Recensione di gmg215
Negli ultimi anni si è vista una fioritura dei cosiddetti “giochi come servizi”. Man mano che aumenta il volume degli affari, aumenta anche il numero di sviluppatori e publisher che si lanciano in questo campo. Lo scorso 22 febbraio, Bioware, casa di sviluppo riconosciuta in tutto il mondo come un’eccellenza nel genere degli RPG single-player a trazione narrativa, ha rilasciato sul mercato Anthem.
Trattasi di loot shooter interamente online ad ambientazione fantascientifica. Prendendo in prestito elementi da svariati giochi concorrenti, Anthem tenta di proporre un’esperienza ibrida che possa integrare la narrativa approfondita, tipica dei giochi in single player, con la longevità strutturale di un MMO. Non ci riesce, per ora.
Anthem pianta le sue radici nella fantascienza classica. In un tempo futuro, un manipolo di umani è asserragliato dentro Fort Tarsis. Una sorta di città-stato completa di un rigoroso sistema di classi sociali, che costituisce l’hub del gioco ed è presentato con la visuale in prima persona. Qui torniamo alla fine di ciascuna missione per gestire le nostre risorse, potenziare il personaggio, conversare con gli NPC presenti e perseguire così la miriade di storyline del gioco.
Anthem attinge a piene mani dalla fantascienza classica.
Al di fuori del forte, il mondo è tanto rigoglioso quanto denso di pericoli. Le forze oscure identificate col nome di Dominio rappresentano un’antica minaccia che sembra tornata in auge. Il nostro personaggio è uno specialista, ovvero un pilota dotato di una tuta, chiamata strale (javelin, in lingua originale) che potrebbe quasi far invidia ad Iron Man. Una volta guardiani della pace e della sicurezza della razza umana, ad inizio gioco gli specialisti sono caduti in disgrazia e, naturalmente, spetterà a noi ribaltare la situazione.
Se tutto questo vi sembra familiare, è perché si tratta di un generico canovaccio narrativo fantascientifico, già visto innumerevoli volte. Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che nemmeno la trilogia di Mass Effect offrisse una premessa particolarmente originale. In quel caso, tuttavia, la storia veniva elevata dalla componente ruolistica sapientemente dosata nella ragnatela delle storyline, specialmente le secondarie. Anthem, d’altra parte, non ha una spiccata natura da RPG, semplicemente perché l’obiettivo del gioco è completamente differente.
La quasi totale mancanza della componente RPG rende blande le interazioni con le NPC a Fort Tarsis.
Di conseguenza, Fort Tarsis è un hub molto lento, in cui i dialoghi sono di interesse alternante e, soprattutto, sono organizzati in alberi a risposta multipla che sono quasi privi di qualsivoglia conseguenza tangibile. Al contrario di alcuni esempi gloriosi di centro abitato, come Novigrad o Saint Denis, il forte è silenzioso: di rado gli NPC cercano di ingaggiarci in una conversazione oppure conversano fra loro. Privi di una basilare intelligenza artificiale, sono come manichini che attendono di essere interpellati da noi.
In quanto loot shooter, Anthem ambisce a tenere incollato il giocatore per una media di ore che dovrebbe facilmente superare il centinaio. Il modo in cui ambisce a raggiungere tale scopo, non diversamente dagli altri esponenti del genere, è ponendo come obiettivo ludico il miglioramento indefinito del proprio avatar. Per fare ciò vengono disseminate sulla mappa diverse attività: missioni principali, le quali devono necessariamente essere completate per giungere all’endgame, missioni secondarie, contratti, missioni agente, roccaforti e gioco libero.
Il loop centrale del gioco consiste in: attività – ricompensa – potenziamento. Nel mondo è possibile raccogliere armi di potenza crescente e gadget per il proprio strale. Tra le poche note veramente originali di Anthem al lancio, vi sono le quattro classi di javelin: guardiano, colosso, intercettore e tempesta. Passando alla fucina di Fort Tarsis, tra una scorribanda e l’altra, è possibile personalizzare interamente i propri strali, i quali sono sbloccabili tramite un sistema di livellamento basato sui classici punti esperienza. Sia la personalizzazione estetica che quella funzionale sono soddisfacenti. Ciascuna classe è infatti dotata di potenziamenti specifici che hanno un impatto notevole sul gameplay.
Le quattro classi di strali consentono delle build interessanti…
Ogni strale possiede dunque diverse tecniche di attacco ravvicinato, abilità equipaggiabili, da usare con i tasti dorsali, ed abilità speciali disponibili al riempimento di una classica barra (particolarmente devastante è la mossa dello strale Tempesta). La varietà di mosse ed attacchi che ne risulta è lodevole e grazie ad essa, in teoria, il gioco può ambire ad un sistema di build profondo e soddisfacente, anche per i giocatori esperti.
Nella pratica, esistono due problemi. In primo luogo, il sistema di loot è, come riportato da diverse fonti (per esempio qui e qui), rotto. Cosa vuol dire? Il senso di progressione del proprio personaggio, che da solo costituisce la ragion d’essere di giochi come Anthem, conta sull’equilibrio di fattori quali la potenza crescente delle armi che si raccolgono, delle abilità acquisite, dei nemici e così via. Nel primo mese di vita del gioco, sono stati riscontrati episodi in cui tale equilibrio si è rivelato falso. Per esempio, alcune armi di livello inferiore arrecano maggior danno delle armi epiche o addirittura delle masterwork. Oppure, la frequenza con cui si trovano oggetti rari è variata nel tempo, penalizzando chi ha iniziato a giocare in seguito alla famigerata patch 1.03 che ha reso quasi introvabili oggetti rari a livello basso.
… ma la progressione ed il sistema di loot presentano forti problemi.
In un loot shooter, il progresso deve essere sostanziale e non soltanto nominale, altrimenti il giocatore, forte di ore ed ore di grinding, se ne accorge. Ad oggi, questa è la problematica più grave che affligge Anthem. Tuttavia, a meno di una cattiva concezione sistemica del loot, delle patch correttive potrebbero alleviare o risolvere interamente la questione.
Il secondo difetto che mina la progressione di gioco è più sottile ed è radicato nel game design. Non esistono, ad oggi, situazioni che premino o penalizzino in maniera significativa delle build differenti. Inoltre, lo svolgimento di ogni missione in cooperativa a quattro giocatori tende ad appiattire ulteriormente la difficoltà di gioco, a causa di un sistema di match-making probabilmente ancora da affinare. Personalmente, a pari livello di difficoltà (tre sono i livelli selezionabili ad inizio gioco, altri due sono accessibili in endgame), ho trovato genuinamente più impegnativa l’esplorazione libera del mondo rispetto alle quest. In questa modalità, pur essendovi altri tre giocatori sperduti nella mappa di gioco (la quale non è grande, ma neanche piccola), si è sostanzialmente da soli. Quando viene segnalato un evento globale, cosa che succede colpevolmente di rado e che coinvolge le medesime attività di tutte le altre missioni, bisogna effettivamente ingegnarsi per cavarsela da sé.
Anthem è tanto roboante nel comparto tecnico, quanto sorprendentemente semplicistico nelle meccaniche. Svolazzare in alto ed in basso per le vallate fuori dalle mura di Fort Tarsis regala sensazioni di onnipotenza che rimangono costantemente fini a loro stesse.
Il gameplay puro risulta un’evoluzione pregevole di quanto visto in Mass Effect: Andromeda.
Anthem è tanto roboante nel comparto tecnico, quanto sorprendentemente semplicistico nelle meccaniche.
Il jetpack è stato integrato con accelerazioni e sterzate laterali che sono una goduria, specialmente per l’uso che se ne può fare in battaglia, effettuando attacchi in caduta e schivando missili. Tanto potenziale si scontra, però, con il level design generico che non premia, ad esempio, la splendida verticalità portata in dote dal gameplay. Poche sono le missioni che si distinguono in tal senso. Tra queste vi è una delle roccaforti sbloccabili a fine campagna: una sorta di caverna a più livelli che regala al contempo una sensazione claustrofobica ed il divertimento di rimbalzare fra le varie altezze.
Altri aspetti che intaccano il potenziale del gameplay sono la scarsa intelligenza artificiale dei nemici e la mancanza di varietà degli stessi. Privi di qualunque pattern collettivo ed inesorabilmente statici, gli antagonisti sono caratterizzati solamente dalla presenza di corazze e scudi, secondo la tradizione Bioware. I combattimenti con i boss non presentano peculiarità di design: solamente nel caso di una roccaforte bisogna prodigarsi nella rottura di un sistema di scudo prima di poter procedere alla consueta valanga di fuoco.
Le missioni sono ripetitive e questo, di per sé, non è strettamente un difetto per un loot shooter.
Gli enigmi ambientali possono risultare frustranti in cooperativa, vista la mancanza di comunicazione.
Tuttavia, la cooperativa multi-giocatore mal si integra con il gioco. Attività che potrebbe infondere un minimo di varietà, quali la risoluzione di piccoli enigmi ambientali, può risultare frustrante se i compagni di party non collaborano e, salvo non si tratti di amici via discord o skype, con loro non si può comunicare. Per ovviare a ciò Bioware ha semplificato tali enigmi a tal punto da farli risultare semplicemente superflui.
Nella condizione attuale, l’endgame è piuttosto povero di contenuti. Terminata la campagna, cosa che è possibile fare con un personaggio al livello 20-21 e dopo circa 20-25 ore di gioco (stima estremamente variabile, ovviamente), la mole di roccaforti, mappe ed attività sbloccate non giustifica un numero significativo di ore aggiuntive.
Bioware non può creare contenuti alla medesima velocità con cui i giocatori li consumano. Serve una ripetitività sostenibile.
Come successe con giochi quali The Division e Destiny, bisogna attendere continue iniezioni di novità da parte della casa di sviluppo. Il vero problema è che la scarsità di contenuti si tramuta in noia molto rapidamente e, a prescindere dalla quantità di supporto che il gioco riceverà dalla casa madre, che sarà corposo senza ombra di dubbio, non si possono creare contenuti alla medesima velocità con cui i giocatori li consumano. Per questo motivo, la priorità di Anthem deve essere quella di migliorare il proprio loop di gioco, oltre che fornire nuovi contenuti.
La priorità di Anthem deve essere quella di migliorare il proprio loop di gioco, oltre che fornire nuovi contenuti.
La comunità di giocatori, tanti dei quali fan Bioware di vecchia data, non sta apprezzando il grinding nel suo stato attuale. A testimonianza di questo, vi è la pessima ricezione delle cosiddette “Sfide del mondo libero”, le quali sono state inserite all’interno della campagna. Obiettivi quali “uccidi tot nemici con l’abilità definitiva”, piuttosto che “ripara tot strali” sono riempitivi di infima qualità che in gergo tecnico prendono il nome di allungamenti di brodo.
Anthem è un gioco uscito sul mercato prima del tempo. La lavorazione, iniziata nel lontano 2012 dopo l’uscita di Mass Effect 3, è stata molto travagliata per ammissione della stessa Bioware.
Il tempo per rendere Anthem un gioco tecnicamente realizzabile è stato largamente superiore a quello dedicato a renderlo divertente.
Nel gennaio del 2018 il sempre informatissimo Schreier di Kotaku pubblica un articolo (link qui) in cui fonti interne alla casa di sviluppo canadese affermano come Anthem fosse rimasto bloccato in fase di pre-produzione per molti dei sette anni passati dal suo iniziale concepimento. Benché l’inesperienza di Bioware nel genere simil MMO sia una valida motivazione per questa lunghissima gestazione, non si può ignorare l’enorme complicazione conseguita dall’imposizione da parte di Electronic Arts del Frostbite Engine.
Sviluppato da DICE principalmente per sparatutto in prima persona, il Frostbite è un motore dal grande potenziale ma anche dalla scarsissima versatilità. Come detto, Anthem è un gioco tecnicamente maestoso, specialmente su PC di alta gamma, tuttavia, sarebbe interessante capire quando Bioware sia venuta a capo del proprio motore di gioco. Avendo provato il gioco a lungo da poterlo recensire, chi vi scrive è convinta che il tempo passato cercando di rendere Anthem un gioco tecnicamente realizzabile sia stato largamente superiore a quello dedicato a renderlo anche divertente. Un fattore che avvalora tale ipotesi è rappresentato dai problemi grafici che affliggono Mass Effect: Andromeda: uscito nel 2017 ed anch’esso sviluppato con il Frostbite Engine, il criticato spin off della celebre trilogia presenta, ad esempio, delle espressioni facciali dei personaggi modeste, che palesavano la difficoltà di Bioware ad adattarsi al motore di gioco targato DICE. Il miglioramento netto riscontrato in Anthem testimonia che i problemi sono stati risolti, tuttavia il prodotto finale deve aver risentito della difficile gestazione.
Ho giocato Anthem su PC di alta fascia, grazie ad un codice review. Ho portato a termine la campagna in circa venti ore e ne ho spese più del doppio in attività secondarie e livellamento. Ottima resa audiovisiva. Il gioco è in versione italiana.
DurataAnthem esprime un grande potenziale. Il gioco non pare poter compiere l’intento iniziale di Bioware di coniugare un mondo in multiplayer ed una storia in singleplayer. Tuttavia, può divenire un loot shooter divertente, incredibilmente verticale e caratterizzato da una varietà di gameplay superiore alla media. Anthem è però un gioco uscito incompleto e caratterizzato da difetti sistemici nel sistema di progressione del protagonista. Questo fatto, per un gioco in vendita a prezzo pieno, è da considerarsi assai grave. È realistico che avvengano miglioramenti sostanziali nel prossimo anno o due. Se per allora non avremo appeso il nostro strale al chiodo, forse, ci sarà da divertirsi.
Il Frostbite Engine assicura una resa grafica meravigliosa, specialmente su PC di alta gamma. La verticalità del gioco trova respiro nelle bellissime vedute del mondo di gioco. I particellari sono sempre spettacolari, anche durante le fasi più concitate. Infine, le espressioni facciali hanno fatto un grandissimo balzo in avanti rispetto a Mass Effect: Andromeda.
Priva dei suoni metallici e fantascientifici tipici della trilogia di Mass Effect, la colonna sonora di Anthem ambisce a toni più tradizionalmente epici. Gli archi hanno dunque sostituito i sintetizzatori. Non sembra esservi grande varietà nei brani e ciò non è certamente aiutato dalla mancanza di scene memorabili legate alla storia della campagna principale. Il doppiaggio, interamente in italiano, è di pregevole fattura.
Le classi di strali garantiscono una forte varietà di gioco in combattimento. Gli spostamenti aerei sono esaltanti e resi spettacolari dalla verticalità del mondo di gioco. Questa mobilità, tuttavia, non trova la meritata controparte nel level design.
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Anthem è un gioco con tantissimo potenziale da esprimere.
Se la partenza poco felice non frenerà troppo le vendite, grazie al supporto nel tempo, potremmo avere delle sorprese. Ad oggi non sono certamente pochi o giochi salvati “in corsa”.
Inoltre trovo la lore estremamente piacevole con quel misto di fantasy e fantascienza che non può non appassionare.
Il tempo ci dirà se sarà solo un altro (mezzo) fallimento o un titolo da ricordare.
Spero che la Bioware non smetta di crederci.
Siamo ancora in bilico, a tre mesi dal lancio