Per motivi di comodità dovrebbe essere il Paradiso a risultare più attraente ai nostri occhi, ma è storicamente l’Inferno a esercitare maggior fascino. Lo conferma il fatto che gironi e demoni sono stati rappresentati in tantissimi modi nel corso del tempo, partendo dalla Divina Commedia di Dante per arrivare fino ai nostri giorni, anche in ambito videoludico. Agony è quindi l’ultimo di una lunga serie di titoli a tema infernale: passato da Kickstarter a fine 2016, il gioco di Madmind Studio ha attraversato rinvii e problematiche varie, fino ad approdare in questi giorni su PC, PlayStation 4 e Xbox One.
Senza badare troppo ai giri di parole, Agony ci mette nei panni di un dannato arrivato alle porte dell’Inferno. Spogliato di qualsiasi ricordo della sua vita precedente, il nostro protagonista ha solo un obiettivo: trovare la Dea Rossa, a quanto pare l’unica in grado di riportarlo nel mondo dei vivi per abbandonare la dannazione eterna. Un prologo lineare per un’evoluzione altrettanto lineare, visto che la trama non si dimostra uno dei punti di forza di Agony: qualche personaggio non giocante e qualche documento sparso qua e là provano a darci qualche dettaglio in più sul come il protagonista sia la causa di una specie di Apocalisse sulla Terra, senza però approfondire particolarmente le tematiche tirate in ballo, né proporre particolari colpi di scena.
Ciò che mi ha colpito maggiormente di Agony, almeno nelle fasi iniziali, è senza dubbio il modo in cui è stato rappresentato l’Inferno, non a caso uno dei cavalli di battaglia del gioco sin dalla sua presentazione: l’ambientazione studiata da Madmind non sembra soffrire della censura (di cui si è parlato a lungo) e assume immediatamente dei connotati disturbanti, con l’evidente obiettivo di mettere il giocatore a disagio. Camminiamo così tra pareti che grondano sangue su pavimenti che sembrano fatti di organi interni, assistendo a torture e mutilazioni di ogni genere. Nel complesso è come se i ragazzi di Madmind avessero preso l’immaginario di Clive Barker e Guillermo del Toro, mescolandolo con una evidente ossessione per il sesso. Quest’ultima si riversa sia nell’ambientazione, facendoci spesso assistere a scene di accoppiamento tra demoni e dannati, sia nella rappresentazione dei demoni stessi, con esposizione di seni, genitali e storture derivate (uno dei demoni ha una vagina dentata al posto della testa).
l’ambientazione studiata da Madmind non sembra soffrire della censura e assume immediatamente dei connotati disturbanti, con l’evidente obiettivo di mettere il giocatore a disagio
Come ho già detto, tutto questo ha un certo effetto soprattutto nelle prime battute di Agony, perché dopo un po’ la sovraesposizione a certe scene fa in modo che si diventi un po’ insensibili a esse: dopo aver visto feti schiacciati con le pietre e appesi al soffitto tramite il cordone ombelicale, insomma, iniziamo ad aspettarci un po’ di tutto. Questo non vuol dire che quel tutto non abbia altri momenti di picco: nei momenti in cui la rappresentazione riesce a colpirci, la visione originale di Madmind Studios per Agony viene fuori e non può essere non apprezzata. Semplicemente, si respira a tratti e non per larga parte del gioco come avremmo sperato.
L’effetto di stupore che si prova all’inizio va quindi inevitabilmente a scemare, ed è a quel punto che si iniziano a fare le valutazioni sulle dinamiche di gioco di Agony, basate principalmente sul riuscire a proseguire il cammino senza farsi vedere dai demoni, sbloccando di tanto in tanto qualche passaggio. Un nascondino a tinte survival horror che riprende quanto visto in Alien: Isolation e Outlast, in cui il giocatore ha la possibilità di nascondersi in anfratti bui, mimetizzarsi tra mucchi di corpi e trattenere il respiro, per evitare che le creature arrivino a fare festa col suo corpo.
Ma siamo pur sempre all’Inferno, dove la nostra anima rimane preservata anche se il corpo viene fatto a pezzi: una volta subita la tortura dal demone di turno, Agony ci permette di possedere un altro corpo per andare avanti. C’è un tempo limite per fare questa operazione, passato il quale si viene trasportati al checkpoint attivato in precedenza. Quest’ultimo è rappresentato da una specie di specchio, col quale bisogna interagire per salvare i propri progressi. Sulla carta la cosa sembra interessante, ma all’atto pratico si dimostra tutto troppo ripetitivo o complicato, a partire dal gioco del gatto col topo coi demoni.
Esso non presenta infatti una reale indicazione della percezione che le creature hanno della nostra presenza, inducendoci spesso e volentieri a pensare erroneamente di essere al sicuro. Una volta perso il corpo, si finisce per vagare nello scenario con una visuale diversa, purtroppo poco pratica per trovare un’altra casa per l’anima. Per fortuna nelle opzioni è possibile scegliere se attivare o disattivare il minigioco che ci permette di possedere un’anima.
Allo stesso modo, si può scegliere di disattivare il limite posto sui checkpoint. Ognuno di questi permette infatti di ripartire per sole tre volte, tornando a ritroso nel caso in cui si esauriscano le possibilità. Il rischio diventa quindi quello di dover ripercorrere aree attraversate diversi minuti prima. Quando non siamo occupati a nasconderci dai demoni, Agony ci chiede di trovare oggetti (tipicamente parti anatomiche) o altri modi per sbloccare porte e passaggi. Non avendo armi a disposizione, l’unica cosa sulla quale possiamo contare è l’uso delle torce che troviamo sul nostro cammino, utili anche per dare fuoco ad alcuni ostacoli che si parano davanti. Il percorso non è lineare e presenta biforcazioni davanti a noi: al di là della soluzione agli enigmi, l’esplorazione è però poco incoraggiata.
L’aggiornamento più recente, pubblicato in questi giorni da Madmind Studio, è intervenuta proprio su questi ultimi aspetti, limitando la presenza di enigmi per favorire l’avanzamento all’interno del gioco. Allo stesso tempo, sono stati aggiunti alcuni dannati sulla mappa, per permettere al giocatore di avere più possibilità di tornare in partita senza ricorrere ai checkpoint, e ridotta la presenza di demoni per bilanciare la difficoltà generale di Agony.
Al di là dell’impatto visivo di alcune scene, dal punto di vista prettamente tecnico Agony non brilla particolarmente. I modelli dei demoni sono senza dubbio quelli più curati, con netto distacco rispetto a quelli dei dannati che invece sono piuttosto anonimi e grezzi. I corridoi da attraversare risultano spesso troppo scuri, costringendo così il giocatore ad aumentare il livello di gamma per riuscire a capire dove debba andare. Devo specificare che la versione che ho provato è quella PC, a quanto pare lontana anni luce da quelle console dove sono state segnalate problematiche di ogni tipo. Almeno da questo punto di vista, quindi, l’esperienza è filata via senza patemi dovuti a cali drastici di fotogrammi al secondo o tearing.
Per quanto riguarda invece il sonoro, l’aspetto migliore che lo riguarda è rappresentato dai rumori ambientali: muovendosi si ha sempre l’impressione di avere qualcuno che ci segue strisciando o pestando i suoi zoccoli, proseguendo tra i lamenti costanti dei dannati. Il buon doppiaggio in lingua inglese perde un po’ con l’assenza di sincronia del labiale, mentre la colonna sonora è del tutto dimenticabile.
Ho giocato ad Agony su PC
DurataL’attesa montata intorno ad Agony si rivela il nemico principale della fatica di Madmind Studios, che dal canto suo non fa molto per mantenersi al livello delle promesse fatte. Al di là di alcuni scorci, il simbolismo è soltanto accennato con qualche nome altisonante qua e là, mentre la trama si presenta come aspetto marginale del gioco. La ripetitività delle dinamiche di avanzamento non invoglia particolarmente il giocatore a proseguire, se non per andare a scoprire tutte le scene preparate dagli sviluppatori.
Alcuni scorci risultano particolarmente impressionanti, ma dal punto di vista tecnico non si grida di certo al miracolo.
Dimenticabile la prima, buono il secondo.
Troppa ripetitività, mancanza di strumenti utili per proseguire con successo in modo furtivo.