Nella torrida estate 2015 un brivido d’aria fresca fu portato da due video raffiguranti un remake fan made chiamato Resident Evil 2 Reborn che accese gli animi di milioni di appassionati, i quali iniziarono a interessarsi a questa conversione amatoriale in Unreal Engine 4 del classico Capcom del ’98, puntando un grosso riflettore sul manipolo di sviluppatori romani che pochi mesi dopo avrebbe fondato Invader Studios. Nuovi modelli, animazioni e texture aggiornate promettevano di regalare ai fan una veste nuova a uno dei capitoli più amati del franchise in maniera del tutto gratuita, o almeno questo era il sogno dei tre fondatori dello studio Michele Giannone, Tiziano Bucci e Alessandro De Bianchi.
Dopo un mese dalla pubblicazione di quei work in progress la chiamata che non ti aspetti: Capcom al telefono, ma non per denunciare il trio per violazione di copyright ma per invitarli nei loro studi di Osaka chiedendogli (cordialmente) di lasciar stare il progetto perché di lì a poco avrebbero annunciato il remake ufficiale di Resident Evil 2, che ha visto la luce l’anno scorso. Senza darsi per vinti, nei giorni che mancavano alla partenza Giannone e Co. lavorarono su quella che era l’impalcatura di Daymare 1998 potendo parlare delle loro idee a personaggi come Kazuhiro Aoyama (director di Resident Evil 3: Nemesis) e Satoshi Nakai (lead designer di Resident Evil: Code Veronica e Zero).
Nato come omaggio alle atmosfere classiche della serie Capcom ma non solo, tra i riferimenti del team ci sono anche pellicole del calibro di Alien e La Cosa oltre a survival horror quali Dead Space ed il The Evil Within di Shinji Mikami. Se volete approfondire i retroscena dello sviluppo di Daymare 1998 date un’occhiata al loro canale YouTube ricco di aneddoti e spunti sulle difficoltà che un piccolo studio deve affrontare per portare la propria creatura alla luce.
E’ il 1998. Le televisioni a tubo catodico sono il futuro, Raccoon City non è mai esistita e l’unica preoccupazione dell’America è il millennium bug che tra poco più di un anno potrebbe sconvolgere milioni di PC mandando in tilt la nazione. Sulla pacifica Keen Sight si abbatte una tremenda sciagura quando un misterioso agente nervino infetta la popolazione locale rendendola ostile e cannibale, costringendo la compagnia Hexacore a sguinzagliare sul posto il team per le operazioni speciali H.A.D.E.S. per far luce sugli avvenimenti che stanno mettendo in ginocchio quella che era una pacifica cittadina.
La tragedia di Keen Sight si dirama nell’arco di cinque capitoli vissuti nei panni di tre personaggi: l’agente speciale russo Liev, il pilota David “Raven” Hale ed il ranger Samuel Walker che intrecciano le loro sorti spronati da vendetta, odio o semplice sopravvivenza. Il cambio di prospettiva non apporta modifiche al gameplay per quanto riguarda Liev e Raven ma si diversifica parzialmente con Samuel (il cui esordio nei boschi fa molto Alan Wake) che a causa della sindrome di Daymare soffre di ansia, paranoia e allucinazioni che di tanto in tanto cercheranno di destabilizzare la sua sanità mentale.
Daymare 1998 segue una struttura per lo più lineare secondo il canovaccio action dei Resident Evil post quarto capitolo, per cui le aree di gioco sono dei corridoi pieni di creature ostili e consumabili in cui c’è bisogno dell’ingegno per superare puzzle ambientali (molto variegati e difficili, sicuramente un punto di forza nonostante quello tedioso del codice Morse) che ci permettono di accedere alla prossima area, a cui talvolta si alternano boss fight e sequenze scriptate come il correre da una zona sicura all’altra prima che l’ossigeno della maschera termini. Dal punto di vista dell’interazione e del backtracking i fan di vecchia data dei survival horror non potranno che rimanere delusi dalla linearità che caratterizza molti capitoli a parte qualche rara eccezione come l’ospedale o la fase finale delle fogne, anche se spesso capiterà di tornare in zone già visitate con un altro personaggio sbloccando passaggi prima inaccessibili.
A riprova della linearità dei livelli il gioco compie autosalvataggi al passaggio da una sezione all’altra, dando anche la possibilità di salvare manualmente nelle zone dove il backtracking è possibile ma solo se vengono scoperte delle stanze segrete simili a quelle di Dark Souls 2. Un altro elemento che mi ha fatto storcere il naso è l’aggiunta di pop-up, ovvero nemici prima non presenti nell’area che vengono generati appena siamo in una zona da cui non c’è uscita, un’aggiunta artificiale che rovina parte dell’atmosfera che il titolo tenta di creare.
Se è vero che le ambientazioni sanno in parte di già visto, bisogna tenere in considerazione la nascita del progetto come remake di RE2; il livello di dettaglio è comunque abbastanza alto e il colpo d’occhio è coinvolgente. Le stanze ospitano diversi collezionabili come i pupazzetti delle renne, gli audiolog e i documenti che fanno luce sulla trama e svelano le nefandezze che la Hexacore sta commettendo sulla popolazione di Keen Sight, ma per quanto riguarda armi, munizioni e consumabili non ci siamo. L’arsenale è ridotto all’osso ed è composto da una mitraglietta leggera, una pistola, un fucile a pompa ed un revolver, sole quattro armi che restituiscono un feeling di fuoco praticamente uguale, a parziale eccezione dello shotgun, che mancano di qualsiasi possibilità di essere migliorati per incrementare danno, rateo di fuoco o precisione, oltre che escludere ogni tipo di arma esplosiva come granate o lanciarazzi.
Fare fuoco in Daymare 1998 è un grosso problema perché il feedback delle armi appare impreciso e arcade. Quando viene sparato un proiettile non è chiaro l’impatto che questo ha sul nemico, se l’abbiamo mancato o colpito in testa o sulla spalla, inoltre il puntamento è difficile da gestire anche smanettando con le opzioni di calibrazione e finisce per rendere spesso gli scontri stressanti, facendoci subire danno perché il puntatore è scivolato oltre la sagoma dello zombie come fosse una saponetta. Un’altra criticità del sistema di shooting è la gestione dei caricatori, la cui idea in partenza è anche molto interessante – cioè la possibilità di trovare in giro caricatori diversi da riempire con le pallottole di un tipo, standard o potenziate, dando al giocatore il modo di ricaricare in maniera lenta posando il caricatore vuoto nell’inventario oppure in maniera veloce lasciando a terra quello usato e sostituendolo con un altro carico.
Questa soluzione è potenzialmente interessante e funziona in alcune zone piene di proiettili, ma per il 90% del gioco è dannatamente buggata e spesso ci si ritroverà a dover portare in giro caricatori mezzi vuoti che per un motivo o l’altro non vengono riempiti interamente, impedendo al giocatore di ottimizzare ogni slot dell’inventario. Proprio l’inventario è un altro punto controverso del gameplay di Daymare 1998 che sacrifica l’utilità nel nome dell’estetica, questo perché richiamando il menù Liev, Raven o Samuel mostreranno il dispositivo sul proprio avambraccio dandoci accesso ad inventario, stato di salute, la mappa ed i documenti raccolti il tutto senza mettere in pausa il gioco.
Quello che non va con questa trovata è che il menù rapido non sempre funziona a dovere permettendoci di selezionare i potenziatori di salute o il caricatore che ci serve, costringendoci spesso a dover entrare nell’inventario mentre siamo assaliti da un’orda di nemici famelici portandoci inevitabilmente alla morte. Questa scelta in un survival da un lato aumenta la carica di adrenalina e la sensazione di vulnerabilità, ma dall’altro la scarsa riuscita scaturisce in frustrazione nel giocatore. Oltre all’indicatore della salute è presente anche la barra “overdose” che incrementa all’assunzione di stimolatori e potenziatori di salute, mira e stamina che vanno ad occupare le dodici celle dell’inventario purtroppo non espandibili.
La fauna di Keen Sight merita un discorso a parte. Le aberrazioni che popolano il laboratorio Aegis e successivamente la città sono il frutto dell’esposizione dei tessuti umani alle tossine dei gas nervini Castor e Pollux che nella mitologia greca erano i Diòscuri, ovvero “figli di Zeus”, che riportano in vita i non-morti rendendoli fameliche macchine di morte in perfetto stile George Romero. Tra le strade troveremo dozzine di creature cianotiche dalle mascelle spalancate pronte a farci la pelle, caratterizzate da un livello di dettaglio molto alto ma che purtroppo spesso danno una sensazione di deja-vù per l’eccessiva ripetizione dei modelli durante tutto il gioco. Oltre alla relativa penuria di modelli si aggiunge la poca varietà delle aberrazioni: oltre agli zombie comuni esistono solo altre tre tipologie di mutazioni che incontriamo nelle boss fight, poche a dir la verità e forse si sarebbe potuto sperimentare lato animale/vegetale.
Il comportamento dei nemici è coerente con quello di creature senza cervello guidate dall’istinto, quindi attenti a quando si avvicinano perché sono capaci di repentini movimenti che disorientano il giocatore portandoci a subire le loro mortali prese da cui potremo liberarci completando un QTE. In caso di morte scatta una semplice schermata di game over che sarebbe potuta essere accompagnata da qualche animazione cruenta. I modelli delle creature per quanto ben fatti vanno incontro ad alcuni limiti presumibilmente di budget: a parte la compenetrazione di tanto in tanto nelle strutture della mappa che genera glitch divertenti, lo smembramento è un elemento solo abbozzato che prevede la decapitazione dei nemici ma non l’amputazione degli arti simile a quella di Resident Evil 2 Remake, in cui gli zombie arrivavano a strisciare.
Una nota di demerito va alle boss fight, un’aggiunta troppo azzardata che si concretizza in ampie arene in cui correre in cerchio sparando a nemici resi spugne di proiettili per l’occasione, con frequenti glitch che rendono il tutto ancora più grottesco dato che spesso questi si paralizzano nel bel mezzo dello scontro non facendo nulla, o peggio in una di queste sono rimasto bloccato in un angolo cieco senza potermi muovere con il boss piantato davanti a me che faceva da parafulmine contro gli attacchi degli altri zombie usando un potere che serviva a fermarmi in attesa che gli altri mi finissero, cosa che non accadeva perché c’era lui a salvarmi. In tutto questo sono stato fortunato ad avere abbastanza munizioni da usare tra un blocco e l’altro per sconfiggerlo, altrimenti non ne sarei mai uscito.
Ho giocato Daymare 1998 sul mio PC con un codice ottenuto grazie all'iniziativa di Invader Studios che ha gentilmente regalato 10.000 chiavi agli studenti italiani
DurataInvader Studios prova con tutte le forze a giocare nel campionato dei grandi, una veste grafica d’impatto ed una struttura che ricalca i grandi classici a tratti fanno scordare che si tratta di una produzione indie – cosa che però ci viene ricordata costantemente da problemi gravi sia tecnici che concettuali, su tutti il combat system ed i modelli dei protagonisti – portandoci a rimanere ingiustificatamente delusi quando per forza di cose lo paragoniamo al superbo remake di Resident Evil 2, una produzione esageratamente più ricca ed esperta. Daymare 1998 da la sensazione di avere tra le mani un progetto che ambisce a quelle vette, ma che per inesperienza ed un budget insufficiente non riesce a restituire un feeling dallo stesso sapore risultando indigesto per le troppe carenze.
In ogni caso questo è il primo, incoraggiante, tentativo di Invader Studios di dar vita ad una trilogia che ben si presenta con l’interessante cliffhanger finale, presagendo ancora tante carneficine alla scoperta delle nefandezze della Hexacore cercando di capire chi sia il misterioso Cleaner. Puzzle interessanti e ben pensati, una colonna sonora di ottimo livello ed una trama che ha tanto da dire sono la base di partenza per un eventuale seguito che ci auguriamo possa vedere la luce il prima possibile.
La potenza dell'Unreal Engine c'è e si vede in tutta la spettralità di Keen Sight e sobborghi, con ambienti dettagliati ed effetti di luce/ombra che generano molti sbalzi sulla sedia. Quello che non va sono i modelli dei personaggi a dir poco vetusti, un riciclo pesantissimo dei nemici e le animazioni impacciate e robotiche dei personaggi oltre a qualche sporadico glitch dovuto alla compenetrazione dei nemici in determinati punti
Il punto forte di Daymare: 1998 a mani basse. Dalle musichette simil safe-room di Resident Evil a quelle che spezzano il silenzio di un'area buia provocando un brivido freddo sulla schiena del giocatore la colonna sonora è curata nei minimi dettagli e risulta calzante, anche se un po' ripetitiva. Il discorso cambia quando parliamo del doppiaggio delle cutscenes, non che sia malvagio ma di certo non brilla
Il lato in assoluto più debole dell'intero progetto. Il gunplay è impreciso, il sistema di gestione dei caricatori è imprevedibile e spesso soggetto a bug mentre il menù in real time è una trovata potenzialmente molto interessante, ma nella realtà risulta inutilizzabile nei momenti più concitati anche impostando gli shortcut
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Belle recensione Giuseppe! Purtroppo si evince già dai video che il gioco pecca in molte cose. Nonostante ciò conto di recuperarlo su PlayStation 4 in tempi relativamente brevi, non per altro perchè seguo Michele Giannone e il suo team sin dagli albori e mi preme dare il mio supporto, nel mio piccolo. In fondo, se abbiamo avuto il remake di Resident Evil 2, per certi versi è anche merito di Invaders Studio.
Grazie Cold! Ma a prescindere dal supporto il gioco si lascia giocare abbastanza bene, e sono sicuro che Invader farà tesoro delle critiche di questo primo capitolo per confezionare un seguito migliore da ogni punto di vista 🙂 non so su PS4 ma su PC è in sconto a 9€, un prezzo onestissimo