La serie partorita dalle menti di Tim Miller e David Fincher per smuovere l’animazione cinematografica dal suo beato immobilismo è in verità una sostanza stupefacente dagli effetti irreversibili. La si assume sotto forma di collirio, penetra nella retina, arriva al cervello e scardina le inibizioni, trascinandoci via di peso da quella confort zone che ci siamo creati negli anni pensando e vivendo questo tipo di cinema. Si ha la sensazione di essersi persi tantissimo; generi, storie, stili che neanche immaginavamo, bramando ora quel futuro di cui abbiamo sniffato il profumo, inebriati da uno sperimentalismo puro e senza freni, talvolta acerbo ma assolutamente privo di limiti, scioccante.
Diciotto episodi, cortometraggi (cinque-quindici minuti), come fossero posizioni di un Kamasutra che ha l’obiettivo di ispirare i creativi del settore, scritto ed illustrato in joint venture da artisti stanchi del conformismo occidentale (che ha già cominciato a incrinarsi sotto i colpi di Spider-Man Into the Spiderverse), missionario.Diciotto storie, molte delle quali sembrano già mature per moltiplicare il proprio minutaggio fino alla forma di lungometraggio. Tanta fantascienza, ci sta, satira, anche ottima, thriller, horror, commedia, con la costante di un approccio innovativo e senza freni, tipico della carta bianca su cui si firmano i contratti con Netflix. Vale la pena prendersi il proprio tempo, goderseli in una tirata unica, apprezzandone la schizofrenia e il continuo senso di meraviglia, per massimizzare la sua indole da trip psicotropo. La computer grafica iperrealistica rimanda ad atmosfere d’ispirazione chiaramente videoludica, come il primo episodio, Sonny’s Edge, una brutale, animalesca parentesi cyberpunk che mette in chiaro con arroganza alcuni degli elementi che faranno da fil rouge per le prossime tre ore circa; rouge come il sangue che scorre a fiumi, rouge come il colore delle luci di certe scene, molto spinte a livello fisico, sessuale (talvolta ben contestualizzate, altre meno).
Creatività per sottrazione che elimina il superfluo, correndo a velocità folli e caratterizzando questi microscopici mondi con un lavoro di sottintesi incredibile che riesce sempre a comunicare messaggio, contesto e personalità degli interpreti. L’effetto lascia senza fiato, come la corsa infinita dello psico-thriller The Witness, assolutamente il capolavoro di questo progetto, in ogni suo aspetto. Un’orgia di tecniche che si inseguono come i due protagonisti, omicida e testimone, ripresi in motion capture per essere trasformati nelle loro reciproche paure; rumori trasformati in onomatopee, superfici dettagliatissime che convivono con altre pitturate di fresco, stilizzate, umide. La telecamera che gioca con la techno e il suo ritmo alienante, regalando momenti perfettamente simmetrici per poi distruggerne l’armonia con sequenze di puro panico e frenesia, in cui la computer grafica regredisce a disegno per qualche impercettibile e meraviglioso fotogramma. È un corto che va visto e rivisto, una roba totalmente fuori scala per cura e maestria, semplicemente il futuro che voglio.
Anche il passato però può essere reinterpretato, facendo tornare protagonisti i tratti spessi, il disegno come base, senza relegarlo solo ai pochi fotogrammi di The Witness. Sucker of Souls, Good Hunting e Blindspot sono tra gli episodi più divertenti e dinamici, animati divinamente, e scritti altrettanto bene. Soprattutto il secondo, che racconta una Cina bipolare tra tradizioni esoteriche e steampunk, violentissimo nel disgusto per la mercificazione del corpo femminile che trasmettere, feroce nella vendetta che mette in scena. Il picco stilistico si raggiunge però per via dell’ibridazione, con lo spirituale episodio Zima Blue. Qui è il digitale che si inchina all’animazione classica mettendosi al suo servizio per raccontare il cerchio della vita attraverso l’arte del pittore Zima. Suggestivo e vertiginoso come riuscire a innalzare il proprio spirito, raggiungere il proprio scopo, realizzare la propria esistenza. Un esistenzialismo biografico dove ogni colore e immagine vengono attribuite ad un’emozione, a un ricordo del suo protagonista, facendomi pensare al capolavoro di Satoshi Kon, Millennium Actress.
Se ne vuole di più di questa roba, perché è troppo bello vedere l’animazione applicata alla filosofia, o a generi che ha ancora solamente scalfito. Come la satira politica di When the Yogurt Take Over, buffissimo nello stile, esilarante nel descrivere l’inarrestabile ascesa al potere dello yogurt, o meglio della comunità batterica che vive in quell’immacolato habitat. Una dittatura del latticino talmente perfetta e idilliaca che la popolazione ha il terrore possa finire, dopo averci dimostrato che l’uomo e i suoi leader non possono assolutamente badare al proprio destino. Esattamente quanto accaduto alla Terra di Three Robots, distrutta dalla stupidità dell’uomo e dal suo immobilismo, ormai museo di fallimenti a cielo aperto dove i robot possono fare turismo nero, ironizzando a raffica sulla sorte dei loro creatori e riscoprendone usi e costumi. Uno degli episodi più brillanti nella scrittura, perfetto nei tempi comici, come trasformare Wall-E in una sit-com ad alto tasso di black humour. Immaginate la bellezza.
La verità è che varrebbe la pena scrivere una recensione per ogni episodio, parlare di quanto Secret War sia influenzato da opere videoludiche come The Order e Beyond The Aquila Rift da Mass Effect, di come anche la guerra in medio-oriente possa vivere di nuova linfa cinematografica inserendo dei licantropi nel cast, e via così. Quello che traspare è la voglia di cambiare, osare, creare e reinventare, il problema è che per farlo c’è bisogno di gente come Fincher e Miller dietro, a spingere per primi col loro nome e un’esperienza decennale. C’è bisogno che gli anziani del cinema per primi spingano al rinnovamento, c’è bisogno di Netflix e del suo spirito punk, perché Love, Death + Robots è un contenitore di idee che meritano di diventare incendi e propagarsi per tutta l’industria cinematografica, aizzando una rivolta animata come non se ne vedono dagli anni ’90. Non è tutto perfetto, né indimenticabile, ma nel suo insieme è un prodotto che impatta con tutti i sensi e lascia senza forza, come solo il miglior cinema è capace di fare. Ho visto il futuro, ed è bellissimo.