Negli anni della mia infanzia/adolescenza, i Teen Titans sono stati uno dei miei show preferiti in assoluto. il contrasto tra un tono cupo e la leggerezza dei giovani titani, lo stile d’animazione estremamente dinamico e una caratterizzazione abbastanza profonda hanno contribuito a rendere questo cartone animato una delle opere più conosciute del marchio DC legato alla televisione. Sebbene il mondo fumettistico sia pieno di loro volumi molto differenti rispetto alla versione che abbiamo visto su Boing e Italia 1, lo schermo della TV e del cinema hanno più o meno sempre avuto modo di vedere questo gruppo di giovani eroi come degli adolescenti in piena regola con un sacco di responsabilità supereroistiche sulle spalle, a cavallo tra sregolatezza, umorismo e crescita personale.
Ma non è tutta leggerezza quella che è stata prodotta nel panorama dell’animazione, infatti la DC ha spesso pubblicato per tutti i suoi marchi pellicole cinematografiche molto più fedeli al cartaceo e i Giovani Titani non sono stati esclusi da questo processo: Justice League vs Teen Titans e Teen Titans: Judas Contract sono chiari esempi di come sia possibile trattare questo marchio con abbastanza fedeltà e maturità per una buona rappresentazione degli eroi coinvolti (anche con alcuni non presenti nella line-up classica come Blue Beetle).
Così, con l’arrivo della serie live action, tutti si sono chiesti a quale impostazione possa avvicinarsi il nuovo Titans. La risposta è che, in effetti, Titans fa un grosso dito medio a tutto l’impianto precedente per poi portare i giovani eroi in un mondo molto più cruento, reale e cupo perfino per gli standard delle altre serie DC. Lo stesso effetto che si ebbe alla pubblicazione dei primi numeri del 1980, dove lo stile concitato e atipico di Teen Titans aveva davvero avuto un impatto considerevole nella comunità fumettistica.
Cavalcando questa voglia di lasciare il segno, Titans di Akiva Goldsman, Geoff Johns e Greg Berlanti riformula le origini del gruppo in modo che ognuno di essi rappresenti quasi uno show a sé, e non a caso le prime puntate sono costruite proprio dando ampio respiro alla situazione di ogni protagonista.
Rachel – meglio conosciuta come Corvina – è la prima a esserci mostrata, precisamente all’inizio della sua “identità” relativa alla natura dei suoi poteri. Raven è sempre stato l’elemento più enigmatico, instabile e potente dell’intero gruppo e in questo lo show azzecca la decisione di creare l’intero motore della trama attorno alla sua crescita e provenienza. Il margine creativo è ampio nel campo delle forze oscure e la scusa del potere incontrollabile è un perfetto collante per lasciare che il gruppo si unisca attorno ad un obiettivo comune. Corvina diventa quindi, secondo la visione della serie, un agente mutevole che fatica a inquadrarsi per colpa dell’enorme peso che la cosa dentro di sé pone su di lei. Essendo in costante tensione tra l’innocenza di una bambina reclusa e la voglia di fare l’eroina con i suoi compagni, la sua attitudine a finire nei guai è ciò che manderà il cast da una parte all’altra dell’America, specialmente se si considera che c’è un’organizzazione criminale che la vuole catturare a tutti i costi.
Così entra in gioco Dick Grayson alias ex-Robin, il quale adesso lavora per la polizia di Detroit mentre di notte si rimette il costume e va contro qualsiasi principio insegnato dal suo mentore pipistrello, uccidendo persone nella maniera più brutale possibile. Un vigilante in piena regola che tuttavia risulta un elemento estremamente azzeccato e sensato se si guarda dalla prospettiva del tono crudo instillato in Titans. Andando incontro alle esigenze di Rachel e instaurando un solido rapporto di amicizia credibile, nascondendo la sua indole violenta con pessimi risultati, lo spettatore riesce ad avere un quadro chiaro del conflitto interiore in cui versa il personaggio, centro del viaggio interiore che Dick compirà quasi da solo, in barba allo spirito di gruppo degli sfortunati eroi che tentano di sostenerlo. La chimica tra Robin e Raven è in fin dei conti ben strutturata, soprattutto perché tra i quattro rappresentano il lato più coinvolto nel tempo dedicato alla narrazione, supportandosi a vicenda come se fossero fratello e sorella.
La ragazza ha debolezze evidenti legate al suo passato tormentato e ai poteri che rendono lo show uno spavento continuo, il canarino di Batman possiede le stesse identiche rotture con il passato (genitori morti, una figura misteriosa che li influenza, etc.) ma a differenza di Corvina può nasconderle dietro una maturità finta, costruita in anni e anni di lavoro che lo hanno portato a vedere i crimini più efferati (non a caso, il Robin di Titans ha conosciuto le nemesi più importanti di Batman). Avendo questa scorza di crudeltà e cinismo che usa come armatura, il signorino Grayson scansa la realtà e l’affetto come il tipico duro stereotipato fino a quando non si riesce a fare breccia nelle sue poche crepe (o nella zip dei suoi pantaloni come fa Kory). Per questo il rapporto tra Rachel e Robin è sicuramente quello meglio riuscito e naturale dell’intero show, alla faccia dei grandi sforzi estremamente obbligati che cercano di costruire delle “coppie” secondo i canoni tanto amati dai fan più romantici.
E qui già si trovano le prime storture, le scelte discutibili di una sceneggiatura che alle volte ha spinto troppo l’acceleratore sulla libera interpretazione. Esempio lampante di questo è l’intero personaggio di Starfire o Stella Rubia o Kory, la quale è stata trasformata di molto non tanto nel colore della pelle (che in realtà forse è la caratteristica più azzeccata) come molti su internet lamentavano, quanto per come la sua personalità sia lussuriosa e ingannevole, una dominatrice che sembra essere più una conquistatrice che altro.
Toglierle del tutto la memoria di qualsiasi evento pre-Titans è stata una mossa furba che però sottolinea quanto si sia voluto per forza di cose volerla abbassare a un livello più terrestre, togliendole la stravaganza da “visitatore dell’altro mondo” per più di metà stagione in favore di un’attitudine da teppista pari a quella dello Spider-Man 3 di Raimi durante l’infame scena del balletto da costume oscuro, per poi passare alla pazzia senza senso. Solo dopo un’esperienza traumatica sembra abbassare i toni, ma la caratterizzazione rimane comunque instabile, ballerina e con troppi elementi contrastanti fra loro che snaturano eccessivamente l’eredità cartacea.
Il personaggio con cui lega di più non è, paradossalmente, il suo amico di comodo Robin, bensì è Garfield o Beast Boy, che insieme a Rachel è forse quello del cast più coerente con le intenzioni originali del fumetto. Partendo dall’ottimo spin-off della Doom Patrol – che rivela una caratterizzazione più interessante rispetto a quella dei Titani in neanche trenta minuti a schermo – il nostro ragazzo trasformista è piazzato all’inizio della scoperta dei suoi poteri. Questo lo rende più umano e meno supereroe e, perciò, è introdotto come se fosse un adolescente geek con delle capacità speciali che è restio a usare per una serie di ragioni piuttosto valide e ben pensate. Sapendosi solo trasformare in una tigre, l’istinto di questo feroce predatore è un fattore molto serio da considerare durante la ricombinazione, soprattutto se quelle zanne andrebbero usate per difendere sé stesso e i suoi amici. Titans esplora questo suo cammino con dovizia seppur calcando forse troppo sul suo ruolo da buffone del gruppo per un’ambientazione così cupa come quella della serie. Ma se si è disposti a sopportare un’eccessiva ispirazione a Teen Titans Go! nei momenti più rilassati, il nostro Garr regala soddisfazioni in ogni sua apparizione, anche se troppo tardiva rispetto agli altri tre compagni.
Per arrivare alla formazione effettiva del team dovremo aspettare fino alle ultime puntate della serie, le quali sono indubbiamente le più concitate e dinamiche. Se per il grosso della stagione le riprese e la sceneggiatura appaiono discrete con lampi di creatività nelle sequenze di combattimento al chiuso, le battute finali sembrano aver ricevuto una bella fetta del budget della produzione e, quindi, un evidente vantaggio visivo rispetto perfino alle puntate clou che le hanno precedute. Per quanto il finale risollevi le sorti narrative dello show, il resto degli episodi è davvero troppo dispersivo e con tanta carne al fuoco da gestire, figlia di quella filosofia da “universo condiviso” che tanto piace ai telefilm su Flash, Arrow e compagnia.
Se da una parte il team di quattro giovani eroi è indubbiamente il protagonista in assoluto, nel corso delle puntate vengono tirati in ballo tanti altri personaggi importanti dell’immaginario DC che ricevono, perfino, puntate interamente dedicate a loro. Doom Patrol, Jason Todd, Wonder Girl, Hawk e Dawn e anche un Joker vs Batman che si rumoreggia per tutta la serie; elementi che finiscono per diluire eccessivamente l’attenzione dello spettatore in faccende che poi rimarranno appese anche dopo la conclusione. Che senso ha mostrarci la deriva violenta di Todd se poi lo si fa sparire dopo una singola puntata? Perché presentarci la Doom Patrol giusto per promuovere il suo prossimo show? Perché inserire Wonder Girl come elemento cruciale per mandare avanti la storia di uno dei Titani quando non ce ne era bisogno? Perché parlare costantemente di Batman senza approfondire veramente il dissapore tra Dick e Bruce se non tramite spezzoni e frasi a mezza bocca?
Questa dispersione è ciò che effettivamente danneggia la vera e propria alchimia che si sarebbe dovuta creare nei Titani. La cupezza dell’ambientazione e la realistica/cruenta logica della sceneggiatura minano inevitabilmente la coesione tra i quattro membri proprio perché ognuno, eccetto Garr, ha un’infinità di turbe a cui pensare per conto proprio. Si dividono costantemente, vanno a cercare risposte senza lasciare traccia, ognuno pensa al proprio guadagno e nel frattempo gli autori forzano frasi come “Robin, abbiamo bisogno di te per andare avanti!” quando poi, due secondi dopo, vanno per la propria causa fregandosene di chiunque altro.
A questo va aggiunto la quasi assenza di un vero e proprio cattivo carismatico. Per tutto il resto della serie i Giovani Titani combattono contro semplici scagnozzi che al massimo vengono potenziati con delle strane miscele chimiche. La palese volontà era quella di far passare il messaggio che questi adolescenti erano da soli contro il mondo – gli infiltrati nella polizia e in qualsiasi altro posto dove vanno i protagonisti sono un chiaro esempio del messaggio – e per questo quasi legittimati a lasciare una scia di cadaveri e morti così tanto impressionante da farci chiedere se non siano loro i cattivi della serie, visto che i veri malvagi avranno ucciso sì e no cinque, sei persone al massimo.
Per quanto sia confusionario, dispersivo e non coerente con le logiche da team dei supereroi, Titans è una serie che fa del suo essere fuori dagli schemi un vanto. Molte volte questa sua natura crea confusione nello spettatore, rendendo difficile tenere un filo coerente dell’obiettivo dello show, ma in altre invece funziona dannatamente bene. L’episodio del Manicomio o le avventure solitarie di Dick Grayson sono un chiaro esempio di come si possa combinare bene la riflessione sui Titani, i cruenti scatti d’ira che derivano dalle loro esperienze traumatiche e il sano splatter a giuste dosi. Considerando questi alti e bassi, Titans sembra essere ancora una creatura embrionale che, al pari dei suoi protagonisti, sta cercando una propria identità tra quelle che gli suggeriscono di vivere. L’unica certezza è che questa prima stagione è stata un parto difficoltoso per i nuovi Giovani Titani, i quali hanno faticato davvero molto ad uscire dalla scatola ideologica derivante dal loro passato fumettistico. Ma se “fan*ulo Batman” è un chiaro segnale di rottura, forse servirebbe qualcosa di ancora più forte e deciso per dare finalmente giustizia a questa nuova visione dell’amato gruppo di adolescenti speciali, controcorrente o meno che sia.