Il nome di Peter Jackson porta inevitabilmente in mente molti ricordi. Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e persino King Kong non sono del resto franchise da prendere sotto gamba, pietre miliari di gran parte dei generi e delle tendenze del moderno mondo pop. Non stupisce dunque che l’etichetta di Jackson – nonostante le cospicue critiche ai suoi ultimi lavori – abbia permesso alla pellicola di Macchine Mortali di acquisire una certa notorietà in rete, catturando l’attenzione di un pubblico magari nemmeno a conoscenza della saga cartacea di riferimento.
Il film traspone difatti direttamente il primo capitolo della collana cartacea omonima di Philip Reeves, composta da quattro libri e principalmente mirata a un pubblico di giovani o giovanissimi, sviluppando per questo un tono nella narrazione molto simile a quanto già visto nei romanzi teen di Hunger Games e Divergent.
Andando nel dettaglio, Macchine Mortali ci immerge in un immaginario dove la civiltà umana e la geologia terrestre sono state quasi completamente distrutte da una guerra globale su vasta scala durata circa sessanta minuti; dalle ceneri di ciò che un tempo erano Stati e nazioni si sviluppano – come da copione – diverse fazioni, qui generalmente divise in trazioniste e anti-trazioniste.
Incredibili città mobili razziano e colpiscono le infrastrutture più deboli.
Parte di questo secondo gruppo, stazionario e racchiuso in spesse e solide mura, sono gran parte dei territori asiatici, mentre a dominare l’Europa si erge il più classico territorio post-apocalittico, una landa desolata dove incredibili città mobili razziano e colpiscono le infrastrutture più deboli. Tra queste si impone senza dubbio Londra, un agglomerato urbano su diversi livelli interamente meccanizzato, regredito in questa distopia a una forma che strizza decisamente l’occhio a un’estetica steampunk/vittoriana.
Cittadino di Londra è Tom Natsworthy, impiegato del museo locale e grande esperto di tecnologia old-tech, rimasugli rarissimi di un’elettronica miniaturizzata oramai scomparsa da qualsiasi tipo di uso comune. A seguito di una sequela di eventi abbastanza intuibile, Tom si trova espulso dalla città in cui ha sempre vissuto, accompagnato nel suo viaggio dalla sconosciuta ed ostile Hester Shaw, ragazza in qualche modo legata al potente Thaddeus Valentine, misterioso antagonista interpretato dal celebre Hugo Weaving.
Nonostante quindi una premessa piuttosto interessante e dal potenziale pressoché immenso, la sceneggiatura di Macchine Mortali scopiazza una moltitudine infinita di cliché del genere, portando alla vita una sorta di road movie dagli eccessivi connotati adolescenziali, con dialoghi spesso ridicoli e personaggi giusto abbozzati nel loro stereotipo.
Il cattivo con l’arma suprema, l’alleanza ribelle e i due eroi pronti a sventare la catastrofe sono tutti elementi presenti all’appello, permettendo – senza grossi problemi – di prevedere quasi ogni sviluppo e colpo di scena (o presunto tale) della scontatissima narrativa. Non aiutano in tutto questo nemmeno le performance del cast, che – ad eccezione di Hugo Weaving – rimangono inadatte a una produzione di tale budget e molto più vicine a quello che ci si potrebbe aspettare da un banalissimo B-movie.
Di contrasto ad un completo disastro in scrittura si staglia invece – come già accennato prima – un’ottima direzione artistica, coadiuvata pure da un lavoro clamoroso in computer grafica nella rappresentazione dei soggetti complessi, firma anche questa di qualsiasi produzione di Jackson. Alcuni scorci sono infatti mozzafiato e i primi dieci incredibili minuti vivono ed impressionano proprio grazie agli immensi mezzi digitali, tali da sviluppare centotrenta minuti di agile e costante costruzione visiva.
La regia non riesce a tenere testa a responsabilità sempre crescenti
Laddove però le Macchine Mortali appaiono grandiose e spettacolari, la direzione di Christian Rivers – al debutto alla regia – non riesce a tenere testa a responsabilità sempre crescenti, piazzando slow motion inspiegabili e garantendo una perenne ed imbarazzante confusione – in particolare – nella messa in scena delle numerose sequenze action. Il discutibile montaggio completa poi il lavoro, contraddistinto da un’irregolarità e un caos visivo impossibile da non notare persino dall’occhio meno esperto.
Cosa rimane dunque della pellicola prodotta da Jackson? Sicuramente ci troviamo davanti ad un film di intrattenimento puro, da andare a vedere in sala senza troppe pretese, abbassando le aspettative verso un lungometraggio che avrebbe potuto tranquillamente puntare a ben altre vette. Derivativo da Mad Max e in parte (credeteci) da Star Wars, Macchine Mortali non potrà fare a meno di darvi continuamente una fastidiosa sensazione di già visto, senza fare altro che ribadire con poco coraggio strade già rodate ed inflazionate. Dietro un grande budget ci deve sempre essere una grande anima e – ci dispiace dirlo – non è questo il caso.