Dopo un decennio di continuo stazionamento in una certa comfort zone, appare abbastanza normale come un certo team di sviluppo o un qualsivoglia studio creativo senta la necessità di affrontare nuove sfide e stimoli. From Software ovviamente non fa eccezione e se da una parte ritroviamo in Sekiro la già rodata vena hardcore del team, dall’altra troviamo invece Deraciné, un titolo più modesto e sperimentale, impiantato su un’immersione che solo la realtà virtuale è in grado di offrire.
Per chi non lo sapesse Deraciné si sviluppa infatti per intero intorno a PlayStation VR, marchiando il grande esordio dello studio di Miyazaki – con il supporto di SIE Japan Studio – su questo tipo di tecnologia. Ad ogni modo, nonostante le varie differenze ad oggi risulta quasi impossibile dividere – persino sul piano critico – From Software dalla grande eredità finora lasciata; nemmeno lo stesso Deraciné prova a nascondere la cosa, riproponendo un gusto gotico e romantico trasposto in passato negli acclamati Demon’s Souls, Dark Souls e Bloodborne.
Al netto di queste solide premesse, l’esperimento di Japan Studio e Miyazaki non risulta nemmeno lontanamente privo di nei, problematico non solo sul quadro ludico, ma anche su quello narrativo; detto questo, se volete saperne di più, non vi resta che leggere la nostra recensione!
In Deraciné ci troviamo ad interagire nei panni di uno spirito con sei diversi studenti, vagando all’interno del grande collegio di Rohn in cui i ragazzi abitano, vivono, crescono e studiano. A dispetto della nostra permanenza su un piano di esistenza astratto, dove non possiamo essere visti e dove il tempo non scorre, possiamo comunque interagire con la realtà fisica che ci circonda, andando ad influenzare le azioni e il comportamento dei diversi comprimari dell’avventura.
In verità le nostre capacità paranormali non si fermano qui e si estendono, per mezzo di due distinti anelli, alla possibilità di trasferire forza vitale e alla interessante abilità di viaggiare nel tempo.
Deraciné mi ha fatto compagnia per due lunghe serate, di cui entrambe spese in gran parte ad imprecare contro una batteria difettosa di un PlayStation Move. La trama mi ha lasciato talmente perplesso che non ho pensato ad altro per giorni. Esattamente come per un Souls. Molto bene.
DurataPartendo dunque da un prologo estremamente didattico, all’apparenza radioso e stereotipato, ci si addentra progressivamente in un intreccio molto cupo, complesso e sfaccettato, in grado di garantire un paio di colpi di scena piuttosto dirompenti e ben gestiti. La progressione della narrativa – come era lecito aspettarsi da Miyazaki – non avanza in maniera lineare, ma al contrario si sviluppa attraverso una manciata di periodi temporali, tutti interconnessi tra loro a formare una complessa tela di eventi mai di fatto esplicitata nel gioco.
Come nelle precedenti opere di From Software viene difatti lasciata libertà al giocatore di interpretare a suo modo la narrativa, elaborando la propria teoria e discutendone con altri giocatori; la lettura dei tanti documenti sparpagliati nelle stanze e l’attenta osservazione delle stesse può certo aiutare nella difficile comprensione, senza però in nessuna occasione fornire la chiave di volta per circoscrivere il tutto.
Laddove tuttavia tale approccio non lineare può sembrare a prima vista interessante, il ritmo e le dinamiche del gioco finiscono paradossalmente per soffrirne, sia per una certa ingenuità nelle fasi iniziali, sia per una certa monotonia di luoghi e situazioni. Spieghiamoci meglio.
La prima ora e mezza lascia da parte qualsiasi dispiegamento di eventi e si riduce ad una mera attività ludica, che ci vede partecipi di enigmi ambientali banali ed eccessivamente intuitivi (ci viene in mente solo un’eccezione); gli stessi sono inoltre ancora più semplificati da vicoli ciechi e dialoghi opzionali, questi ultimi semplici silhouette di azioni già avvenute. Le restanti tre ore portano poi avanti un ritmico assolutamente non bilanciato rispetto al complesso, con piani temporali e location di continuo ripetuti in una inevitabile tediosità di fondo.
Lasciando da parte le – gravi – questioni sopracitate, bisogna comunque prendere atto di un ottimo lavoro fatto sul versante tecnico ed artistico. Il collegio di Deraciné è immagine diretta di una malinconia che fa da sfondo all’intera esperienza, condensandosi in un unico sistema di tendenze gotiche ed impressioniste, in cui la considerazione della luce acquista un’importanza fondamentale, in parallelo ad un estetica dove natura morta e colori opachi si rendono protagonisti.
Gli ambienti sono abbastanza dettagliati (per gli standard e l’hardware di PS VR), seppure siano molto limitati e in gran parte spogli di elementi con cui interagire, con il risultato di declassare un sistema che pretende di essere una sorta di avventura grafica a quello che a tutti gli effetti si potrebbe definire un “walking simulator”.
Camminare risulta per di più un termine improprio in Deraciné, visto che ogni movimento (non minimo, si intende) avviene tramite teletrasporto da un punto all’altro, una manna per evitare eventuali problemi di motion sickness. Sono poi necessari per giocare due controller PlayStation Move, con i quali è possibile afferrare gli oggetti (con il grilletto), aprire l’inventario, ruotare su sé stessi ed ispezionare gli oggetti raccolti (con i tasti frontali di entrambi i controller). I comandi non danno in definitiva problemi di sorta e devo dire che il feeling generale si mantiene decisamente solido e pratico.
Nulla da dire infine per quanto riguarda il sonoro. Un tappeto di archi, accompagnato da un supporto occasionale di fiati e pianoforte, accompagna i vari momenti del gioco con una buona direzione, a volte tuttavia ridondante. Deraciné, come da tradizione Sony PlayStation, è inoltre interamente tradotto e doppiato in italiano, cosa che farà sicuramente piacere ai giocatori nostrani.
From Software si conferma estremamente ispirata nel trasporre immaginari credibili nella loro rappresentazione artistica. Il collegio di Rohn è però tanto stilizzato e curato, quanto povero di elementi con cui interagire. L'implementazione della realtà virtuale risulta invece ottima ed intuitiva.
Il gioco è interamente doppiato in italiano, come da tradizione Sony. La colonna sonora di archi appare ben diretta, al netto di qualche situazione di ridondanza.
Nella prima ora e mezza il gioco cerca di avvicinarsi alle dinamiche di un'avventura grafica, ma finisce per essere un walking simulator. Nella seconda parte diventa a tutti gli effetti quello che vuole essere, ma casca nella monotonia per scelte insensate di design. La trama risulta piuttosto interessante, specie nella seconda parte, per quanto criptica e poco esplicata. Peccato per un ritmo e un andamento climatico assolutamente incostanti.