogni singolo personaggio, anche quello più remoto e meno in vista, ha una sua storia, una sua peculiarità, una sua funzione generale e soprattutto un suo ruolo ben definito. In Disincanto, seppur siamo ancora agli albori della storia, accade esattamente la stessa cosa, e questa seconda tornata di episodi ne è la prova concreta. Non vengono introdotti nuovi personaggi, o per la precisione non tantissimi, ma vengono sapientemente approfonditi quelli già presentati. È il caso ad esempio del piccolo Derek, figlio della seconda moglie di Re Zog, la regina Oona – che in questa stagione diventa il capo di una nave pirata – le cui origini erano fin troppo avvolte in una coltre di informazioni abbozzate e poco incisive. Qui si assiste alla creazione di un passato preciso, che si sposa eccelsamente con quella che sarà l’evoluzione del personaggio, che diventerà all’improvviso fondamentale e focale sul finale di stagione. Anche lo stesso Re Zog verrà profondamente approfondito, seppur la sua concezione complessiva rimane sempre quella di un sovrano dalla scarsa volontà, eccessivamente cieco e soprattutto dalla morale piuttosto infima. Un po’ l’equivalente di Bender (nella versione originale il doppiatore è il medesimo) o dell’immortale (immorale) Sig. Burns, per intenderci.
Lo zoccolo duro dello show, da questo punto di vista, rimangono però sempre i tre tenori: Bean, Elfo e Luci. In particolare quest’ultimo, pur rimanendo una simpatica canaglia demoniaca, compie una maturazione importante e quasi inattesa, che si manifesta nella scelta di rinunciare ai propri poteri per salvare Elfo, riportato alla vita da Bean, distrutta dall’infausta scelta compiuta nel corso del finale della prima stagione. Anche Elfo appare nettamente più forte e soprattutto più convinto dei propri mezzi, pur rimanendo il solito tenero ingenuo. Discorso diverso e allo stesso tempo simile, invece, per la protagonista Bean: ancora una volta, ella rappresenta tutta l’anacronistica concezione della donna medievale, apparendo così ancora più forte, più irriverente e sempre pronta a sfidare tutto e tutti, in barba a ogni luogo comune sulla donzella da salvare, di cui non ha assolutamente nemmeno un briciolo.
Prossima fermata: Elf Alley
La direzione tecnica e artistica di Disincanto rimane fondamentalmente ancorata sul buon risultato dalla prima stagione. Il colpo d’occhio generale è sempre di primissimo livello, e le nuove ambientazioni esplorate permettono alla serie di fare quel piccolo passo avanti rispetto al passato, abbracciando uno stilema artistico complessivamente affascinante e da promuovere. Ci ha convinto, e molto, la scelta di ambientare maggiormente le avventure di Bean lontano dal monotono palazzo reale, come ad esempio nelle gioviali strade di Elf Alley, dimora degli sfrontati elfi, diventati in questa seconda stagione certamente più rilevanti nell’economia generale dello show. Impossibile non citare anche la spettacolare discesa negli inferi del trio delle meraviglie, splendidamente realizzata sia in termini di scrittura sia, e soprattutto, in termini squisitamente tecnici.
Se proprio dovessimo trovare un pelo nell’uovo, ne troveremmo due: in primis l’ambientazione generale. La scelta di abbracciare il periodo medioevale poteva essere sfruttata nettamente meglio, con un quadro complessivo di situazioni e soluzioni visive eccessivamente derivative e stantie. In secondo luogo, ci sentiamo di sbandierare un cartellino giallo alle animazioni: in alcune circostanze, ci è sembrato che il livello generale si abbassasse vertiginosamente, a testimonianza di un lavoro forse eccessivamente superficiale in alcuni passaggi. Molto buona la colonna sonora, seppur non particolarmente lontana dalla prima stagione, e ci sentiamo di premiare anche il doppiaggio italiano, seppur ben lontano dal livello qualitativo di quello originale.
In conclusione…
Potremmo riassumere la seconda stagione di Disincanto così, in modo molto semplice: rimandato! Le buone idee ci sono e, anzi, il passo avanti a livello narrativo c’è stato sicuramente, soprattutto nell’elaborazione di un cast ora più strutturato e caratterizzato, ma il tutto si cozza ancora una volta con un’eccessiva fretta nel passare da un intreccio all’altro, lasciando sempre l’amaro in bocca allo spettatore. Un nuovo cliffhanger ha nuovamente lanciato l’appuntamento alla prossima stagione, composta da altre due parti da dieci episodi l’una, e noi speriamo che stavolta sia la volta buona. Per il momento… Menomale che c’è Luci!
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Accidenti, mi dispiace davvero leggere questo. La prima parte non mi era dispiaciuta, anche se l’avevo trovata altalenante su diversi punti. Constatare che anche la seconda parte pecca in questo senso un po’ frena il mio entusiasmo. Chiaramente visionerò il prodotto, ma tra qualche tempo… 🙄
Molto deludente, peccato perché avevo molta fiducia nelle premese…
Io l’ho promossa senza riserve, al netto delle sbavature. Ritengo che questo lavoro di Groening sia meno divertente ma più maturo rispetto ai Simpson e Futurama. In breve non è un blockbuster però, personalmente, è un pollice in su